2019-06-01
Gad Lerner in Rai costa 60.000 euro per ogni puntata. Il doppio di Vespa
Maxi compenso al comunista con il Rolex per sparare a zero sulle «classi subalterne» che si ostinano a votare Matteo Salvini.«Tutto possono fare tranne che mettere in dubbio la mia onestà». L'amministratore delegato della Rai, Fabrizio Salini, è entrato in modalità piagnisteo e il segnale non è trascurabile. Significa due cose: la sua Rai va male e il tentativo maldestro di spostarla (e di spostarsi) a sinistra in chiave antisovranista è stato smascherato. A farlo non si è adoperato il Movimento 5 stelle, non ne aveva interesse poiché la massima azienda culturale del Paese sta diventando il banco di prova degli inciuci fra grillini e Pd. Ma sono stati i parlamentari della Lega, che con un documento depositato in commissione di Vigilanza hanno chiesto qualcosa di assolutamente legittimo per chi deve vigilare: l'elenco delle società di produzione esterne che lavorano con la tv pubblica e «il numero e l'importo dei contratti in essere con Stand by me». Salini è indignato perché Stand by me è la società di produzione televisiva dalla quale proviene. Non si tratta di onestà o meno, ma di trasparenza. Del resto qualche preoccupazione per le spese dell'ad è naturale. Il mandato governativo era quello di «valorizzare le risorse interne» e invece lui sta provando a ingaggiare da Sky Alessandro Cattelan (praticamente sconosciuto per chi non sta sul satellite a pagamento) per fargli condurre il Festival di Sanremo. Il mandato era un taglio ragionato dei maxicompensi e invece lui, dopo aver massacrato Bruno Vespa (ormai politicamente ininfluente), sta trattando Fabio Fazio come un vaso Ming. Il presentatore più amato dal presidente Sergio Mattarella e molto vicino al Pd è praticamente intoccabile, e infatti Salini si tiene alla larga.Il mandato prevedeva infine un radicale cambiamento dei volti e dello stile dei programmi. E invece riecco Gad Lerner (altro esterno), fatto entrare con un blitz dalla porta di servizio di Raitre dopo gli ultimi flop, a riproporre un format già vecchio di suo e del quale tutto si può intuire fin dal titolo: L'Approdo. Fra onde, storie di migranti, eroismi delle Ong e biechi razzismi italiani. Con la scenografia di un barcone sfondato. Nulla da spartire con l'antica trasmissione di lettere e arti dell'era preistorica, certamente più originale e meno onerosa. Il ritorno di Lerner ha un costo editoriale di 300.000 euro; 60.000 a puntata per un programma di seconda serata, un'esagerazione, il doppio di Porta a Porta. Al conduttore andrà un compenso attorno ai 150.000 euro (30.000 a settimana) per poco più di un mese di lavoro, non propriamente un sacrificio da caporalato. È il capolavoro di Salini e del direttore di Raitre, Stefano Coletta, cresciuto dentro la rete di sinistra, nominato in pieno governo Gentiloni e confermato dal governo Conte più per superficialità che per convinzione. Per non rischiare un intoppo sostanziale davanti al presidente Marcello Foa e al consiglio d'amministrazione, Salini si è ben guardato dal pronunciare la parola Lerner in cda, bellamente bypassandolo. Nella Lega c'è il timore che le cinque puntate (il via lunedì sera alle 23.10) siano un cavallo di Troia per prendere a cannonate Matteo Salvini e quella parte di governo di centrodestra che Lerner da sempre detesta fingendo di studiare. Non a caso il primo appuntamento sarà sulla storia della Lega. Quando il consigliere Rai Giampaolo Rossi (Fratelli d'Italia) spiega che «Lerner è un intellettuale divisivo nel Paese, portatore di una cultura di odio e intolleranza», tocca il nervo scoperto di un'operazione che odora di trappola. Infatti a pochi giorni dalla messa in onda si scopre che oltre a quello dei migranti, il talk show tratterà i luoghi comuni preferiti della narrazione gauchiste per giustificare il proprio fallimento: l'ignoranza in politica, l'analfabetismo di ritorno, il nazionalismo economico, il turpiloquio al potere in un tempo in cui «il leader politico raffigura se stesso come uno che parla come il popolo». Si prevede un'invettiva contro quelle che lo stesso Lerner definisce «classi subalterne», contribuenti italiani che vanno frustati in piazza (a 60.000 euro a puntata) per non aver votato a sinistra o almeno 5 stelle. Alla Rai, sulle alleanze prossime venture, le antenne sono più sviluppate che altrove.Non è un caso che siano proprio piddini e grillini i più strenui difensori del direttore del Tg1, Giuseppe Carboni, voluto fortemente dalla componente pentastellata e palesemente in difficoltà. Il primo motivo è rappresentato dagli spigoli della gestione redazionale, caratterizzata da valorizzazioni a senso unico degli uomini di Mario Orfeo. Della serie: la discontinuità questa sconosciuta. Un giorno Carboni è quasi arrivato alle mani con il vice Angelo Polimeno Bottai, tanto che in commissione di Vigilanza Daniela Santanché ha attribuito al direttore una «particolare litigiosità». A sua difesa è intervenuto l'ineffabile Salini: «Prima di attribuire responsabilità è meglio attendere l'inchiesta interna». Meno facilmente difendibili sono i numeri di un Tg ammiraglio che pare la Bismarck dopo il siluro dello Swordfish: il Tg5 è di nuovo in corsia di sorpasso. Dovesse accadere, la bocciatura di Carboni diventerebbe inevitabile. E neppure Gad Lerner avrebbe il coraggio di parlare di epurazione. Forse.
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