2019-11-30
Francesco bacchetta i giudici: «Ormai hanno sconfinato. Non esiste diritto a morire»
Pochi giorni dopo l'uscita delle motivazioni della sentenza sul caso Cappato, il Papa riceve in Vaticano il Centro studi Livatino. E condanna la «giurisprudenza creativa». Ieri il Papa ha ricevuto in Vaticano i giuristi del Centro studi Rosario Livatino, che celebravano il loro congresso annuale. Francesco ha colto quest'occasione per pronunciare uno dei suoi discorsi di più severa reprimenda nei confronti dei sostenitori dell'eutanasia, a pochi giorni dall'uscita delle motivazioni della sentenza emessa dalla Corte costituzionale sul caso Cappato. Nel ricordare la figura del magistrato siciliano, ucciso dalla mafia nel 1990, prima che compisse 38 anni e per il quale è in corso il processo di beatificazione, il Pontefice ha stoccato più volte i giudici che, a colpi di sentenze, hanno spalancato le porte alla «dolce morte». Jorge Mario Bergoglio s'è affidato direttamente alle parole di Livatino: «Se l'opposizione del credente» a una legge sull'eutanasia «si fonda sulla convinzione che la vita umana è dono divino, altrettanto motivata è l'opposizione del non credente che si fonda sulla convinzione che la vita sia tutelata dal diritto naturale, che nessun diritto positivo può violare o contraddire, dal momento che essa appartiene alla sfera dei beni “indisponibili"». Senza celare il proprio rammarico, il Papa ha osservato che «queste considerazioni sembrano distanti dalle sentenze che in tema di diritto alla vita vengono talora pronunciate nelle aule di giustizia, in Italia e in tanti ordinamenti democratici».Ancora più esplicito è stato il passaggio in cui il Santo Padre ha preso di petto la «giurisprudenza creativa», che inventa «un “diritto di morire" privo di qualsiasi fondamento giuridico», affievolendo così «gli sforzi per lenire il dolore e non abbandonare a sé stessa la persona che si avvia a concludere la propria esistenza». Il Papa si è spinto fino a criticare lo «sconfinamento del giudice in ambiti non propri, soprattutto nelle materie dei cosiddetti “nuovi diritti"». Una tendenza che ormai caratterizza le società occidentali, nelle quali il magistrato, da funzionario statale chiamato ad applicare le norme approvate dal Parlamento, cioè dai rappresentanti eletti e sottoposti quindi al controllo del corpo elettorale, diventa sempre più protagonista del processo legislativo stesso.Un monito, anzi, una sferzata, soprattutto per quei membri della Consulta che hanno avallato la legittimazione del suicidio assistito, sia pure sottoponendolo a una serie di condizioni. Che però, a ben guardare - e alla luce dell'esperienza di altri Paesi, dall'Olanda alla Gran Bretagna - non sono una garanzia assoluta contro gli abusi. La Corte, ad esempio, fa riferimento a «sofferenze fisiche o psicologiche» che la persona «trova assolutamente intollerabili». Non è chiaro come si possa evitare, al netto delle sottigliezze interpretative, che tale apertura giustifichi tanto la soppressione di un uomo nella situazione di Dj Fabo, quanto quella di un paziente affetto da una grave forma di depressione, come Alessandra Giordano, la quarantaseienne siciliana che, come denunciato dalla Verità e da Panorama, ha concluso l'agghiacciante iter per il suicidio assistito nella stessa clinica svizzera di Fabiano Antoniani.Ma se non sorprende che il Pontefice si schieri con risolutezza contro l'eutanasia - in fondo, dopo la sentenza sul caso Cappato, anche esponenti della gerarchia vaticana considerati progressisti, quali monsignor Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia accademia per la vita, avevano espresso le loro perplessità - colpisce che Francesco abbia tuonato proprio in occasione dell'udienza con il Centro studi Livatino. L'istituto, infatti, aveva chiesto di prendere parte al giudizio di legittimità costituzionale sulla norma che punisce il suicidio assistito, ma la Consulta aveva giudicato inammissibile il suo intervento. Il Papa, insomma, sembra aver simbolicamente voluto dar voce alle istanze che non avevano trovato diritto d'asilo nella più alta delle aule di giustizia - più preoccupata, quanto a diritti, di battersi per introdurre nell'ordinamento italiano il diritto alla morte.Il discorso di Bergoglio appare tanto più intenso e significativo, poi, se si considerano le idee sulla funzione del magistrato costituzionale espresse da diversi esponenti della Consulta. A cominciare dal presidente uscente, Giorgio Lattanzi, esplicito fautore della «collaborazione» tra toghe e Parlamento e apologeta del «protagonismo» della Corte. Non bisogna però dimenticare neppure Marta Cartabia, attuale vicepresidente, in pole position per succedere a Lattanzi. La giurista, nei suoi scritti, ha spiegato che le corti costituzionali «svolgono a un tempo una funzione di garanzia - custodi dei valori costituzionali, stabili e duraturi - e una funzione dinamizzante dell'ordinamento attraverso l'interpretazione sempre nuova dei principi costituzionali, a contatto con l'evoluzione sociale». Esattamente quello cui Francesco si riferisce, quando punta il dito contro lo «sconfinamento del giudice in ambiti non propri». Le toghe cattoliche ascolteranno il Pontefice? O i loro cuori e orecchie si aprono solo per gli appelli ad accogliere migranti?