2023-04-29
Francesco esalta l’Ungheria per le misure pro famiglia e boccia l’Unione del gender
Papa Francesco e Orban (Ansa)
Da Budapest il Pontefice striglia l’Europa affinché «recuperi l’anima», abbandoni l’ideologia e si svegli sulla guerra. Poi elegge il Paese che lo ospita come «pontiere».Un viaggio per aiutare l’Europa a ritrovare l’anima. Papa Francesco decide di affrontare uno dei temi che più gli stanno a cuore - la deriva morale del continente che dovrebbe essere memoria del mondo - proprio a Budapest, la città «di storia, di ponti e di santi» che lo abbraccia nei tre giorni di visita pastorale in Ungheria. «Giungo come pellegrino e amico», esordisce il Pontefice in forma dopo le defaillances prepasquali. Viene accolto dalla presidente della Repubblica, Katalin Novak, e nell’ex monastero Carmelitano (oggi Palazzo Sandor) si intrattiene a lungo anche con Viktor Orbán e i suoi famigliari. Lo fa quasi a marcare il distacco strategico fra la veste bianca e i diktat di Bruxelles nei confronti di un Paese che, per il Vaticano, rimane un caposaldo del cattolicesimo.Il Santo Padre osserva i ponti sul Danubio e li indica a un’Europa «costruita per creare ponti fra le nazioni, che necessita del contributo di tutti senza diminuire la singolarità di alcuno». Le differenze, le sovranità, le identità per Francesco sono valori non negoziabili e il suo discorso in otto lingue ha come destinatario il palazzo di Bruxelles, Ursula von der Leyen e i suoi burocrati, impegnati a smontare bullone dopo bullone la sacralità dell’Europa dei popoli per sostituirla con il mercantilismo, il nichilismo, la fatuità dell’Europa delle mode. Il Papa pensa a un continente «che non sia ostaggio delle parti, diventando preda di populismi autoreferenziali» - qui la stilettata è per Orbán - «ma che nemmeno si trasformi in una realtà fluida, se non gassosa, in una sorta di sovranazionalismo astratto, dimentico della vita dei popoli». E qui lo schiaffo è al Parlamento europeo. «L’Europa non è più la memoria dell’umanità ma sembra regredita a una sorta di infantilismo bellico», ricorda con amarezza. Il passaggio è potente, il concetto mai dichiarato con questa forza lessicale ha l’effetto (chissà) di scuotere il conformismo progressista politico e mediatico. Francesco sta parlando ai poteri del vincolo esterno, a quelle entità liquide che pretendono di indirizzare le politiche occidentali appiattendole sui desiderata delle élites californiane. Sta ammonendo anche sigle militari, economiche e finanziarie come la Nato, la Bce, il World economic forum, la Banca mondiale, che annullano l’individuo in nome di interessi superiori. Lo fa denunciando «la via nefasta delle colonizzazioni ideologiche, che eliminano le differenze, come nel caso della cosiddetta cultura gender, o antepongono alla realtà della vita concetti riduttivi di libertà, ad esempio vantando come conquista un insensato diritto all’aborto, che è sempre una tragica sconfitta». Francesco loda le politiche ungheresi a favore della natalità davanti a un Orbán rasserenato. Poi tuona: «È essenziale ritrovare l’anima europea». E sottolinea che «il sogno è costruire un’Europa centrata sulla persona e sui popoli, dove vi siano politiche effettive per la natalità e la famiglia, perseguite con attenzione in questo Paese, dove nazioni diverse siano una famiglia in cui si custodiscono la crescita e la singolarità di ciascuno». Il Pontefice ritiene che «nella costruzione di questa Europa la fede cristiana è di aiuto e l’Ungheria può fare da pontiere. Il ponte più celebre di Budapest, quello delle Catene, ci aiuta a immaginare un’Europa formata da tanti grandi anelli diversi, che trovano la propria saldezza nel formare solidi legami».Così l’Ungheria descritta come una «democratura» derelitta dalla Bruxelles laicista e arcobaleno che piace alla sinistra italiana, trova nelle parole del Papa un inatteso risarcimento. Poi c’è l’infantilismo bellico, lì bisogna tornare, e lì prende forma uno schiaffo alla narrazione d’una guerra senza vie d’uscita. Francesco riesuma il tema della pigrizia dell’Occidente nel percorrere la strada della pace in Ucraina. «Dove sono gli sforzi creativi di pace per uscire dalla guerra? Dove stanno?». Domande di granito che lui pone a Bruxelles sapendo che lassù code di paglia sventolano. Anche nel ricordare il passato di sangue il Santo Padre mostra uno storytelling molto diverso rispetto alla vulgata socialista radicata nel continente. Parlando delle sofferenze ungheresi rammenta «le violenze e le oppressioni provocate dalle dittature nazista e comunista. Come scordare il 1956?». Nazista e comunista, stessa riga, stessa frase, stessa intonazione. Si prevedono svenimenti di editorialisti «sinceri democratici».Quello di Budapest, o «dell’Europa che ha perso l’anima», è un discorso destinato a rimanere negli annali. Non ha la forza evocativa di quello di Ratisbona pronunciato da papa Benedetto XVI ma segna una svolta profonda, la necessità di riportare la Chiesa al centro del villaggio. In Ungheria c’è ancora. Per questo, evocando Santo Stefano (primo re ungherese), il Papa non ne dimentica l’insegnamento: «Riconoscersi i figli amati del Padre e amare ciascuno come fratello». Ora si riferisce all’accoglienza oltre i muri, oltre le diffidenze. Anche qui nessun alibi; per Francesco deve agire l’Europa. «È tema da affrontare insieme, comunitariamente. È urgente, come Europa, lavorare a vie sicure e legali di fronte a una sfida epocale che non si potrà arginare respingendo, ma va accolta per preparare un futuro che, se non sarà insieme, non sarà». Da Bruxelles, paradiso del sovranazionalismo astratto e della «cosiddetta» cultura gender, arriva il silenzio dei sordi.
Jose Mourinho (Getty Images)