2025-01-05
«La Cei sbaglia a fondare la propria comunicazione solo sulle chiacchiere»
Monsignor Gaetano Bonicelli
Il decano dei vescovi monsignor Gaetano Bonicelli: «Nei suoi messaggi sociali va troppo in ordine sparso. L’Europa oggi ha perso le sue radici cristiane e dovrebbe pentirsi di questo».Con i suoi cento anni, compiuti il 13 dicembre scorso, monsignor Gaetano Bonicelli è il decano dei vescovi italiani e un testimone d’eccezione della storia di questo Paese, vissuta accanto a grandi Papi e a personaggi che hanno lasciato un segno nelle vicende del mondo. Ordinato sacerdote sotto Pio XII, consacrato Vescovo (alla guida della diocesi di Albano) per volere di Paolo VI, nominato Ordinario Militare per l’Italia da Giovanni Paolo II, e quindi (fino al 2001) arcivescovo di Siena-Colle Val d’Elsa-Montalcino, Bonicelli rappresenta un pezzo di vita ecclesiale; il suo sguardo, tuttora lucido, diventa allora prezioso per interpretare questa fase storica che la Chiesa - e con essa l’umanità tutta - sta vivendo, e che papa Francesco, parlando nel 2019 alla Curia romana, aveva definito «un cambiamento di epoca.»Eccellenza, lei ha sperimentato il passaggio da una Chiesa «trionfante» a una Chiesa che, sotto i colpi del secolarismo, sta tornando ad essere missionaria nello stesso Occidente, dove un tempo il Cristianesimo era di casa: come vivere questo momento?«Molto semplicemente: prendendo le cose così come sono e cercando di indirizzarle al meglio. Con attenzione verso il cambiamento, ma senza spaventarsi».Il mondo moderno si è convinto di poter fare a meno di Dio, tanto che nemmeno durante la pandemia ha alzato gli occhi al Cielo. Cosa ne pensa?«Che ha perso un’occasione per avere, di fronte agli eventi, uno sbocco per trovare un senso positivo alla vita».È mancata la presenza delle parrocchie, la cui attività da allora ha subito un brusco rallentamento, riducendosi in molti casi ai minimi termini. Se lei oggi fosse un giovane parroco, cosa farebbe?«Premesso che, da centenario, mi è difficile calarmi nella condizione di parroco, non sono pregiudizialmente capace di vedere solo l’aspetto negativo: buona parte dei preti che conosco - e nella mia vita ne ho incontrati tanti - sono capaci di trovare il bandolo giusto e concentrarsi sulle cose principali. Direi che continuino così».Ma lei che ha vissuto i tempi in cui il cardinale Ruini era il presidente dei vescovi italiani e la loro presenza si faceva sentire, come spiega l’attuale ritirata dei presuli, che si esprimono molto meno e quasi sempre su questioni sociopolitiche? C’è il timore di intervenire?«Se c’è timore non saprei. Non ho tanto l’impressione che i preti siano sbilanciati sui problemi sociali o politici, ma piuttosto che il mondo vada per conto suo e che loro difficilmente riescano ad entrare nel gioco. Detto questo, sono convinto che ci sia spazio, bisogno e necessità di impegnarsi e che serva il coraggio, oggi, di dire la nostra posizione. Io fin da piccolo ho avuto una educazione cristiana e da prete ho sempre cercato di mantenere una linea corretta a questo riguardo: non mi sono mai sognato di inventare una forma nuova di essere cristiani. Cristiani si è quando si accetta Cristo, e il “disagio” della vita cristiana, oggi, è quello di riuscire a far capire che Gesù è al centro della nostra esperienza cristiana e perciò umana».Quello che lei ha appena detto sulla sua educazione mi porta a chiederle: la crisi delle vocazioni, cui assistiamo, rimanda alla crisi della famiglia?«Indubbiamente: sono argomenti legati. Quando penso alla mia famiglia mi rendo conto che le devo tutto. Poi c’è la società nel suo insieme e la cultura imperante, che cerca di avere il monopolio sull’uomo, privandolo di quanto di meglio può esserci. Credo che non si debba essere negativi nel giudicare il nostro tempo ma nemmeno così ingenui da accettare tutto e rinunciare a suggerire cambiamenti».Lei ha vissuto l’epoca delle grandi ideologie, mentre ora siamo nel tempo del pensiero liquido, dove dominano parole prive di contenuto ma contro la verità - penso al linguaggio del politicamente corretto. Come vede il ruolo della Chiesa sulla base della sua esperienza?«La mia esperienza è nulla in confronto alla storia della Chiesa ma ritengo essa debba essere capace di accettare tutto quello che esiste, leggerlo e valutarlo in quanto esperienza umana e perciò aperta all’essere cristiani. Certo, c’è da pensare come mai gli uomini di Chiesa non siano capaci di produrre una linea accettabile quantomeno da parte di chi vorrebbe migliorare la situazione».Stiamo vivendo un attacco all’antropologia della creazione, alle figure del maschio e della femmina, che quando sono unite descrivono Dio. Come affrontare questo momento?«È importante che la Chiesa sia presente, accanto alle persone, in quelli che sono i grandi problemi della vita: se noi, come Chiesa, riflettiamo bene su questo allora abbiamo una parola giusta da dire».Cosa pensa del declino dell’Europa, lei che nel 1999, da Vescovo di Siena, raccolse migliaia di firme affinché Santa Caterina da Siena diventasse compatrona d’Europa? Una richiesta che spedì al Santo Padre e che lui accolse.«Ero convinto che Caterina avesse scelto la parte giusta impegnandosi e lavorando per la pace e l’unità tra i sovrani europei. Oggi l’Europa ha perso le sue radici cristiane e di questo dovrebbe pentirsi, riconoscendo che la speranza viene dal Cristianesimo».Lei è stato molto vicino a Giovanni Paolo II. Quale ricordo conserva?«Ero vescovo di Albano e, come tale, sulla mia diocesi gravitava Castelgandolfo, residenza estiva dei papi, dove Giovanni Paolo II trascorreva periodi di riposo: mi telefonava spesso per invitarmi e con lui si era creato un rapporto fraterno e positivo veramente bello. Accettava volentieri tutte le osservazioni che io - allora giovane vescovo - gli sottoponevo. Fu proprio lui a darmi l’incarico di Ordinario Militare a Roma e in questa veste feci istruire il processo per l’apertura della causa di canonizzazione di Salvo d’Acquisto».Ha conosciuto Ratzinger prima che diventasse Benedetto XVI…«Sì. Quando venne a Roma mi affidò la responsabilità di gestire i gravi problemi relativi ad una congregazione religiosa, che lui voleva liquidare. Io ebbi il coraggio e la dignità di far presente quello che avevo potuto verificare e chiarire, dopo una visita in tutta Italia presso le sedi della congregazione, e gli dissi che secondo me non andava liquidata ma aiutata a ritrovare un senso. Ci avevo visto giusto: il senso l’hanno ritrovato, tanto che la congregazione esiste tuttora e ogni anno conta una ventina di nuovi sacerdoti!». Lei è stato anche il primo direttore delle Comunicazioni Sociali della Cei: come pensa che comunichi oggi la Chiesa? «Ho l’impressione che nelle Comunicazioni sociali non ci sia una unità e che molti si muovano un po’ in ordine sparso. Perché fondare la comunicazione solo sulle chiacchiere non è quello che dovremmo fare. Occorre il coraggio di cui parlava Benedetto, che aveva una visione molto precisa del dovere proprio e di quello della Chiesa. Il suo desiderio era coniugare libertà e serietà».Da uomo di fede come immagina l’Aldilà?«È chiaro che, alla mia età, io penso molto, molto seriamente all’Aldilà, che per me non è lontano. Ma se noi crediamo in Gesù Cristo, significa che crediamo che questo passaggio sia andare nel cuore di Dio. Pensare all’Aldilà, perciò, non mi fa paura».
Giorgia Meloni ad Ancona per la campagna di Acquaroli (Ansa)
«Nessuno in Italia è oggetto di un discorso di odio come la sottoscritta e difficilmente mi posso odiare da sola. L'ultimo è un consigliere comunale di Genova, credo del Pd, che ha detto alla capogruppo di Fdi «Vi abbiamo appeso a testa in giù già una volta». «Calmiamoci, riportiamo il dibattito dove deve stare». Lo ha detto la premier Giorgia Meloni nel comizio di chiusura della campagna elettorale di Francesco Acquaroli ad Ancona. «C'é un business dell'odio» ha affermato Giorgia Meloni. «Riportiamo il dibattito dove deve stare. Per alcuni è difficile, perché non sanno che dire». «Alcuni lo fanno per strategia politica perché sono senza argomenti, altri per tornaconto personale perché c'e' un business dell'odio. Le lezioni di morale da questi qua non me le faccio fare».
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