2021-11-09
I colpi di fulmine fanno una strage. Ma c’è chi è sopravvissuto 11 volte
Colpiti da fulmini: Martin Lutero, Lucia Annunziata, Sharon Stone (Ansa-IStock)
Il record appartiene a uno statunitense di 68 anni che ha raccontato: «È come sentirsi cotti dentro e fuori» Ma negli ultimi anni il numero di lampi e vittime è molto aumentato. In Italia nel 2021 i defunti sono già 4.000.Negli ultimi mesi tempeste di fulmini si sono abbattute su tutt'Italia, dalla Liguria alla Sicilia. Un fulmine ha danneggiato un campanile di Palermo, un altro ha mandato in tilt dei citofoni a Napoli e un altro, sulle montagne di Massa Carrara, ha sterminato un intero gregge di pecore - 47 capi morti in una manciata di secondi - e, più di recente, a Verona ha folgorato un operaio che stava lavorando su un traliccio. Secondo le statistiche mondiali, le probabilità per una persona di essere colpita da un fulmine sono remote. Nel 2020 si sono contati 441.211.344 lampi, di questi però 409.645.512 si sono sviluppati tra nuvola e nuvola e solo 31.549.740 si sono scaricati al suolo. Tuttavia, stando a uno studio dell'Università di Washington, questi numeri tra un secolo saranno raddoppiati. Gli scienziati hanno rilevato un aumento del 12% per ogni grado di rialzo della temperatura. L'esperimento è stato condotto nell'Artico che nell'ultimo decennio ha visto i termometri salire di ben 0,9 gradi centigradi e il numero di fulmini crescere da 35.000 nel 2010 a 240.000 nel 2020. Numeri impressionati che riportano a un pensiero di Seneca: «Noi riteniamo che i fulmini siano emessi perché le nubi entrano in collisione. Gli etruschi pensano che le nubi entrino in collisione apposta per emettere i fulmini. Poiché tutto quello che accade ha un significato, si tratta di interpretare i segni che il dio ci manda e adeguare il proprio comportamento».In Italia si contano in media un milione e 600.000 lampi che provocano ogni anno una quindicina di morti. Nel mondo la conta annuale dei morti folgorati sta aumentando. Se qualche anno fa si registravano un migliaio di vittime, nel primo trimestre del 2021 se ne contano già 4.000. A morire per un colpo di fulmine sono per la maggior parte contadini venezuelani, brasiliani e indiani che lavorano in mezzo a campi sterminati ma anche qualche sprovveduto turista in cerca del selfie perfetto. Fortunatamente, secondo il National Weather Service degli Stati Uniti, l'80-90% delle vittime di fulmini sopravvive. Alcuni però possono riportare danni a breve o a lungo termine, come aritmie cardiache, confusione, convulsioni, capogiri, dolori muscolari, sordità, mal di testa, perdite di memoria, problemi di attenzione, cambi di personalità, dolore cronico o ustioni. Lo sa bene Lucia Annunziata che ancora oggi ne paga le conseguenze. Aveva un anno appena quando un fulmine ha colpito la casa in cui abitava in Irpinia: «S'è propagato attraverso tutti i locali e una scheggia di fulmine mi ha colpito un occhio, bruciandolo per sempre. Vivere con un solo occhio ti abitua a un controllo delle tue risorse. Si è più attenti a quello che si fa». Anche l'attrice Sharon Stone ha vissuto quest'esperienza. Anche lei era in casa, stava riempiendo il serbatoio del ferro con l'acqua del rubinetto per stirare alcuni panni, «quando il pozzo è stato colpito da una saetta. La scarica è passata attraverso l'acqua con una potenza tale da sollevarmi da terra e sbalzarmi metri più in là, contro il frigorifero. Svenni». A soccorrerla per fortuna c'era la madre: «Mi ha schiaffeggiato per farmi rinvenire, poi mi ha portato in ospedale, dove i medici mi hanno praticato un elettrocardiogramma per valutare quanta elettricità avessi accumulato». Il record di uomo più colpito da saette appartiene a Roy Cleveland Sullivan, ranger forestale di Waynesboro, in Virginia, fulminato sette volte, tra il 1942 e il 1977. La prima volta, sorpreso sulla torre di guardia antincendio, perse un'unghia del piede sinistro. La seconda, nel 1969, venne colpito mentre guidava su una strada di montagna: svenne ma se la cavò con qualche ustione e la perdita delle sopracciglia. Il terzo fulmine gli danneggiò la spalla sinistra mentre stava nel suo giardino, il quarto gli bruciò i capelli, il quinto il cappello. La sesta volta, durante un picnic lo centrò all'anca. L'ultima, il 25 giugno 1977, fu costretto al ricovero. La saetta lo aveva colpito al bacino mentre era a pesca provocandogli forti bruciori allo stomaco. Morì suicida nel 1983, a 71 anni, per una delusione amorosa si sparò un colpo di pistola dritto nella tempia.Paradossalmente andata meglio a Melvin Roberts, un 68enne del Sud Carolina che sostiene di essere stato colpito da 11 fulmini: «È come sentirsi cotti, dentro e fuori. Non puoi mangiare nulla per 3 giorni, hai diverse ferite e problemi alla memoria e nel linguaggio, ma tutte le volte sono riuscito a sopravvivere e a ricominciare la mia vita di tutti i giorni». Tuttavia qualche anno fa il Guinness dei primati ha rifiutato la sua iscrizione nell'albo dei record per insufficienza di prove. Non avrà la gloria ma, almeno lui, la moglie ce l'ha ancora al suo fianco.È entrato invece di pieno diritto nel Guinness il fulmine che il 31 ottobre del 2018 s'è esteso per 709 chilometri - più o meno la distanza tra Milano e Napoli - tra il sud del Brasile e il nord-est dell'Argentina. Sempre in Argentina ma nel 2019, secondo la World Meteorological Organization, è scoccato il fulmine più lungo in termini di tempo: è durato 16,7 secondi. In entrambi i casi i lampi si sono verificati tra una nuvola e l'altra.La scarica elettrica sprigionata da un fulmine può arrivare a 1 milione di volt. Per capire la potenza basti pensare che i volt che passano nelle nostre prese sono 220 volt. Un lampo può originare una temperatura fino a 30.000 gradi celsius, cinque volte più calda della superficie del Sole. Con la sua energia una sola saetta potrebbe alimentare una lampadina da 100 watt per 3 mesi. La luce di lampo viaggia a 300.000 km/s, ovvero a una velocità 900.000 maggiore rispetto al suono che non percorre più di 330 m/s. Sin dalla notte dei tempi la potenza dei fulmini ha spaventato l'uomo. Gli antichi greci ritenevano che fossero il simbolo dell'ira di Zeus, nel medioevo si credeva che fossero un elemento della malasorte, tanto che per allontanarli ci si affidava a pozioni e pietre magiche. D'altronde pare che fu un lampo a convincere Martin Lutero a prendere i voti. Era il 2 luglio del 1505 quando, ritornando ad Erfurt dopo una visita ai genitori, incappò in un temporale e un fulmine s'abbatté a pochi metri da lui. In quel momento fece voto a Sant'Anna che se fosse sopravvissuto si sarebbe fatto monaco. Chissà che ne sarebbe stato del protestantesimo se fosse nato due secoli e mezzo dopo, quando a sfatare la spiritualità di un fulmine bastò un aquilone, o meglio, un cervo volante. Infatti nel giugno del 1752, qualche decennio prima di farsi padre fondatore dell'America, un giovane Benjamin Franklin scienziato, convinto i fulmini fossero «fuochi elettrici», decise di fare un esperimento durante un temporale a Philadelphia. Con l'aiuto del figlio, unì due bastoncini di legno, li ricoprì con un fazzoletto di seta e, all'estremità del suo cervo volante, pose una punta di ferro. A questa legò una fune di canapa - conduttrice - che terminava poi con un cordone di seta - non conduttore - lì dove si congiungevano i due cordoni pose una chiave metallica che legò, tramite un sottile filo di metallo, a una Bottiglia di Leida, il primo condensatore elettrico, inventato qualche anno prima dal fisico olandese Pieter van Musschenbroek. Dopo aver fatto volare il suo aquilone, la chiave iniziò a scintillare. Affascinato, tese la mano fino a toccarla e ne rimase folgorato. Senza danni, una scarica elettrica gli attraversò letteralmente il corpo. In un sol colpo aveva dimostrato la reale natura di un fulmine, trovato il modo per attirarlo e condurlo a terra. Inventò il parafulmine, una lunga asta di metallo a punta da porre sui tetti delle abitazioni, collegata a terra mediante un conduttore. Pochi mesi dopo a Torino, Gianni Battista Beccaria, un prete considerato da molti stregone per via dei suoi esperimenti scientifici, ripeté la prova del collega americano. Installò un parafulmine sopra il suo appartamento al civico 1 di via Po e, al primo temporale, lo strumento funzionò benissimo. Da allora intrattenne una fitta corrispondenza con lo scienziato americano e, dopo una lunga battaglia per far capire che non si trattava di magia ma di fisica, i parafulmini vennero montati sulla Basilica di San Marco a Venezia e sul Duomo di Milano. L'esperimento andò bene anche in Francia: fu il naturalista Georges-Louis Leclerc de Buffon a posizionarne uno sulla torre di Montbar. Andò peggio al collega russo Georg Wilhelm Richmann, che morì a San Pietroburgo «mentre cercava di quantificare la risposta di un'asta a una tempesta vicina» durante un esperimento sui fulmini globulari. La saetta lo colpì dritto in testa.
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La consulenza super partes parla chiaro: il profilo genetico è compatibile con la linea paterna di Andrea Sempio. Un dato che restringe il cerchio, mette sotto pressione la difesa e apre un nuovo capitolo nell’indagine sul delitto Poggi.
La Casina delle Civette nel parco di Villa Torlonia a Roma. Nel riquadro, il principe Giovanni Torlonia (IStock)
Dalle sue finestre vedeva il Duce e la sua famiglia, il principe Giovanni Torlonia. Dal 1925 fu lui ad affittare il casino nobile (la villa padronale della nobile casata) per la cifra simbolica di una lira all’anno al capo del Governo, che ne fece la sua residenza romana. Il proprietario, uomo schivo e riservato ma amante delle arti, della cultura e dell’esoterismo, si era trasferito a poca distanza nel parco della villa, nella «Casina delle Civette». Nata nel 1840 come «capanna svizzera» sui modelli del Trianon e Rambouillet con tanto di stalla, fu trasformata in un capolavoro Art Nouveau dal principe Giovanni a partire dal 1908, su progetto dell’architetto Enrico Gennari. Pensata inizialmente come riproduzione di un villaggio medievale (tipico dell’eclettismo liberty di quegli anni) fu trasformata dal 1916 nella sua veste definitiva di «Casina delle civette». Il nome derivò dal tema ricorrente dell’animale notturno nelle splendide vetrate a piombo disegnate da uno dei maestri del liberty italiano, Duilio Cambellotti. Gli interni e gli arredi riprendevano il tema, includendo molti simboli esoterici. Una torretta nascondeva una minuscola stanza, detta «dei satiri», dove Torlonia amava ritirarsi in meditazione.
Mussolini e Giovanni Torlonia vissero fianco a fianco fino al 1938, alla morte di quest’ultimo all’età di 65 anni. Dopo la sua scomparsa, per la casina delle Civette, luogo magico appoggiato alla via Nomentana, finì la pace. E due anni dopo fu la guerra, con villa Torlonia nel mirino dei bombardieri (il Duce aveva fatto costruire rifugi antiaerei nei sotterranei della casa padronale) fino al 1943, quando l’illustre inquilino la lasciò per sempre. Ma l’arrivo degli Alleati a Roma nel giugno del 1944 non significò la salvezza per la Casina delle Civette, anzi fu il contrario. Villa Torlonia fu occupata dal comando americano, che utilizzò gli spazi verdi del parco come parcheggio e per il transito di mezzi pesanti, anche carri armati, di fatto devastandoli. La Casina di Giovanni Torlonia fu saccheggiata di molti dei preziosi arredi artistici e in seguito abbandonata. Gli americani lasceranno villa Torlonia soltanto nel 1947 ma per il parco e le strutture al suo interno iniziarono trent’anni di abbandono. Per Roma e per i suoi cittadini vedere crollare un capolavoro come la casina liberty generò scandalo e rabbia. Solo nel 1977 il Comune di Roma acquisì il parco e le strutture in esso contenute. Iniziò un lungo iter burocratico che avrebbe dovuto dare nuova vita alle magioni dei Torlonia, mentre la casina andava incontro rapidamente alla rovina. Il 12 maggio 1989 una bimba di 11 anni morì mentre giocava tra le rovine della Serra Moresca, altra struttura Liberty coeva della casina delle Civette all’interno del parco. Due anni più tardi, proprio quando sembrava che i fondi per fare della casina il museo del Liberty fossero sbloccati, la maledizione toccò la residenza di Giovanni Torlonia. Per cause non accertate, il 22 luglio 1991 un incendio, alimentato dalle sterpaglie cresciute per l’incuria, mandò definitivamente in fumo i progetti di restauro.
Ma la civetta seppe trasformarsi in fenice, rinascendo dalle ceneri che l’incendio aveva generato. Dopo 8 miliardi di finanziamenti, sotto la guida della Soprintendenza capitolina per i Beni culturali, iniziò la lunga e complessa opera di restauro, durata dal 1992 al 1997. Per la seconda vita della Casina delle Civette, oggi aperta al pubblico come parte dei Musei di Villa Torlonia.
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Oltre quaranta parlamentari, tra cui i deputati di Forza Italia Paolo Formentini e Antonio Giordano, sostengono l’iniziativa per rafforzare la diplomazia parlamentare sul corridoio India-Middle East-Europe. Trieste indicata come hub europeo, focus su commercio e cooperazione internazionale.
È stato ufficialmente lanciato al Parlamento italiano il gruppo di amicizia dedicato all’India-Middle East-Europe Economic Corridor (IMEC), sotto la guida di Paolo Formentini, vicepresidente della Commissione Affari esteri, e di Antonio Giordano. Oltre quaranta parlamentari hanno già aderito all’iniziativa, volta a rafforzare la diplomazia parlamentare in un progetto considerato strategico per consolidare i rapporti commerciali e politici tra India, Paesi del Golfo ed Europa. L’Italia figura tra i firmatari originari dell’IMEC, presentato ufficialmente al G20 ospitato dall’India nel settembre 2023 sotto la presidenza del Consiglio Giorgia Meloni.
Formentini e Giordano sono sostenitori di lunga data del corridoio IMEC. Sotto la presidenza di Formentini, la Commissione Esteri ha istituito una struttura permanente dedicata all’Indo-Pacifico, che ha prodotto raccomandazioni per l’orientamento della politica italiana nella regione, sottolineando la necessità di legami più stretti con l’India.
«La nascita di questo intergruppo IMEC dimostra l’efficacia della diplomazia parlamentare. È un terreno di incontro e coesione e, con una iniziativa internazionale come IMEC, assume un ruolo di primissimo piano. Da Presidente del gruppo interparlamentare di amicizia Italia-India non posso che confermare l’importanza di rafforzare i rapporti Roma-Nuova Delhi», ha dichiarato il senatore Giulio Terzi di Sant’Agata, presidente della Commissione Politiche dell’Unione europea.
Il senatore ha spiegato che il corridoio parte dall’India e attraversa il Golfo fino a entrare nel Mediterraneo attraverso Israele, potenziando le connessioni tra i Paesi coinvolti e favorendo economia, cooperazione scientifica e tecnologica e scambi culturali. Terzi ha richiamato la visione di Shinzo Abe sulla «confluenza dei due mari», oggi ampliata dalle interconnessioni della Global Gateway europea e dal Piano Mattei.
«Come parlamentari italiani sentiamo la responsabilità di sostenere questo percorso attraverso una diplomazia forte e credibile. L’attività del ministro degli Esteri Antonio Tajani, impegnato a Riad sul dossier IMEC e pronto a guidare una missione in India il 10 e 11 dicembre, conferma l’impegno dell’Italia, che intende accompagnare lo sviluppo del progetto con iniziative concrete, tra cui un grande evento a Trieste previsto per la primavera 2026», ha aggiunto Deborah Bergamini, responsabile relazioni internazionali di Forza Italia.
All’iniziativa hanno partecipato ambasciatori di India, Israele, Egitto e Cipro, insieme ai rappresentanti diplomatici di Germania, Francia, Stati Uniti e Giordania. L’ambasciatore cipriota ha confermato che durante la presidenza semestrale del suo Paese sarà dedicata particolare attenzione all’IMEC, considerato strategico per il rapporto con l’India e il Medio Oriente e fondamentale per l’Unione europea.
La presenza trasversale dei parlamentari testimonia un sostegno bipartisan al rapporto Italia-India. Tra i partecipanti anche la senatrice Tiziana Rojc del Partito democratico e il senatore Marco Dreosto della Lega. Trieste, grazie alla sua rete ferroviaria merci che collega dodici Paesi europei, è indicata come principale hub europeo del corridoio.
Il lancio del gruppo parlamentare segue l’incontro tra il presidente Meloni e il primo ministro Modi al G20 in Sudafrica, che ha consolidato il partenariato strategico, rilanciato gli investimenti bilaterali e discusso la cooperazione per la stabilità in Indo-Pacifico e Africa. A breve è prevista una nuova missione economica guidata dal vicepresidente del Consiglio e ministro degli Esteri Tajani.
«L’IMEC rappresenta un passaggio strategico per rafforzare il ruolo del Mediterraneo nelle grandi rotte globali, proponendosi come alternativa competitiva alla Belt and Road e alle rotte artiche. Attraverso la rete di connessioni, potrà garantire la centralità economica del nostro mare», hanno dichiarato Formentini e Giordano, auspicando che altri parlamenti possano costituire gruppi analoghi per sostenere il progetto.
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