
Nel Comasco intitolano una strada a un carabiniere eritreo decorato da Luigi Einaudi. La protesta dei rossi: «Combatté per il Duce».L'africano sbagliato. C'è un ragazzo che non potrebbe salire sulla Sea Watch neppure con il figliolo al collo e verrebbe riportato da Luca Casarini a sue spese nell'inferno libico. C'è un immigrato orgoglioso di essere italiano, integrato a tal punto da essere morto per la patria, per il quale nessun attivista di sinistra spenderebbe oggi un grammo di pietà. Si chiama Ibrahim Alì e merita il verbo al presente perché il suo nome indica una via di Monguzzo, paese in provincia di Como inconsapevole di essere diventato il test più grottesco di applicazione dell'ideologia perversa del politicamente corretto retroattivo. Semplicemente, Ibrahim non ha la patente democratica e secondo l'Anpi (che lo definisce «non conforme» come un frigorifero che non ha superato il controllo qualità) meriterebbe la damnatio memoriae.La storia è elementare e paradossale. Il 28 marzo 1941 Ibrahim Alì combatte nell'esercito regio la battaglia di Cheren, in Eritrea, contro gli inglesi durante quella grande tragedia che fu la campagna d'Africa. E lo fa da eroe, alla testa dei suoi zaptié - carabinieri arruolati fra gli indigeni delle colonie italiane - con il grado di «sciumbasci capo», più o meno un maresciallo. È ferito ma non si arrende e il suo sacrificio è additato a esempio oltre le linee nemiche. Perché da sempre gli inglesi sanno distinguere i soldati dagli imboscati. In un'Italia già solida, democratica e con problemi più seri del revisionismo da apericena, il presidente della Repubblica Luigi Einaudi gli conferisce la medaglia d'argento al valor militare perché «valorosissimo, fedelissimo, gravemente ferito continuava a incitare i suoi uomini alla resistenza».Un esempio in linea con i principi di rettitudine e di onore dell'Arma dei carabinieri, che il 17 marzo scorso ha sostenuto la proposta al piccolo Comune lombardo di intitolare a quel ragazzo eritreo una strada, inaugurata da poco per la felicità della comunità eritrea in Italia. Sarebbe anche un bell'esempio di memoria collettiva, di pacificazione fra popoli, di moderna declinazione dei valori prediletti dalla mondializzazione del pensiero. Anche il navigatore indica via Alì in Brianza. Tutto tranquillo? No, c'è un problema: l'Anpi locale insorge, quella via sarebbe un insulto perché l'eritreo avrebbe «un passato non conforme», nel senso che ha combattuto dalla parte sbagliata. Quindi la decisione andrebbe annullata e la strada cambiata. Ibrahim torni a fare il reprobo. «Quell'intitolazione va tolta e il cartello va rimosso», spiega Emilio Rigamonti, segretario della sezione di Monguzzo dell'Associazione nazionale partigiani d'Italia, che sui fatti storici dell'epoca si equipara alla Cassazione. «Ci sono migliaia di persone che avrebbero maggior diritto di vedersi intitolata una via. Era un collaborazionista pagato da Mussolini per fare la guerra, non ha senso quella intitolazione in un Paese democratico. La Costituzione è una cosa seria e va rispettata».Anche un atto ufficiale di un capo di Stato come Einaudi (la cui inappellabilità è un cardine costituzionale) andrebbe rispettato. Ma poiché per alcuni feticisti dell'ortodossia le regole democratiche sono di chewing gum, ecco che l'Anpi propone un referendum per annullare tutto e gettare a mare l'unico africano scomodo. Non sarà facile perché la legge (a proposito di norme da rispettare) non prevede la consultazione popolare per l'intitolazione delle vie. E ancor meno facile sarà trovare un motivo serio, visto che molti partigiani ai quali sono state intitolate strade e piazze, fino all'8 settembre 1943 avevano combattuto nell'esercito regio. Quindi per proprietà transitiva erano stati anche loro (per usare le parole sprezzanti della Brigata Rigamonti) «collaborazionisti pagati da Mussolini per fare la guerra». Il presidente dell'associazione carabinieri del territorio, Carlo Colombo, non sembra preoccupato: «La libertà che volevano i veri partigiani era ben diversa da questo fascismo di sinistra per cui è impossibile avere idee diverse dalle loro». E il non conforme Ibrahim Alì rimane aggrappato al cartello, lui unico africano sbagliato, come a un salvagente.
Robert Redford (Getty Images)
Incastrato nel ruolo del «bellone», Robert Redford si è progressivamente distaccato da Hollywood e dai suoi conformismi. Grazie al suo festival indipendente abbiamo Tarantino.
Leone XIV (Ansa)
Nella sua prima intervista, il Papa si conferma non etichettabile: parla di disuguaglianze e cita l’esempio di Musk, ma per rimarcare come la perdita del senso della vita porti all’idolatria del denaro. E chiarisce: il sinodo non deve diventare il parlamento del clero.