2023-01-25
Ragazza morta dopo un trapianto: Locatelli indagato per omicidio colposo
Franco Locatelli (Imagoeconomica)
Lisa Federico operata al Bambino Gesù nel 2020. Archiviazione respinta per il primario e presidente del Css: «Impossibile non sapesse».Nessuna archiviazione, Franco Locatelli è indagato per omicidio colposo. Il direttore della oncoematologia e terapia cellulare e genica dell’Ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma, nonché presidente del Consiglio superiore di sanità, dovrà chiarire perché un trapianto di midollo, sbagliato, nel suo reparto provocò la morte della diciassettenne Lisa Federico. Lo scorso giugno, l’inchiesta su quanto accadde nel novembre 2020 sembrava essersi conclusa con la richiesta di rinvio a giudizio di due specialisti del Bambino Gesù, Pietro Merli e Rita Maria Pinto, mentre la posizione di Locatelli era stata stralciata. Poteva significare una richiesta di archiviazione, in effetti poi presentata dal pm, Pietro Pollidori, o supplementi di indagine per avviare un nuovo procedimento penale. Nell’udienza dell’11 gennaio, il gip Francesca Ciranna ha sciolto ogni riserva, ordinando ulteriori accertamenti sul direttore sanitario. «È veramente difficile ipotizzare che quest’ultimo sia stato all’oscuro delle decisioni adottate, che non sia stato mai consultato, che le decisioni intraprese non siano mai state condivise con lui», scrive il giudice per le indagini preliminari nell’ordinanza, resa pubblica il 23 gennaio. Nel reparto di Locatelli si consumò il calvario di Lisa, morta dopo 18 giorni di dolori atroci, come documenta la corposa relazione della Ctu, la consulenza tecnica d’ufficio. La «inadeguatezza della composizione cellulare del midollo» della donante, una tedesca con peso e gruppo sanguigno diverso dalla giovane, rese inutile il trapianto e le problematiche infettive della paziente furono gestite «con imperizia, imprudenza e negligenza, in maniera del tutto inadeguata», scrisse a giugno 2022 il pm Pollidori nella richiesta di rinvio a giudizio, per omicidio colposo e cooperazione nel delitto colposo, di Pinto e Merli, medici all’Unità di trapianto emopoietico e terapie cellulari. La prima, perché non aveva cercato un donatore consanguineo malgrado con il fratello di Elisa la probabilità di mortalità fosse «di solo il 5%», e perché accettò «con imprudenza una previsione di raccolta di cellule staminali che in realtà appariva estremamente ridotta, e quindi inadeguata e che quindi cagionava il fallimento del trapianto». Il secondo, in quanto prese «l’imprudente decisione di effettuare il condizionamento, in difformità dalla raccomandazioni del Centro nazionale trapianti», senza aspettare il midollo del donatore che quando arrivò risultò inadeguato, come argomentò il pubblico ministero sulla base delle lunghe perizie raccolte. Era stata un’impresa, trovare esperti disponibili a valutare quanto accadde nell’ospedale, punto di riferimento per la salute di bambini e ragazzi di ogni parte d’Italia. «Quando sentivano parlare del reparto di Locatelli, tutti si tiravano indietro», raccontò alla Verità il papà della giovane, Maurizio Federico. Biologo, responsabile del Centro per la salute globale presso l’Istituto superiore della sanità, con la moglie Margherita Eichberg, soprintendente alle Belle arti e archeologia per l’area meridionale di Roma, nel 2009 avevano adottato Elisabetta «Lisa» e il fratello Bodgan, cercati in un orfanatrofio dell’Ucraina. «Nostra figlia era solare, travolgente con la sua voglia di vivere», ricordano i genitori. All’età di 16 anni, le viene diagnosticata una citopenia refrattaria pediatrica, malattia benigna del sangue derivata da un alterato funzionamento del midollo osseo. «Al Bambino Gesù venne deciso il trapianto, anche se con mia moglie avremmo provato con terapie immunosoppressive, molto meno invasive», spiegò il biologo Federico, precisando però che la portarono in quell’ospedale «pieni di fiducia, perché sapevamo che ci lavorava il professor Locatelli.Successe di tutto, durante i tre ricoveri di Lisa nel reparto di pediatria, poi nel day hospital di ematologia, e per più di tre settimane nell’unità diretta dal professore, che è stato anche coordinatore del Cts. Infezioni, la scelta di un unico, e sbagliato, donatore in Germania sebbene l’Ospedale universitario Charitè di Berlino avesse detto che non era possibile assicurare un quantitativo di cellule necessarie per la trasfusione.Lisa fu sottoposta a una chemioterapia immunosoppressiva, per impedire il rigetto, però il midollo del donatore era inadeguato. La trasfusione del sangue incompatibile provoca per dodici ore dolori atroci e crisi respiratorie. Il trapianto non riesce e, dopo giorni di incredibile sofferenza, la giovane muore il 3 novembre del 2020. Ai genitori, in quei giorni di angoscia, Locatelli si limitò a dire: «In Germania ci hanno fatto uno scherzetto».Poteva non essere al corrente di quanto accadeva ai danni della giovane? Al direttore sanitario, ricorda il gip, «spettano poteri di gestione della struttura e doveri di vigilanza e organizzazione tecnico-sanitaria, compresi quelli di predisposizione di precisi protocolli inerenti al ricovero dei pazienti, all’accettazione dei medesimi, all’informativa interna di tutte le situazioni di rischio, alla gestione delle emergenze». Ha vigilato davvero il professore, effettuando «la supervisione» prevista dal ruolo che ricopre? E uno degli interrogativi che si trovano nell’ordinanza. Nei prossimi sei mesi, nuove indagini scaveranno più a fondo. «Il nostro unico scopo è che non si verifichi un’altra, ingiustificata tragedia come quella accaduta a Lisa» fanno sapere mamma e papà. «Nostra figlia non tornerà più, noi dobbiamo dare senso alla sua assenza».
Gattuso e la Nazionale lasciano San SIro al termine del match perso per 4-1 contro la Norvegia (Ansa)
(Arma dei Carabinieri)
L’organizzazione era strutturata per assicurare un costante approvvigionamento e una capillare distribuzione della droga nelle principali piazze di spaccio del capoluogo e della provincia, oltre che in Veneto e Lombardia. Il canale di rifornimento, rimasto invariato per l’intero periodo dell’indagine, si trovava in Olanda, mentre la gestione dei contatti e degli accordi per l’invio della droga in Italia era affidata al capo dell'organizzazione, individuato nel corso dell’attività investigativa. L’importazione della droga dai Paesi Bassi verso l’Italia avveniva attraverso corrieri ovulatori (o “body packer”) i quali, previa ingestione degli ovuli contenenti lo stupefacente, raggiungevano il territorio nazionale passando dalla Francia e attraversando la frontiera di Ventimiglia a bordo di treni passeggeri.
Lo schema operativo si ripeteva con regolarità, secondo una cadenza settimanale: ogni corriere trasportava circa 1 chilogrammo di droga (cocaina o eroina), suddiviso in ovuli termosaldati del peso di circa 11 grammi ciascuno. Su ogni ovulo era impressa, con pennarello, una sigla identificativa dell’acquirente finale, elemento che ha permesso di tracciare la rete di distribuzione locale. Tutti i soggetti interessati dal provvedimento cautelare risultano coinvolti, a vario titolo, nella redistribuzione dello stupefacente destinato alle piazze di spaccio cittadine.
Dopo due anni di indagini, i Carabinieri sono stati in grado di ricostruire tutta la filiera del traffico di stupefacenti: dal fornitore olandese al promotore che in Italia coordinava la distribuzione alla rete di corrieri che trasportavano la droga in ovuli fino ai distributori locali incaricati dello spaccio al dettaglio.
Nel corso delle indagini è stato inoltre possibile decodificare il linguaggio in codice utilizzato dagli indagati nelle loro comunicazioni: il termine «Top» era riferito alla cocaina, «Spa» all’eroina, «Pantaloncino»alle dosi da 5grammi, mentre «Fogli di caramelle» si riferiva al contante. Il sequestro di quaderni contabili ha documentato incassi giornalieri e movimentazioni di denaro riconducibili a un importante giro d’affari, con pagamenti effettuati tramite bonifici internazionali verso conti correnti nigeriani per importi di decine di migliaia di euro.
Il Gip del Tribunale di Venezia ha disposto la custodia cautelare in carcere per tutti i venti indagati, evidenziando la «pericolosa professionalità» del gruppo e il concreto rischio di fuga, considerati anche i numerosi precedenti specifici a carico di alcuni appartenenti all’organizzazione.
L’esecuzione dei provvedimenti restrittivi e delle perquisizioni è stata condotta con il concorso di Carabinieri di rinforzo provenienti da tutti i Comandi Provinciali del Veneto, con il supporto dei Reparti Mobili e Speciali dell’Arma, delle Unità Cinofile Antidroga e del Nucleo Elicotteri Carabinieri, che hanno garantito la copertura aerea durante le operazioni.
L’Operazione «Marshall» rappresenta un importante risultato dell’attività di contrasto al narcotraffico internazionale e alle organizzazioni criminali transnazionali, confermando l’impegno costante dell’Arma dei Carabinieri nel presidio del territorio e nella tutela della collettività.
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