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Ansa
- Sui social spopolano avvocati che, in cambio di laute parcelle, promettono documenti in tempi rapidi anche a chi non ne ha diritto. Le storie di chi chiede asilo seguono spesso un copione unico.
- I legali: «Gli immigrati seguono il passaparola o la pubblicità sul web. Ma spesso le informazioni che ricevono sono parziali»
Lo speciale contiene due articoli
«Grande avvocato, mai visto uno uguale a te». Il ragazzo tunisino ha ottenuto la protezione speciale ed è al settimo cielo. In un altro video, una decina di ragazzi bengalesi sorridono sulle note di Rino Gaetano. Finalmente hanno il permesso di soggiorno. Jacopo Maria Pitorri, «il miglior avvocato immigrazionista a Roma» come si legge sul suo sito, promette grandi soddisfazioni. Tutte documentate su TikTok dove ha più di 500.000 follower e centinaia di migranti vengono immortalati mentre lo ringraziano per il documento ricevuto. Egiziani, bengalesi, stranieri originari di Paesi considerati sicuri che solitamente rientrano in quel 60-70% di domande di asilo che ogni anno vengono respinte.
Dopo di che però si può fare ricorso tramite un avvocato retribuito dallo Stato. O addentrarsi in una selva di studi legali e agenzie qualora si riesca a rimediare qualche migliaio di euro nella speranza, o illusione, di accorciare l’iter.
Tra i servizi più richiesti il permesso di soggiorno, problemi con il rinnovo, e poi, dopo anni, la cittadinanza che è il documento più ambito, in grado di mettere fine a tutte le traversie.
Attorno alla stazione Termini a Roma c’è l’imbarazzo della scelta. «Abbiamo aperto una sede vicino al ministero dell’Interno proprio per essere più efficaci», annuncia l’avvocata Susanna Angela Tosi ai suoi 271.000 follower su Facebook, forse ignari che un legale non può certo andare a battere i pugni sui tavoli del Viminale. Poco importa. Con otto sedi in tutto lo stivale ha creato il brand avvocatocittdinanza.it e rivendica il titolo di influencer numero uno del settore. Linee telefoniche costantemente occupate, eventi a Lampedusa e al Parlamento europeo, tra ospitate tv, siti e canali social è un tripudio di bandiere italiane. Convincere gli stranieri a richiedere la cittadinanza, addirittura nel tempo record di 5 mesi, è il suo forte. «Anche in 4» ci dice una receptionist al telefono.
E non proprio per amore del tricolore. Diventare italiani, spiega lei, permette di viaggiare in 194 Paesi senza visto, «accedere a finanziamenti europei a fondo perduto», «evitare l’espulsione se si commettono reati», «ottenere un permesso di soggiorno per i parenti di secondo grado anche se clandestini». Ma soprattutto, è il migliore escamotage per portare in Italia chi è rimasto a casa. Madri, padri, coniugi, figli, persino i nipoti. Senza la seccatura di dover soddisfare requisiti di reddito e idoneità alloggiativa. «Per gli stranieri i ricongiungimenti familiari sono lunghi e complicati. Il visto familiare non sempre viene concesso per non parlare di quello turistico, spesso rifiutato “per rischio migratorio”. Se invece sei italiano l’Ambasciata non può contestarti nulla. Hai diritto al visto per famigliare al seguito anche solo per motivi di salute. Cosa aspetti?».
Concetti ripetuti in contenuti sponsorizzati anche in arabo dove basta un click per prenotare l’appuntamento. 179 euro una consulenza in studio o 159 se paghi subito on line.
Nel caso di Pitorri il metodo è diverso. Superata la barriera di telecamere che da fuori controllano l’ingresso, si raggiunge lo studio dove l’avvocato è circondato dai monitor di videosorveglianza e l’atmosfera è decisamente meno accogliente di quella propagandata su TikTok. Neanche il tempo di dire una parola che Pitorri va al punto.
«L’informazione si paga. Una domanda 50 euro, due 70, dalle 3 alle 5 domande 100 euro». Il ragazzo è attonito, nessuno glielo aveva detto. «Glie lo dico io, sono un avvocato». Puntualizza lui.
«Lei fa una domanda, io rispondo e lei paga. Se vuole uscire fuori, prende 50 euro e poi ritorna».
Tutto chiaro.
Da qualche tempo, Pitorri e Tosi, sono finiti nel mirino di alcuni account social molto seguiti che li accusano di pubblicità ingannevole. Il più agguerrito è Domio, imprenditore egiziano su TikTok come @SG Marka.
«Ho fatto il bonifico di 2.000 euro un anno fa ma non ho più saputo nulla. Da mesi cerco di contattare la Tosi ma è impossibile». Centinaia i commenti che raccontano storie simili.
«Ciao fratello. Anche io pagato 150+3.000 euro subito, ha detto fa la cittadinanza in 90 giorni. Passati due anni ma niente». «Ho pagato tutto ma poi mi ha chiesto 500 euro. Dopo qualche mese altri 500». Dalle storie emerge una costante. Gli stranieri verrebbero motivati a fare la pratica con la promessa di ottenere tutto velocemente. Poi, al prevedibile allungarsi dei tempi, vengono chiesti altri soldi «per poter mandare avanti il lavoro».
Nel dibattito è entrata anche Selena Peroly, attivista del Camerun e «influencer rivelazione del 2025». «Ragazzi, non si può ottenere la cittadinanza in pochi mesi, la legge prevede due anni di attesa e si può fare anche al Caf per 150 euro. Un avvocato che fa marketing non è più credibile di uno che non lo fa. Smettiamola di farci fregare!».
Uno dei video più cliccati della Tosi è «Trucchi per far sì che la tua domanda di cittadinanza venga accettata». Anche se il titolo promette più del contenuto incentrato su come compilare i documenti senza errori, il concetto dell’escamotage fa presa sulla platea straniera abituata, fin dall’ingresso in Italia, a fare i conti con un sistema fondato su una serie di falsificazioni. A partire da quella per cui migranti per lo più economici arrivati in modo irregolare, per diventare regolari non hanno altra scelta che presentarsi come potenziali rifugiati e chiedere asilo. Poiché questo però viene riconosciuto solo a chi nel proprio Paese rischia la vita, bisogna rendere la propria storia più drammatica. O inventarne una nuova. Che però, curiosamente, attinge sempre alle stesse sceneggiature. Una serie di «narrazioni stereotipate» e di «canovacci fin troppo ricorrenti» come nota la Cassazione in una sentenza in materia di protezione internazionale già il 7 agosto 2019. Dal giovane musulmano che mette incinta una ragazza cristiana al cristiano che ha fatto lo stesso con una musulmana e scappa dalle furie dei genitori di lei. Dal sedicente omosessuale perseguitato alla vittima dello stregone o del capo villaggio che vuole destinarlo a sacrifici umani. Storie portate avanti con l’aiuto degli studi legali cui gli stranieri affidano la propria vita e tendono a percepire come «dalla loro parte» visto che proprio grazie a loro, e ai giudici, generalmente in oltre il 50% dei ricorsi ottengono la protezione.
Il meccanismo è noto e ora, la mancata promessa della cittadinanza in tempi record appare come la punta dell’iceberg di un sistema che non va.
«Perché dovete pagare se avete tutti i requisiti? Se sei pulito non serve un avvocato» commenta Hamza.
«Per me quello che fa la Tosi è una “truffa legale”» conclude Domio. «Fa leva sull’emotività e sul sudore degli stranieri che hanno bisogno dei documenti. Ci sono cascato pure io. Volevo fare il ricongiungimento per i miei genitori dall’Egitto che non vedevo da anni. Lei mi ha convinto a fare la cittadinanza. Facciamo tutto in poco tempo, ha detto. Ma ancora aspettiamo. E siamo in tanti qui. Troppi».
«C’è chi ha centinaia di clienti stranieri e fa grossi profitti»
Cittadinanza italiana in 5 mesi o anche meno? Mi sembra difficile. «I tempi sono quelli previsti dalla legge, quindi due o tre anni». Quando mostro alcuni annunci di cittadinanza veloce a Paolo Iafrate, avvocato e docente presso l’Università degli Studi di Roma Tor Vergata in Normativa nazionale ed europea in materia di immigrazione, non si stupisce. «Di fronte a certi slogan è difficile non pensare a operazioni di marketing. Purtroppo c’è chi guarda al settore dell’immigrazione come un business».
Gli ultimi dati dell’Istat dicono che ci sono 1,8 milioni di stranieri che vivono in condizioni di povertà assoluta. Praticamente uno su tre. Non sembra una platea dalle cui tasche poter ricavare grandi profitti, se non indirettamente…
«Si tratta di un settore a bassa marginalità ma ad alto volume. Ci sono studi legali che lavorano con centinaia di clienti e quindi puntano sul fare grossi margini proprio grazie alle quantità».
Al di là dell’aspetto etico, elencare i vantaggi della cittadinanza o fare pubblicità al proprio servizio legale, dopotutto non è reato. Dove finisce una lecita promozione e dove inizia il business?
«Quando l’informazione è parziale, i costi sono gonfiati o l’interlocutore non è messo nelle condizioni di fare una scelta consapevole, allora siamo nel campo del “business spinto”. È sempre meglio richiedere un preventivo scritto e diffidare di chi fa pubblicità comparativa o “garantisce” l’esito della pratica. L’avvocato ha un’obbligazione di mezzi, non di risultato ma dovrebbe sempre ricordarsi che ha a che fare con persone in condizione di fragilità, com’è il caso di molti stranieri proprio per la precarietà del loro status legale».
Quindi dove va messa l’asticella?
«Se il cittadino straniero non dispone delle risorse economiche sufficienti a farsi assistere, ha diritto al gratuito patrocinio e l’avvocato ha l’obbligo di informarlo e di fargli firmare un’informativa scritta che lo metta al corrente della possibilità di accedere a questo beneficio. Nessuna somma deve quindi essere corrisposta all’avvocato che verrà retribuito dallo Stato. Pena l’incorrere in un illecito disciplinare professionale. A sua volta, il cliente ha l’obbligo di fornire informazioni veritiere sul proprio reddito che, tenendo conto anche di quello dei familiari conviventi, non deve superare i 13.659,64 euro annui».
Ci raggiunge Laura Barberio, esperta di diritto dell’immigrazione e docente insieme a Iafrate del Master Medim (Master in Economia Diritto ed Intercultura delle migrazioni).
Avvocato, nel caso della cittadinanza, la pratica può essere seguita anche da un Caf o un patronato per 100 euro o poco più. Considerando che la clientela straniera ha mediamente una bassa disponibilità economica, come mai in molti si rivolgono a servizi a pagamento, per 2-3.000 euro o più?
«Spesso conta molto il passaparola. O la pubblicità, soprattutto sui social, che sicuramente è in grado di condizionare molte scelte. Va detto però che in alcuni casi, il cittadino straniero che sceglie di affidarsi ad un avvocato esperto in materia di immigrazione è maggiormente tutelato. Ed è seguito in tutte le attività stragiudiziali».
È normale far pagare solo per un’informazione o per la prima consulenza informativa?
«Il patrocinio non riguarda l’attività di consulenza che quindi può essere a pagamento. Alcuni studi legali spesso concedono una prima valutazione gratuita. Che però non deve configurare un’ipotesi di accaparramento di clientela. Anche qui c’è una deontologia. Condivido Pietro Calamandrei quando diceva che l’avvocato “deve essere prima di tutto un cuore, un altruista, uno che sappia comprendere gli altri uomini… sentire come sue le loro ambasce”».
E qui però si si apre un altro capitolo. Perché in nome «dell’umanità» o dell’ideologia, l’avvocato spesso presta il fianco a racconti non veritieri da parte dei migranti che servono a convincere i giudici. Penso soprattutto ai ricorsi per l’asilo portati avanti da migranti economici. Questo sistema non rischia di ledere chi ha veramente diritto alla protezione? E che poi si finisca per non credere più a nessuno?
«Noi dobbiamo ascoltare le storie che ci raccontano i nostri assistiti e tradurle in atti legali. Non è sempre vero che un migrante considerato come solo economico dalle Commissioni territoriali non abbia caratteristiche tali da non meritare protezione speciale o anche protezioni maggiori in sede di ricorso per via giudiziaria. Penso alle donne vittime di violenza che non sono riuscite a parlarne in prima istanza o ai migranti a rischio di re-trafficking. Mai come oggi chi difende gli stranieri si trova a dover tutelare i diritti umani fondamentali della persona a fronte delle molteplici violazioni poste in essere dalle autorità amministrative competenti a gestire il fenomeno migratorio».
Entrambi lavorate con il gratuito patrocinio il cui capitolo di spesa, secondo i dati del ministero della Giustizia, tra il 2015 e il 2023 è passato da 215 milioni di euro l’anno a ben 493. Un boom dove il numero degli stranieri è risultato sempre in crescita, come si legge nella relazione del ministero. È un business anche questo?
«Molti dei nostri clienti sono stranieri ma ultimamente è aumentato anche il numero degli italiani che si rivolgono a noi e hanno diritto al servizio legale a spese dello Stato. Non direi proprio che lavorare con il patrocinio arricchisce gli avvocati. L’onorario viene dimezzato e i pagamenti arrivano dopo anni dalla fine dei procedimenti. I business sono altri».
Rossano Sasso (Ansa)
Il leghista: «Qualcuno vuol sostituirsi ai genitori per indottrinare: vale per la “casa nel bosco” come per l’educazione sessuale»
«È ora di fare luce sul sistema delle case famiglia e sui meccanismi dietro gli affidi. Se ne occupi il Parlamento». Rossano Sasso, capogruppo della Lega in commissione cultura alla Camera, tuona contro lo Stato «sfascia famiglia», in relazione alla vicenda di Palmoli. E propone aiuti economici per chi sceglie la «scuola domestica». «Qualcuno vuole sostituirsi ai genitori per fare propaganda ideologica: vale per la “casa nel bosco” come per l’educazione sessuale nelle scuole. Giù le mani dai bambini».
È stato un Natale a metà, per la «famiglia del bosco». Ai Trevallion è stato consentito di vedere i figli a Natale, per due ore e mezza, ma senza pranzare con loro. La struttura di Vasto che ospita i bambini vuole «evitare che si creino precedenti» con altri ospiti.
«Sarebbe stato un precedente di “umanità”. Nelle stesse ore in cui il presidente Mattarella concede la grazia a uno scafista condannato a 30 anni di carcere, nella cui stiva sono stati trovati i corpi di 49 persone, mi aspettavo per l’appunto un gesto di umanità “natalizio” nei confronti di una famiglia che non ha torto un capello a nessuno».
Lei è in prima linea, per difendere la famiglia di Palmoli. A volte distinguendosi anche nella sua coalizione.
«Non ne faccio una questione di diritto, ma di libertà. Sono molto distante dalla famiglia Trevallion: in casa mi piacciono le comodità, adoro la scuola pubblica, ho fatto l’insegnante, che è il lavoro più bello del mondo. Però non mi permetto giudicare modelli educativi diversi dal mio».
Perché questa vicenda non riesce a sciogliersi positivamente?
«Perché assistiamo a uno scontro ideologico tra due concezioni educative. Da una parte chi vuole imporre l’invasione dello Stato nell’educazione dei figli, dall’altra chi sceglie la libertà educativa».
Ma nella relazione degli assistenti sociali della casa famiglia di Vasto si parla di «scarsa alfabetizzazione» e bambini che «hanno paura della doccia».
«Se un bambino viene messo sotto la doccia alla presenza di altri operatori, dopo averlo strappato al suo ambiente famigliare, credo sia normale vedere in lui un certo nervosismo. Semmai, non è normale disporre perizie psichiatriche e trattare i genitori come se fossero “orchi”. E non è normale far finta di nulla di fronte al trauma che stanno vivendo questi bambini».
Trauma?
«Fare il bagno in una tinozza potrà non essere il massimo, ma la ferita creata dalla separazione tra genitori e figli è molto più grave. Ho paura che questi bambini si portino dentro questo trauma per tutta la vita. Non capisco l’accanimento, e francamente neanche il doppiopesismo».
Quale doppiopesismo?
«Questa famiglia è sicuramente particolare, ma al fine di riabbracciare i suoi figli sta accettando dei compromessi, si mostra disponibile a un cambiamento. A quanto pare non basta. Nello stesso tempo, accettiamo bellamente che nei campi nomadi i bambini vengano quotidianamente “allenati” a rubare, o inseriti nel racket dell’elemosina. In questo caso, gli intellettuali si voltano dall’altra parte, e così gli psicologi dell’età evolutiva e gli assistenti sociali. Forse serve più coerenza?».
Ce l’ha anche con i sostenitori del «ritorno alla natura»?
«In un certo senso, i Trevallion hanno fatto una scelta “green”. Mi aspetterei di vedere Greta Thunberg in pellegrinaggio in Abruzzo. Mi chiedo dove siano finiti i Verdi, gli ecologisti, gli ecoimbecilli che bloccano le autostrade. Non si è visto nessuno. Al dunque, quella famiglia è stata scaricata proprio da chi dovrebbe condividere il suo stile di vita».
Sta di fatto che i tre fratelli restano nella struttura di Vasto, in attesa che i reclami vengano accolti.
«Prima o poi dovremo comprendere meglio i meccanismi delle case famiglia. Ho parlato con genitori normalissimi, che si sono visti sottrarre i figli con troppa leggerezza. Per ogni figlio accudito c’è un costo sostenuto dallo Stato, che alimenta un guadagno per queste strutture».
Un business sui bambini?
«Non criminalizzo nessuno: queste strutture nella maggior parte dei casi funzionano egregiamente. Ma serve un approfondimento parlamentare, e conto nella massima convergenza delle forze politiche. Bisogna far luce sul mondo degli affidi. Conosco molti assistenti sociali bravissimi, ma spesso certe interpretazioni sono inaccettabili».
Sull’onda delle polemiche per la famiglia del bosco, lei ha firmato una proposta di legge per incentivare la scuola tra le mura domestiche.
«L’obiettivo è difendere la libertà di scelta educativa, come sancito dalla Costituzione Italiana. L’istruzione parentale nel nostro Paese, a determinate condizioni, è una possibilità già prevista. Ci sono 18 mila famiglie che utilizzano questo strumento, e non sono tutti “figli dei fiori”».
Per questo ha previsto un aiuto economico per l’home schooling, in base al reddito?
«E lo Stato alla fine risparmierebbe, considerato che ogni alunno nella scuola pubblica comporta migliaia di euro di spesa».
Non crede che incentivare l’istruzione a casa possa indebolire la scuola?
«No, parliamo comunque di una piccola minoranza, che non fa male a nessuno e che va tutelata».
Aveva proposto una legge per vietare l’educazione sessuale nelle scuole: poi c’è stata una mezza retromarcia.
«La legge è stata approvata alla Camera: avrei voluto qualcosa in più, ma è un primo passo importante. Introduciamo il consenso informato dei genitori per trattare certi temi in classe».
E perché?
«Va benissimo l’educazione sessuale, se finalizzata a prevenire discriminazioni, malattie sessualmente trasmissibili o gravidanze indesiderate. Il problema è che oggi l’educazione sessuale, quando travalica certi confini, diventa il cavallo di Troia per indottrinare gli studenti».
Addirittura?
«È tutto documentato. Ci sono scuole che prevedono i laboratori con i trans per i bambini di 5 anni. Ci sono i bagni “gender free”. Ci sono fumetti in classe dove si sdoganano i due papà che vanno all’estero a farsi regalare un figlio. La propaganda è ammessa: ma nelle sezioni di partito, non nelle scuole».
Ha dichiarato pubblicamente che l’educazione sessuale è «una porcheria e una nefandezza». Non le pare di avere esagerato?
«Come definirebbe quanto previsto dalle linee guida sull’educazione sessuale dell’Oms? Nella fascia 0-4 anni prevedono la scoperta dei genitali e il piacere della masturbazione. Come reagirebbe dinanzi alla pubblicazione di fumetti ai limiti della pornografia distribuiti in una prima elementare? Onestamente di fronte a certi eccessi, mi considero fin troppo morbido. Per la prima volta abbiamo posto in Parlamento la questione della propaganda gender nelle scuole. E mi rincuora che esista una comunità Lgbt, di cui non si parla mai, che appoggia le mie battaglie».
Sul serio?
«Sì, sono quelli che non confondono i capricci con i diritti, che non ne vogliono sapere dell’utero in affitto, che rifiutano l’ipersessualizzazione dei bambini fin dalla scuola dell’infanzia, come intende fare Silvia Salis a Genova. Per non parlare della cosiddetta “carriera alias”».
Cioè il protocollo inclusivo che permette agli studenti di utilizzare un nome corrispondente alla propria identità di genere, diverso da quello anagrafico.
«Vorrei introdurre il divieto per i minorenni. Se, per la legge, a 13 anni non si ha la capacità di intendere e di volere, allora non si dovrebbe nemmeno avere la capacità di cambiare nome per questioni di genere».
Non crede che un certo tipo di educazione potrebbe scongiurare l’ascesa dei femminicidi?
«No. Nei Paesi nordici, nonostante l'educazione sessuale sia una materia obbligatoria, i femminicidi sono addirittura aumentati».
Nel 2026 lancerà un’altra crociata?
«Firmerò una risoluzione in commissione cultura contro l’islamizzazione scolastica. Non sono più disposto a tollerare maestre di terza elementare che portano i bambini in piazza con la kefiah. Gli insegnanti fanno il loro dovere, tranne un’ esigua minoranza che tradisce la sua missione educativa».
In concreto, come pensa di intervenire?
«Introdurremo anche in questo caso un automatismo nell’informare i genitori di ciò che accade in classe. Va bene studiare le altre religioni, ma non voglio più vedere imam nelle scuole italiane. Non voglio più vedere bambini in gita in moschea, o scuole chiuse per il Ramadan. In Italia succede anche questo. La famiglia è la colonna portante dei valori occidentali. E spero che non vi sia una saldatura tra certi docenti e certi magistrati per attaccarla su più fronti».
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Giancarlo Giorgetti e Giorgia Meloni (Ansa)
Oggi il ddl in Cdm. Trump vede Zelensky: «Credo che lui e Putin siano pronti all’intesa». Il giornalista leva l’elmetto e tifa per la pace. Possibile, per lui, solo con donne ai vertici. Tipo Ursula e la Kallas?
Ancora una volta i gufi resteranno delusi. Nella notte si è trovato l’accordo a tre fra Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia. Il ministro della Difesa, Guido Crosetto, è stato esplicito: «C’è accordo sul decreto Ucraina nel governo e nella maggioranza». Oggi pomeriggio dunque il Consiglio dei ministri varerà il provvedimento che si discosta però dalla semplice proroga fino a tutto il 2026 del decreto che consente l’invio di aiuti all’Ucraina. Con un orecchio teso però verso la Florida, dove ieri sera sono iniziati i colloqui tra Volodymir Zelensky e Donald Trump. Prima di arrivare a Mar a Lago il presidente ucraino ha fatto tappa in Canada dove ha incontrato i premier Mark Carney e ha fatto un’ultima videochiamata con gli alleati europei, compresa Giorgia Meloni. Un secondo round di colloqui a tre tra Zelensky, che è forte del prestito da 90 miliardi assicuratogli dall’Ue, Trump e i leader europei è previsto al termine dell’incontro trai presidenti americano e ucraino.
Da quel che si è appreso Trump avrebbe le carte per chiudere l’accordo di pace o quanto meno una tregua solida, visto che il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, pur accusando il leader europei, ha dichiarato «la Russia è pronta a proseguire la cooperazione con gli Usa per un’intesa su Kiev». Sia la Casa Bianca che il Cremlino, inoltre, ieri hanno parlato di una telefonata «molto buona e produttiva» tra Trump e Putin. Il tycoon si è mostrato ottimista: «Penso che Zelensky e il presidente russo siano pronti a un accordo». È in questo clima che si è lavorato per mettere a punto a Roma il decreto di proroga degli aiuti militari all’Ucraina. Dopo la tessitura, nella notte tra sabato e domenica, che è stata fatta per la Lega da Claudio Borghi con i due sottosegretari alla presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano e Giovanbattista Fazzolari, si è arrivati a una nuova formulazione del provvedimento che si discosta delle norme prorogate di volta in volta dal 2022. Stavolta la Lega, che con Matteo Salvini ha posto rigidi paletti sull’invio di armi, ha ottenuto che il testo sia più articolato. Dal Consiglio dei ministri di oggi dovrebbe uscire un provvedimento che segna una discontinuità: pone l’accento sugli aiuti civili a Kiev come prioritari. Saranno tre i capitoli del decreto: aiuti militari come ha chiesto Crosetto, sostegno con strutture sanitarie e supporto alla popolazione e alle infrastrutture civili con particolare attenzione alla fornitura di energia elettrica, maggiore protezione per i giornalisti e per il personale civile impegnato in Ucraina.
Su questa forma di assicurazione stanno lavorando gli uffici giuridici di palazzo Chigi, il che potrebbe far tardare il provvedimento di un giorno. La Lega, che voleva una proroga di soli tre mesi degli aiuti militari, dopo un colloquio molto riservato tra Matteo Salvini e la premier Giorgia Meloni ha dato il via libera alla durata del provvedimento per un anno. I due - stando ad alcune indiscrezioni - hanno limato personalmente il testo del decreto, almeno nel preambolo politico. Matteo Salvini è particolarmente attento ai colloqui che sono cominciati ieri sera tra Donald Trump e Volodymir Zelensky a Mar a Lago. La previsione di spesa per quanto riguardagli aiuti militari dovrebbe essere in linea con i precedenti quattro decreti (in totale l’Italia ha offerto armi a Kiev per 1,7 miliardi) mentre non si sa a quanto ammonta il conto degli aiuti civili. Sul fronte militare l’Italia può fornire mezzi blindati come i Lince, sistemi di difesa aerea Samp-T, armati con missili Aster, mortai anti-carro e mitragliatrici, ma l’elenco delle forniture è coperto da segreto. Sull’intesa raggiunta nel governo il ministro degli esteri, Antonio Tajani, ha osservato: «Credo che non serva inviare più nessun armamento se si arriva alla pace. La Lega nei voti non si è mai tirata indietro. Continueremo ad aiutare l’Ucraina da tutti i punti di vista. Continuiamo a lavorare per una pace giusta e duratura garantita da accordi di sicurezza a tutela di Ucraina ed Europa». Claudio Borghi ha solo notato: «Vedrete il contenuto del decreto: come dice il Vangelo: dai frutti li riconoscerete».
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Michele Criscitiello (Ansa)
Il direttore di Sportitalia, presidente di un club dilettantistico: «A noi impongono l’uso di giovani scarsi. Mentre in A se compri un italiano serve la fideiussione. Gravina lasci»
Ormai sembra diventato un disco rotto che appassiona milioni di italiani. La Nazionale di calcio perde o fa una figuraccia e per una settimana, solitamente quella in cui il campionato è fermo, non si parla d’altro, cercando di scovare l’origine del problema. Poi tutto torna a tacere e senza capire che il fallimento della Nazionale non è la causa, ma l’effetto che finisce per nascondere problemi molto più profondi e strutturali che da anni affliggono il calcio italiano.
Dalle categorie dilettantistiche fino al professionismo, passando per settori giovanili depotenziati, stadi inadeguati, norme contraddittorie e campionati sistematicamente falsati, il sistema mostra crepe che non si possono più ignorare. Michele Criscitiello, direttore di Sportitalia e presidente di un club di Serie D, la Folgore Caratese, vive questo mondo ogni giorno da una doppia prospettiva: quella del giornalista che osserva e racconta, e quella del dirigente che affronta sul campo costi, regole e paradossi.
Direttore, da anni ripeti che la crisi della Nazionale è solo la punta dell’iceberg.
«La Nazionale è l’ultimo dei problemi, non il primo. È quella che ha più vetrina, quindi quando non vai al Mondiale sembra che improvvisamente il calcio italiano sia un disastro. Ma il calcio italiano è un disastro anche quando ai Mondiali ci vai, o anche quando vinci un Europeo come è successo con Mancini».
Quali sono i problemi veri, quelli che non fanno notizia ma affossano tutto il sistema?
«Non c’è una conoscenza dei problemi che ci sono nel calcio giovanile, nel calcio dilettantistico, nel calcio periferico, dove non ci sono le strutture e nel fatto che non si riesce a cambiare mezza normativa perché, come spesso dice Gravina, ci sono dei cavilli burocratici. Ma non sono problemi nostri, devono essere problemi suoi che quando accetta il primo, il secondo e il terzo mandato deve essere in grado di poter cambiare. Altrimenti stiamo pensando solo ed esclusivamente alla poltrona».
Dopo il Mondiale del 2014 Abete si è dimesso. Nel 2018 Tavecchio idem. Nel 2022 Gravina è rimasto al suo posto. Ora rischiamo di non qualificarci per la terza volta di fila e ha dichiarato che anche senza Mondiale non si dimetterebbe. C’è un problema di responsabilità nel calcio italiano?
«Assolutamente sì, perché Gravina arriva a fare il presidente federale dopo una certa gavetta a livello di politica sportiva e si tiene stretto questa poltrona. Non avrebbe mai immaginato fallimenti del genere, dopo l’Europeo. Però mentre Tavecchio e Abete hanno dimostrato una dignità sportiva, lui no. Lui pensa solo al suo ego e alla sua posizione».
Quindi il punto è il ruolo stesso del presidente federale?
«Il presidente federale non è il Lotito o il Cairo di turno. Rappresenta la nazione. Se la Nazionale fallisce, si deve dimettere. Non può decidere lui, “mi dimetto o non mi dimetto” in base alla sua dignità sportiva. Secondo me nello statuto futuro va scritta una regola chiara: se fallisci due grandi obiettivi - Europeo o Mondiale - sei fuori. Il fatto che Gravina resti è solo uno dei tanti cortocircuiti del sistema. È stato eletto dalle componenti che non vogliono scardinare il sistema, quindi tutto resta com’è».
Mancano alternative concrete?
«Sì, perché non ci sono candidati credibili in vista di un ricambio. Si stava presentando Del Piero ma ha rinunciato, potrebbe farlo Maldini ma è antipatico a molti, Albertini stava crescendo ma è troppo legato all’Aic, Tommasi troppo vicino ai calciatori e poi si è messo in politica. Oggi una vera alternativa è difficile da individuare. Potrebbe esserci Marani, però visto i problemi che ci sono nella Lega Pro, non cambio Gravina con Marani, con tutto il rispetto».
Perché?
«È stato un grande giornalista, ha sempre seguito la Serie A, la Champions League, i grandi livelli, ma ora fa il presidente della Lega Pro e prima non aveva mai visto una partita di Serie C. E per fare il presidente di Serie C devi conoscere i problemi dei presidenti di quei club».
Per esempio?
«Sotto al calcio dei grandi c’è un mondo che non funziona. Parliamo dei giovani. Ci impongono l’utilizzo, ma allora noi li utilizziamo perché sono forti o perché sono giovani? La risposta è perché sono giovani. Siamo obbligati a farli giocare, ma l’anno dopo che diventano senior e non under non giocano più a calcio. E quindi cosa mi stai portando? Niente».
La riforma Zola è stata un flop?
«Lo dico da due anni che è un flop. Se tu mi metti il 400% di incasso sul minutaggio di un giovane del tuo vivaio, ma scarso, che qualità dai? Se io ho il giovane forte, non mi devi obbligare a metterlo. Sono interessi miei che lo valorizzo e poi lo vendo e l’indotto gira. E poi c’è un’altra anomalia».
Quale?
«Se un presidente di Serie A vuole acquistare un giocatore italiano deve mettere una fideiussione a garanzia. Se lo prende straniero no. Ma è ovvio che io da presidente penso ai miei interessi e mi vado a prendere quello che non mi costa la fideiussione. Poi ci lamentiamo che il Como gioca con tutti gli stranieri, ma fanno bene. C’è una legge che lo vieta? C’è un vantaggio sotto alcuni punti di vista che ti incentiva a far giocare gli italiani? No. Corvino vince la Primavera a Lecce con tutti stranieri. Il problema è Corvino? No. Il problema è il sistema del calcio italiano».
Queste anomalie, alla fine, pesano anche sui conti dei club?
«Non è normale che tutti i presidenti di Serie C e di Serie B perdano soldi. Tutta la Serie A perde soldi, se non quelli che fanno le plusvalenze e che vanno in Europa».
Entrando più nel dettaglio?
«Sessanta società non possono reggere il professionismo. La Serie D a nove gironi con 160 società sono troppe. Bastano sei gironi di Serie D e due di C, con una tassazione massima del 23%. Punto. Perché io non posso permettermi di pagare tutti quei soldi per giocatori che poi devono avere anche il minimo federale. E poi vediamo le società fallire».
Per ultima il Rimini.
«L’anno scorso Turris, Taranto, Lucchese, quest’anno il Rimini. La Triestina adesso sta ancora a meno due dopo che era partita da meno 20».
Così si falsano i campionati?
«Tutti gli anni sono falsati. Perché è normale un sistema dove il Brescia presenta un’iscrizione farlocca e non fa ripescare il Caldiero che aveva investito quasi 2 milioni sulla struttura?».
Cos’è successo al Caldiero?
«È la fotografia di come non funzioni il calcio italiano. Dalla Serie D inaspettatamente va in Serie C. Non ha lo stadio, va a giocare sul campo della Virtus Verona. Nel frattempo fa i lavori, spende 1.800.000 euro per sistemare il suo stadio. A febbraio comincia a giocare a casa propria, a maggio è retrocesso, poteva essere ripescato, non l’hanno ripescato. Hanno speso per due mesi di partite in casa 1.800.000 euro. Adesso è di nuovo in Serie D a tre punti dai play-out».
Perché, nonostante questi problemi siano evidenti da anni, non si riesce mai a fare una riforma vera?
«Perché non c’è voglia di migliorarsi. Non c’è il coraggio di fare un cambiamento vero, anche a costo di essere contestati per due o tre anni. E invece si va avanti per inerzia, perché tanto va bene a tutti e stiamo solo facendo finta di non vedere che il calcio italiano, strutturalmente, non sta più in piedi».
Quante volte hai provato a invitare Gravina in trasmissione?
«Privatamente, anche tramite agganci privati, due o tre volte. Pubblicamente tutte le settimane».
Perché pensi voglia evitare questo confronto?
«Non so. Ma lui se venisse ne uscirebbe anche bene. Abbiamo fatto un pranzo insieme e lui le spiega bene le cose perché è una persona intelligente. Però la teoria è una cosa, i fatti sono un’altra».
Il 2 gennaio parte il mercato invernale. Che ti aspetti?
«Non mi aspetto chissà cosa. Se il Milan riesce a sistemare qualcosa in avanti con la punta, ci sta, però per il resto non vedo grandi rivoluzioni o grandi investimenti».
A Firenze che cosa sta succedendo?
«Purtroppo hanno avuto la tragedia di Joe Barone che ha lasciato il vuoto sia nella dirigenza che nella proprietà, perché fondamentalmente era l’uomo di Commisso. Quella figura non è stata sostituita, o meglio è stata sostituita malissimo, e la società è completamente allo sbando. Al di là dei giocatori, c’è proprio la gestione che manca».
Quest’anno più che gli allenatori stanno pagando i ds. Perché?
«Innanzitutto perché i presidenti sono sempre più protagonisti. Poi anche perché i direttori sono più deboli rispetto al passato. Prima la figura del ds sostituiva quella del presidente, ora è il contrario. Ci sono tanti direttori che molte volte accettano questo pur di lavorare, ma non sono autentici ds».
Elkann dovrebbe vendere la Juventus?
«Il calcio lo puoi fare solo se hai una passione matta e se sei pazzo. Elkann mi sembra che non ce l’abbia, l’ha dimostrato negli anni. Lo fa per economia e finanza, però la Juve deve avere un futuro proprietario diverso, perché la famiglia Agnelli basava tutto sulla volontà, sulla voglia e sulla passione di Gianni e Umberto. L’unico appassionato di calcio della famiglia è Andrea, ma se lo considerano non idoneo per gestire le casse della Juventus, allora vendi e basta».
È partita la Coppa d’Africa in Marocco, vostra esclusiva per il secondo anno. Che risultati avete avuto e cosa vi aspettate?
«La prima è stata un grandissimo successo, forse anche inaspettato. Secondo me lì c’è da fare uno studio sociale, più che sportivo televisivo. Non pensavo una roba del genere, abbiamo fatto dei numeri da calcio in chiaro di Serie A. Quest’anno firmerei per avere gli stessi ascolti della prima edizione».
È un calcio che piace sempre di più al pubblico?
«È un calcio sempre più fisico e imprevedibile. Poi ci mettono la passione. Malu Mpasinkatu mi racconta che per gli africani è più importante del Mondiale. E poi gli stadi. Parliamo tanto degli stadi che fanno schifo, diciamo il Terzo Mondo, ma il Terzo Mondo non sono loro, siamo noi. Nel 2023 in Costa d’Avorio era tutto bellissimo. Ora in Marocco, da quello che sto vedendo, gli stadi sono perfetti. Noi non riusciamo a organizzare un Europeo e nemmeno una finale di Champions».
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