2023-11-06
«Col premierato il popolo finalmente ritorna sovrano»
Tommaso Frosini (Imagoeconomica)
Il costituzionalista Tommaso Frosini: «La riforma valorizza l’articolo 1 della Carta. I governi tecnici sono un’anomalia che non deve ripetersi più».È l’ora del premierato? Giorgia Meloni ha posto la riforma costituzionale come elemento distintivo della sua presidenza del Consiglio. Come al solito si levano le voci di lesa «magna Carta». Tra chi invece sostiene utile una revisione con l’elezione diretta del premier c’è uno dei più acuti studiosi della Costituzione, il professor Tommaso Edoardo Frosini, professore ordinario di Diritto pubblico comparato e di Diritto costituzionale nella Facoltà di Giurisprudenza dell’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli.Articolo 1 della Costituzione: la sovranità appartiene al popolo. Perché se si cerca di dare al popolo la scelta tra i costituzionalisti c’è una sorta horror vacui? «Non tutti. Io nel 1997 pubblicai il libro Sovranità popolare e costituzionalismo, in cui sostenevo la centralità del principio di sovranità popolare, non a caso posto all’art. 1 della nostra Costituzione, anche ai fini della scelta del governo oltre alla elezione dei rappresentanti parlamentari. Il paradosso è che la Costituzione, all’art. 1, afferma che la sovranità appartiene al popolo (nei limiti e nei modi previsti dalla Costituzione), nel concreto però il titolare non è messo in condizione di esercitarla. Non è più sostenibile una situazione così». È strano che siano le vestali della Costituzione a opporsi ad una riforma che dà al popolo più peso…«Certo. Peraltro, dal 1994 eleggiamo direttamente il sindaco e, dal 2001, il presidente di Regione. Possibile che invece a livello nazionale non possiamo eleggere il premier? Si tratta di uno “strabismo costituzionale”, come l’ho definito».È possibile che alcuni come Zagrebelsky vogliano difendere la capacità di interdizione extraparlamentare che la sinistra ha esercitato e che ha portato ai governi tecnici?«Tutte le democrazie liberali sono, tendenzialmente, stabilizzate. Proprio perché ci si preoccupa di garantire stabilità al governo, che deve governare. Ovvero mettere in atto un chiaro programma di indirizzo politico, che ha ricevuto la fiducia degli elettori. Questa è l’evoluzione del parlamentarismo, un sistema che mette in condizione l’elettore di scegliere da chi farsi governare, il quale sarà responsabile della sua azione di governo davanti agli elettori. I governi tecnici sono una irregolarità rispetto al funzionamento di un sistema democratico. E sono anche un’anomalia italiana, che sarebbe bene che non si ripetessero più. Voglio però dire anche un’altra cosa a proposito degli “smarrimenti dei costituzionalisti”, come li definisce Zagrebelsky. C’è da rimanere perplessi se non basiti di come molti colleghi, che ieri si schieravano convintamente a favore del semipresidenzialismo, oggi criticano il premierato. Se si fosse seguita la strada del semipresidenzialismo si sarebbe dovuto stravolgere la Costituzione. Nel caso del premierato si cambiano solo quattro articoli della Costituzione, mentre il resto dell’impianto rimane immutato. Ci penserà la prassi, come sempre, a orientare scelte e comportamenti dei soggetti costituzionali».La riforma annunciata da Giorgia Meloni col Sindaco d’Italia realizza un giusto equilibrio?«L’espressione “Sindaco d’Italia”, sebbene ne riconosca l’efficacia mediatica, non mi piace. Diciamo piuttosto che con la riforma del premierato elettivo si codifica in Costituzione quella situazione istituzionale, che abbiamo avuto durante il periodo Berlusconi e Prodi. In quei casi era come se ci fosse elezione diretta: nel senso che i cittadini sapevano che se avesse vinto le elezioni uno schieramento o l’altro sarebbe diventato premier l’uno o l’altro, come avviene in Gran Bretagna. Ora questo viene a essere codificato, come è giusto, tenuto conto che abbiamo una Costituzione scritta a cui fare riferimento. A differenza della Gran Bretagna che non ha una Costituzione scritta e dove quindi la scelta del premier avviene per convenzione costituzionale».Lei sostiene il concetto del simul stabunt simul cadent: cioè se si dimette il presidente del Consiglio si sciolgono le Camere e si vota. Non si limita l’autonomia del Parlamento?«Non credo. I due poteri, governo e Parlamento, nascono insieme sulla base della stessa legittimazione popolare. Non vedo perché non debbano restare uniti e, in caso di crisi, cadere insieme, per consentire agli elettori di scegliere nuovamente l’uno insieme all’altro. Ciò peraltro avviene con un unico voto, per il premier e la sua maggioranza. Il Parlamento mantiene la sua autonomia, che può consistere nello sfiduciare il primo ministro, al prezzo però di autosciogliersi. Come è previsto a livello comunale e regionale. Nulla di nuovo nel nostro ordinamento istituzionale».Si conferma la nomina dei ministri da parte del presidente della Repubblica su proposta del presidente del Consiglio. Non converrebbe affidare tutto, nomina e revoca, al premier?«Direi di sì. Sarebbe giusto che fosse il premier ha nominare e revocare i ministri. Anche per evitare le assurde sfiducie al singolo ministro, già sperimentate, per esempio, nel caso dell’allora ministro della Giustizia Filippo Mancuso. Forse non si è voluto sottrarre al capo dello Stato questa facoltà, quella di nominare i ministri, che gli attribuisce la Costituzione, ma che nella prassi non ha mai esercitato, se non in negativo. Come nel caso della mancata nomina di Cesare Previti e Paolo Savona».Per realizzare un contrappeso tra presidente eletto e parlamentari non bisognerebbe rivitalizzare i partiti? «I partiti esistono sempre meno. L’unico che ha mantenuto la definizione di “partito” è il Partito democratico. Certo, sarebbe auspicabile una ripresa dei partiti nel circuito democratico. Forse l’elezione diretta del premier può concorrere a realizzarla. Occorre però la volontà di ripristinare un tessuto democratico in cui il ruolo del partito torni a essere quello che si voleva che fosse, e che all’inizio è stato: il ponte fra società civile e società politica».Questa riforma stabilisce una simmetria con i governi locali, ma dà stabilità?«Certo. Vorrei dire che la riforma è pensata per dare stabilità agli esecutivi. Infatti, la norma prescrive chiaramente che il governo dura 5 anni, tanto quanto il mandato della legislatura parlamentare. Ecco un altro motivo dell’importanza del simul stabunt simul cadent».Lei guarda al modello britannico di premierato, ma la legge elettorale dovrebbe prevedere il doppio turno di collegio o serve una legge proporzionale con premio di maggioranza? Bisogna aumentare di nuovo i parlamentari?«Ci vuole una legge elettorale che consenta al primo ministro di avere la sua maggioranza parlamentare. Quindi va senz’altro bene anche il premio di maggioranza. Se così non fosse, il rischio sarebbe di ripetere la sfortunata esperienza israeliana, che aveva l’elezione diretta del primo ministro, ma con un sistema elettorale proporzionale, che ne decretò la sua fine per instabilità parlamentare. Sulla riduzione dei parlamentari non tornerei indietro, anche perché i cittadini non capirebbero».Fatto il premierato va corretto anche il bicameralismo? «Certo, ci vorrebbe una correzione del bicameralismo, come l’aveva prevista la riforma Renzi-Boschi. Però, per adesso, non metterei troppa carne al fuco».Si strilla a sinistra per un colpo di mano, ma la sinistra fece la riforma del titolo V a maggioranza…«È giusto ricordare la riforma del titolo V, primo perché venne fatta a maggioranza, secondo perché a chiedere il referendum confermativo furono gli stessi che l’approvarono in Parlamento, Trasformando così il referendum da strumento di opposizione a plebiscito. Direi che è quasi certo che, qualora il Parlamento l’approverà a maggioranza, sia pure con il concorso di una parte dell’opposizione e cioè Italia Viva di Renzi, si andrà al referendum. Bisognerà mobilitare gli elettori a votare, facendo loro capire che non è un referendum pro o contro la Meloni. Piuttosto è un referendum per valorizzare la sovranità popolare. Dicendo loro: possibile che tu eleggi il sindaco e il presidente di Regione e non puoi eleggere il capo del governo nazionale? Questi sono gli argomenti da sviluppare nel dibattito referendario, quando sarà».Le prerogative del capo dello Stato vanno lasciate intatte? E senatori a vita solo gli ex presidenti?«Il presidente della Repubblica è stato pensato dai costituenti come una figura super partes, un garante. Lo dimostra il fatto che la Costituzione lo fa eleggere dal Parlamento a maggioranza qualificata e, soprattutto, lo definisce capo dello Stato e rappresentante dell’unità nazionale. Tutta la manualistica costituzionale riconosce che il presidente della Repubblica è un potere neutro, che non può e non deve svolgere attività di indirizzo politico. Infatti, tutti i suoi atti sono controfirmati, ovvero privati dalla sua responsabilità. Esercita quella che si chiama “moral suasion”, che va benissimo. Certo, un premier eletto risponde direttamente all’elettorato e quindi deve assumere la piena responsabilità delle sue scelte e delle sue decisioni. Non può condividerle con il presidente della Repubblica, semmai con il Parlamento. Sui senatori a vita non mi straccerei le vesti. Il recente libro di Paolo Armaroli, I senatori a vita visti da vicino, ha dimostrato quanto poco sia stato finora il loro contributo parlamentare, nonostante abbiano avuto altissimi meriti nei loro settori professionali. Meglio gli altissimi meriti degli ex presidenti della Repubblica, che sapranno dare un contributo più efficace ai lavori del Senato».Col premierato la democrazia si rafforza e il sistema si dinamizza?«Le rispondo in maniera lapidaria: secondo me si rafforza. Il popolo potrà davvero esercitare la sua sovranità, che è la concezione stessa della democrazia. Démos e Krátos: governo del popolo».