2024-09-04
Francia e Germania non ridono più
Angela Merkel e Nicolas Sarkozy al Consiglio Ue il 23 ottobre 2011 (Ansa)
Parigi con deficit alle stelle e governicchio tecnico alle porte. Berlino con un modello industriale smantellato da green e guerra: praterie per Afd, Scholz barcolla. A queste condizioni, applicare il nuovo Patto di stabilità sarà quasi impossibile: bene per noi.I falchi di ieri oggi si stanno beccando le ali, mentre le colombe volteggiano «beate» nei cieli di Bruxelles. Bisogna ricorrere all’ornitologia e alla suddivisione tra i Paesi che pretendevano rigide regole di bilancio e quelli invece che erano costretti a subirle per dare un’immagine plastica di ciò che sta accadendo in Europa. Che Germania e Francia, le due locomotive dell’economia del Vecchio Continente, arrancassero da tempo non è da tempo una notizia. Il punto è che a ogni aggiornamento di bilancio la loro situazione si aggrava. E a ogni appuntamento elettorale va pure peggio. Eppure si tratta degli stessi Paesi che fino a pochi mesi fa hanno spinto sull’acceleratore per l’adozione del nuovo patto di Stabilità, i paletti che erano stati sospesi causa Covid, ma che appena l’emergenza pandemica è passata sono stati reintrodotti. Cosa prevede il Patto? In soldoni: i Paesi considerati «cicala» dovranno ridurre il debito in media dell’1 % all’anno se supera il 90% del Pil e dello 0,5% (sempre in media) se è tra il 60% e il 90%. Poi c’è il disavanzo che se va oltre il 3% del prodotto interno lordo dovrà essere tagliato durante i periodi di crescita per raggiungere l’1,5% e creare una riserva di spesa per periodo con condizioni economiche difficili. Certo esistono deroghe e sono previsti tempi supplementari, ma stante la situazione attuale Parigi e Berlino hanno numeri «fuorilegge» e se dovessero rispettare le regole che loro stessi hanno imposto più che a fare investimenti dovrebbero pensare a quali sacrifici costringere i loro cittadini. Iniziamo dalla Germania. Anche perché il motore di Berlino sembra essere andato completamente fuorigiri e ripararlo appare un’impresa ardua. Qui i dati economici fondamentali (il rapporto deficit/Pil e debito/Pil) reggono, ma molto probabilmente sono stati «taroccati». Ebbene sì gli integerrimi tedeschi si sono incartati per loro stessa ammissione (la Corte dei Conti). Il problema però è un altro. Il modello di Berlino, fatto di manifattura, eccellenze tecnologiche, pace sociale e inflazione sotto controllo vacilla da una decina d’anni: la produzione industriale è crollata complessivamente di poco meno del 10% dal 2015 e di recente ha subito due scossoni che l’hanno mandata ulteriormente al tappeto. Le conseguenze della guerra in Ucraina (soprattutto energetiche) e la folle strategia sull’auto elettrica che sta provocando sconquassi nei conti di colossi come Volkswagen. Come se ne esce se l’Europa non cambia? E visto che l’Europa, nonostante i ripetuti segnali che arrivano dai cittadini (il voto di Bruxelles ha evidentemente bocciato le politiche green, così come quello francese e la recente tornata elettorale in Sassonia e Turingia hanno respinto i diktat europei) non dà accenni di resipiscenza, è quasi naturale che il Pil della Germania sia fermo al palo da diversi trimestri. Non che la Francia se la passi meglio. I numeri fondamentali di Parigi sono addirittura peggiori (deficit/Pil che si avvicina al 6% e debito/Pil intorno al 110%), ma forse il motore economico francese è meno ingolfato di quello tedesco. E probabilmente sui cugini pesa di più l’incapacità politica di formare un governo che possa dare una linea precisa su pensioni, occupazione e industria. È di ieri la notizia di un peggioramento piuttosto marcato del rapporto tra deficit e Pil che dal 5,1% dovrebbe passare al 5,6% e secondo alcune previsioni potrebbe addirittura superare il 6%. Mentre pochi mesi fa, tra fine maggio e inizio giugno, l’agenzia di rating Standard & Poor’s aveva abbassato il rating di Parigi da AA a AA−, citando un deficit maggiore del previsto e una frammentazione politica come motivi della bocciatura. All’epoca il ministro delle Finanze, Bruno Le Maire, aveva evidenziato come il downgrade fosse il prezzo da pagare per sostenere l’economia durante la pandemia e la crisi inflazionistica con fondi pubblici. «La principale ragione di questo downgrade è che abbiamo salvato l’economia francese», sottolineava. Giustamente. Ci chiediamo però come continuerà a salvarla se adesso dovrà rispettare le regole del Patto che per forza di cose gli impongono una riduzione degli investimenti e un incremento dei tagli.Francia e Germania che nel 2011 (all’epoca c’erano Sarkozy e la Merkel) ridevano di Berlusconi e della situazione finanziaria dell’Italia, adesso non ridono più. Ma è una triste consolazione. Tirando le somme viene infatti da chiedersi come l’Europa possa rispettare le nuove regole del Patto di stabilità se i Paesi che le hanno imposte sono i primi non riuscire a entrare nel vestito che si sono cuciti addosso. Certo, di proroghe e finte sanzioni è piena la storia di Bruxelles, ma con le scorciatoie e senza investimenti è impossibile vincere la sfida globale. La Cina e i Paesi emergenti ringraziano e cavalcano con piacere le praterie che gli lasciamo davanti, mentre l’America furbescamente lascia che continuiamo a tirarci martellate sulle parti basse.
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