2024-03-09
Fuoco amico su Ursula: «All’Ue serve altro»
Ursula von der Leyen (Ansa)
Due liberali, come il commissario Breton (vicino a Macron) e il tedesco Lindner, hanno criticato la scelta del Ppe di ricandidare la Von der Leyen per la Commissione. Il suo bis scricchiola e la Meloni si è tenuta le mani libere per appoggiare l’alternativa.«Bene ma non benissimo», cantava qualche anno fa un giovane rapper. È proprio così che è andata per Ursula von der Leyen, che al congresso del Partito popolare europeo (Ppe) a Bucarest ha strappato con le unghie l’assenso a diventare il candidato principale (spitzenkandidat) del partito per le elezioni europee di giugno. L’attuale Presidente della Commissione ha ottenuto 400 voti su 489 voti validi, il che, detto così, suona come un plebiscito. In realtà, però, i delegati del Ppe aventi diritto di voto erano 737, dei quali 591 si erano registrati per votare e solo 499 hanno effettivamente votato.Dunque Von der Leyen consegue una candidatura tutt’altro che solida, ottenuta solo grazie alla sparizione di un terzo dei delegati al momento del voto. A fronte di un tale misero risultato, non si sono fatti attendere i commenti velenosi dei liberali. Dalla Francia, il commissario europeo al Mercato interno, Thierry Breton, che fa parte del partito liberale Renaissance (Renew Europe), ha scritto su X: «Nonostante le sue qualità, Ursula von der Leyen è stata messa in minoranza dal suo stesso partito. La vera domanda ora è: “È possibile (ri)affidare la gestione dell'Europa al Ppe per altri 5 anni, o 25 anni consecutivi?”. Lo stesso Ppe non sembra credere nel suo candidato».Sempre su X, a ruota, si è palesato il ministro delle finanze tedesco, il liberale Christian Lindner, il quale ha scritto, lapidario: «Come presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen è a favore della burocrazia, degli obblighi e dei divieti tecnologici. Ci vuole forza per correggere progetti come il divieto dei motori a combustione. È sconcertante che la Cdu supporti questo. L’Europa ha bisogno di meno Von der Leyen e di più libertà.”Due autentiche bordate da parte di un partito che, come gruppo al parlamento europeo, fa parte integrante della maggioranza Ursula ed esprime alcuni Commissari. In più, considerato lo stretto legame di Breton con il presidente francese Emmanuel Macron, la staffilata sa anche di bocciatura da parte della Francia. Mentre è più comprensibile, in chiave di politica interna, lo strappo consumato dal connazionale Lindner, che ha la Cdu, membro del Ppe, all’opposizione del suo governo.Dunque, la candidatura da parte del Ppe appare non proprio trionfale, se non riluttante, ed ora anche gli alleati europei parte della maggioranza Ursula affossano l’idea di un bis di Von der Leyen. Non giova alla designata popolare tedesca l’evidente conflitto di interessi in cui si trova, da Presidente della Commissione in carica e candidata a succedere a sé stessa. La cosa indispettisce i partiti concorrenti, che però, a parte il Pse, stanno tardando ad indicare i propri candidati. Così come non giova a Von der Leyen la necessità di compiere significativi testacoda sul proprio programma politico attuato sinora, per avere qualche chance di guidare la prossima Commissione. Il quinquennio targato Ursula è stato ricco soprattutto di fallimenti e normative indisponenti, che hanno suscitato veementi proteste e grandi preoccupazioni sul futuro. Le pretenziose norme del Green Deal, un’accozzaglia di norme che ingessano l’economia e squilibrano il continente, hanno provocato soprattutto sconcerto e nessun risultato. Per tacere della sospetta gestione della questione vaccini.È evidente che da qui alle elezioni di giugno si assisterà a uno spettacolo continuo, tra smargiassate e lunghi coltelli. Tuttavia, si aprono spazi politici notevoli per chi avesse il sangue freddo di cogliere l’opportunità. La posizione debole di Ursula von der Leyen la costringe infatti a cercare appoggio fuori dal Ppe, e segnatamente verso destra. Ma mentre il «no» del gruppo Identità e democrazia è netto e chiaro, il silenzio di Giorgia Meloni è abbastanza emblematico. Fratelli d’Italia non è parte della maggioranza Ursula attuale, ma ha appoggiato sottovoce molte delle scelte compiute in questa legislatura. In campagna elettorale potrà pescare a piene mani gli argomenti giocati sulle «follie di Bruxelles» non essendone pienamente titolare. Allo stesso tempo, però, il ruolo di governo del partito di Giorgia Meloni, che in Europa appartiene al gruppo dei conservatori Ecr, imporrà un sostegno al nuovo presidente della Commissione, che passa anche, per il momento, per un sostegno d’ufficio a quello attuale. La qual cosa può suonare imbarazzante nei confronti di un elettorato provato da cinque anni di impoverimento.Sia i conservatori che ampie frange dei popolari, insomma, avrebbero maggiore agio se il candidato alla guida della Commissione non fosse Von der Leyen, la quale non può giocare nel doppio ruolo di bersaglio di critiche e candidato a un nuovo corso che rinnega il precedente. (Certo, in Italia abbiamo visto anche questo, nel passaggio dal governo gialloverde a quello giallorosso nella scorsa legislatura. Ma forse a Bruxelles la capriola risulterebbe un po’ più difficile. Forse).Esiste dunque un’ampia leva negoziale in mano a Meloni, che può lavorare a livello europeo per acquisire peso nella scelta del prossimo presidente della Commissione, intestandosi la sostituzione della disastrosa Von der Leyen con un altro, nuovo Presidente. Il cui nome, al momento, resta ben coperto, in attesa del prossimo passo falso dell’attuale Presidente della Commissione.
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