2022-02-16
Gas alle stelle ma gli uomini di Arcuri vogliono usarlo per produrre acciaio

Invitalia crea Dri per ridurre l’uso del carbone. Il presidente è Bernabè, a capo anche dell’Ilva: rischio conflitti di interessi. Con lui diversi manager vicini a D’Alema. L’inflazione però può far saltare il bancoNel settore siderurgico c’è chi sostiene che la nascita di Dri (Direct reduced iron) Italia rappresenti un passo avanti verso la decarbonizzazione dell’acciaio. Ma con il prezzo del gas alle stelle non c’è molto da festeggiare. Sul preridotto, materia prima costituita da almeno un 85% di ferro metallico che può essere caricata nei forni elettrici in sostituzione del rottame, pesa soprattutto il prezzo del gas, da usare in alternativa al carbone con cui vengono alimentati gli altoforni tradizionali. Tanto che gli esperti consigliano di installare questi impianti, oltre che vicino al mare, in Paesi con prezzi competitivi. L’Italia potrebbe anche delocalizzare certo, ma nei mesi scorsi si era parlato della possibilità che Arcelor mittal introducesse proprio all’Ilva due forni elettrici con l’impiego del preridotto di ferro, da affiancare agli altiforni 4 e 5. Perché non farlo a Taranto? Ora è invece spuntata Dri Italia. Per questo motivo c’è anche chi teme che la nuova società di Invitalia (100%) non sia altro che l’ennesimo poltronificio (a pochi mesi dalle nomine nelle partecipate), per di più con un presidente come Franco Bernabè che è allo stesso tempo presidente in Acciaierie D’Italia (ex Ilva) con il rischio di un conflitto di interessi. Una è infatti potenziale fornitrice di materie prime dell’altra, ma potenzialmente potrebbe essere fornitrice anche di altre realtà nel settore siderurgico. Deve esserlo di Ilva o di altri? Ma se lo sarà di altri come è possibile che il presidente sia lo stesso?Stando alla nota diramata nei giorni scorsi da Invitalia, dove amministratore delegato è Domenico Arcuri, la nascita di Dri permetterà all’Italia di riallinearci agli altri Paesi europei che guidano la transizione verso la «carbon neutrality dell’acciaio come Svezia, Germania e Francia, dove sono in fase di progettazione impianti di produzione di preridotto». Eppure ci si dimentica di dire che in Francia il governo non si è mai sognato di costruire società ad hoc per gli stabilimenti di Fos -sur Mer o Dunkerque, unici in Europa per il preridotto: ogni volta vengono usati contratti di sostegno con l’industria siderurgica di riferimento. Non solo. Nel consiglio di amministrazione di Dri, fanno notare alcuni esperti del settore a microfoni spenti, non c’è nemmeno un esperto di siderurgia. Come detto Bernabè è il presidente, l’ex Saipem Stefano Cao che ha lasciato Ilva è ad, quindi c’è il responsabile incentivi per Invitalia Ernesto Somma (fedelissimo di Arcuri), quindi ancora Tiziana de Luca in rappresentanza del Mef (vicina al direttore generale del Tesoro Alessandro Rivera) e infine Paola Bologna, che dovrebbe essere l’esperta di normativa sulla sicurezza. Sono in gran parte manager vicini all’ex premier Massimo D’Alema, ex azionista di maggioranza del secondo governo Conte e ora in difficoltà sotto l’esecutivo di Mario Draghi. Nel comunicato stampa si spiega che la nuova realtà siderurgica avvierà «la sua attività realizzando, in particolare, studi di fattibilità sotto il profilo industriale, ambientale, economico e finanziario, per la progettazione, la realizzazione e la gestione di impianti di produzione di preridotto. La società ha un capitale sociale iniziale di 35 milioni di euro, mediante fondi assegnati dal Mef». Il capitale potrà essere incrementato fino a 70 milioni di euro. «Il piano di Dri non è economicamente sostenibile», dice alla Verità il deputato del gruppo misto Giovanni Vianello, che da anni chiede in Parlamento se l’Italia abbia mai pensato a una seria pianificazione sull’acciaio o non continui a procedere in totale sudditanza della politica estera o del mercato, «Da dieci anni esiste un’emergenza sull’Ilva di Taranto, siamo arrivato al 14° decreto del governo» continua Vianello, «Per la sostenibilità economica del Dri serve il gas che continua a essere in aumento in Europa. O qualcuno si accolla questa spesa a fondo perduto oppure è di difficile realizzazione. Non sono contrario a questo tipo di progetto, ma mi domando se sia economicamente sostenibile. Nel frattempo i piani di rilancio dell’Ilva sono fermi al palo, ci sono 2.000 persone in cassa integrazione e sono stati distratti dal governo i fondi per le bonifiche delle aree escluse». Secondo Vianello il problema è sempre lo stesso: «I governi non sanno cosa fare. Vengono bruciati i fondi del Pnnr per sviluppare progetti troppo costosi. L’utilizzo dell’idrogeno verde è interessante, ma per la decarbonizzazione servono 15.000 gigawattora, quanto consuma tutta la Puglia». La nascita di Dri Italia arriva a pochi mesi dal rinnovo di 49 società partecipate a cui si aggiungono 41 società in cui scadono i collegi sindacali: in totale ballano 350 poltrone. Si va da Invitalia fino a Sace (dove Rodolfo Errore è già uscito) controllate dal Mef, fino a Snam e Fincantieri. L’incarico di Arcuri è da tempo sotto osservazione del governo, in particolare dopo le inchieste degli scorsi mesi che hanno toccato l’ex commissario straordinario per l’emergenza sanitaria. Bernardo Mattarella, ad di Banca del Mezzogiorno - Mediocredito centrale, potrebbe essere il suo successore. Ma Arcuri sembra ancora molto forte: la nomina di Somma in Dri Italia lo dimostra. In questi mesi, nonostante le indagini, l’ex commissario non si è mosso di un millimetro. Del resto per l’esecutivo, guardando anche ad altre partecipate, sarebbe stato difficile giustificare la sua sostituzione solo per un avviso di garanzia.