2019-01-25
«Franceschini ha ammazzato l’archeologia»
Il bilancio di Luigi Malnati a due anni dalla riforma voluta dall'allora ministro pd ai Beni culturali: «Storture, separazione dal territorio, gestione dei musei nazionali sottratta alle soprintendenze. Una legge scritta da chi non sa come funzionano le strutture del ministero».«A due anni dall'attuazione della riforma voluta da Dario Franceschini sul ministero per i Beni culturali, si può affermare senza reticenze e dubbi che, per quanto riguarda l'archeologia, essa è fallita e sta producendo risultati devastanti». Non è andato certo per il sottile Luigi Malnati, 65 anni, bergamasco, già direttore generale alle Antichità, nell'appello pubblicato sui maggiori quotidiani nazionali. Inizialmente promosso da 13 tra ex direttori e soprintendenti, lo scritto non è passato inosservato: i firmatari, in primis archeologi e funzionari in servizio, sono già più di 1.150.La principale novità della riforma Franceschini è la soprintendenza unica, carica che riunisce le tre soprintendenze di Archeologia, di Belle arti e di Beni architettonici.«L'idea è legittima, ma purtroppo non tiene conto della realtà. Il patrimonio archeologico non è costituito solo dai monumenti e dai reperti nei musei, ma soprattutto dai contesti del sottosuolo. Nei casi di scavi per l'edilizia, la tutela di tale patrimonio, inestimabile ma non inesauribile, dipende da valutazioni scientifiche la cui responsabilità deve ricadere su un archeologo. Tuttavia, la maggior parte dei soprintendenti unici sono architetti o storici dell'arte. Questo ha già causato una forte diminuzione degli scavi di archeologia preventiva».Archeologia preventiva?«È una normativa introdotta dai ministri Giuliano Urbani e Pietro Lunardi nel 2005, secondo governo Berlusconi. Prevede che ogni lavoro di edilizia pubblica o privata debba essere valutato da archeologi già in sede di fattibilità. A loro spetta decidere se e quanto si possa scavare. È stata un'idea rivoluzionaria. Avviando l'Alta velocità, si sono resi conto che l'archeologia è meglio prevenirla che trovarsela tra i piedi». Quali sono i problemi concreti causati dalla soprintendenza unica?«Se riceve la richiesta di eseguire scavi, il committente dell'opera opta per spendere poco e finire il prima possibile. È la soprintendenza a dover garantire che agisca secondo criteri qualitativi adeguati. Se a guidarla non è un archeologo, è facile che passi un'offerta al ribasso. Ovviamente ci sono anche archeologi nelle commissioni, ma l'ultima parola spetta al soprintendente. C'è il rischio concreto di perdita irreversibile di reperti o di stop ai lavori per rinvenimenti che si potevano prevedere. Senza peraltro che si sia ottenuta una maggiore rapidità nelle decisioni, come invece afferma Franceschini».Perché nell'appello lamentate che le soprintendenze uniche abbiano un'estensione superprovinciale, mentre le soprintendenze archeologiche coprivano un ambito regionale?«Le faccio l'esempio dell'Emilia Romagna. Le soprintendenze sono passate da una a tre: Bologna, Parma e Ravenna. Tuttavia, le strutture della soprintendenza archeologica che servivano l'intera regione, quali la biblioteca, gli archivi, il magazzino o il laboratorio di restauro, si trovano a Bologna e fanno ora parte della soprintendenza unica di Bologna, Modena, Reggio Emilia e Ferrara. A Parma, Piacenza e alla Romagna non resta nulla».Non si è provveduto a smistare i materiali nelle nuove soprintendenze?«No, per fortuna. S'immagina i costi dello smembramento e del trasporto? Trasporto per dove, poi? Parma non ha neanche un suo magazzino: quello utilizzato in precedenza appartiene al complesso monumentale della Pilotta, ora parte del polo museale».La riforma ha infatti sottratto alle soprintendenze la gestione dei musei nazionali e dei poli archeologici, ora passata ai vari poli museali o a istituzioni autonome. Ciò che cosa implica?«Poniamo che io debba fare una mostra sugli etruschi con materiali provenienti da Emilia Romagna, Toscana e Lazio. Mi trovo a dover trattare con tre soprintendenze emiliane, quattro toscane, almeno un paio laziali, i tre poli museali, il Museo nazionale di Villa Giulia, il Museo nazionale romano, il Museo autonomo di Modena e quello di Firenze. Prima della riforma, sarebbero bastate tre richieste».Fortuna che non ha citato i longobardi, avrebbe dovuto contattare quasi tutte le soprintendenze e i musei d'Italia.«Limitiamoci alla sola Lombardia, allora. La soprintendenza archeologica è ora sede della soprintendenza unica di Como, Lecco, Monza e Brianza, Pavia, Sondrio e Varese. In quei territori non esistevano strutture per accogliere la nuova istituzione». E se Brescia avesse bisogno di materiali gestiti dalla vecchia soprintendenza, cosa dovrebbe fare?«Non ne ho idea. Quand'ero soprintendente della Lombardia, avevo ottenuto la concessione di un magazzino confiscato alla mafia in provincia di Brescia: il materiale lì contenuto potrebbe venire da Milano, da Varese, da Mantova. Ora sono quattro soprintendenze diverse. Immagina il caos che si creerebbe se si decidesse di ricollocare i beni? Altro che “riforma a costo zero"! È stata scritta da persone che non avevano la minima idea di come funzionassero le strutture del ministero».Franceschini la definì «una grande rivoluzione».«Piuttosto uno stravolgimento, consistito soprattutto nella separazione tra valorizzazione, ricerca e tutela, ambiti strettamente legati in archeologia. La gestione dei musei è stata scissa dalla tutela del territorio, come se fosse possibile separare le aree archeologiche dal luogo fisico in cui si trovano. Com'è possibile fare il soprintendente dell'Etruria meridionale e gestire un territorio di cui non fanno più parte Cerveteri e Tarquinia? Ci rendiamo conto? Senza l'incremento portato dai risultati degli scavi, i musei si congelano. Separarli dal territorio in cui questi scavi avvengono è una follia che anche un bambino capirebbe».Nell'appello chiedete che i direttori di musei e parchi archeologici vengano nominati tramite concorsi pubblici, e non con selezioni svolte da una commissione eterogenea.«Dev'essere una scelta basata sul merito. Ora come ora, la commissione demanda la decisione finale al ministro o a un direttore generale da esso nominato. È di fatto una scelta politica, che non tiene in alcun conto la preparazione dei singoli. Pensi che il direttore del già citato complesso della Pilotta, Simone Verde, è laureato in filosofia, pur con una specializzazione in arte».Ma che competenze può avere un filosofo per gestire un museo nazionale di archeologia?«Me lo dica lei. A parte essere stato assistente parlamentare di Walter Veltroni e viceresponsabile culturale del Pd, s'intende. Ma non è l'unico caso e neppure il più stravagante».L'accorpamento delle soprintendenze ha portato alla riduzione dei dirigenti. Non è che vi lamentate della riforma perché vi vengono tagliati i posti di lavoro?«Io e i 13 firmatari siamo in pensione. È vero, per gli archeologi del ministero è stata ridotta pesantemente la possibilità di carriera. Il che non è un bene, per l'archeologia in generale. Un funzionario di soprintendenza, nonostante le enormi responsabilità, prende uno stipendio inferiore a quello di un insegnante di scuola media. Inoltre, i soprintendenti sono stati ridotti a 40 e vengono nominati per lo più architetti. Chi s'iscriverà ancora a una facoltà con indirizzo archeologico, visto che anche la libera professione è in crisi?».Eppure l'Italia è sempre stata all'avanguardia nella gestione dei beni culturali.«Eccome. Pensi che la suddivisione tecnica delle soprintendenze, stabilita nel 1904 dal ministro Vittorio Emanuele Orlando, ha rappresentato un sistema talmente efficiente che venne copiato da molte nazioni, tra cui la Spagna e la Grecia».La riforma ha provocato disastri anche per l'architettura o le belle arti?«Sono un archeologo e parlo di archeologia. Al contrario di Franceschini, non invado il campo altrui».La legge è stata approvata nel 2016. Come mai vi siete mossi solo ora?«Dal 2016 al 2018, come soprintendente unico di Bologna, ho tentato di applicare lealmente la riforma. Non faccio boicottaggio. Nell'arco di due anni, ho constatato come i risultati siano stati profondamente penalizzanti per l'archeologia, nonostante io fossi un archeologo. Ho realizzato tre importanti mostre, ma con il senso di colpa di non aver avuto tempo di seguire i procedimenti di carattere architettonico-ambientale e di storia dell'arte. E a che titolo avrei potuto valutare le istruttorie prodotte da architetti iscritti all'Ordine? Andrea Carandini e i professori che hanno pubblicato un controappello sul Sole 24 Ore si basano sulla teoria, io e i firmatari abbiamo toccato con mano la situazione».Che cosa chiede all'attuale ministro Alberto Bonisoli?«Di evitare la dispersione dei beni archeologici. Bisognerà poi trovare una soluzione razionale che parta dalla constatazione realistica della situazione. Gran parte dell'archeologia del Novecento è stata fatta da illustri soprintendenti: penso a Luigi Bernabò Brea o Dinu Adameșteanu, che con il suo lavoro ha creato dal nulla la soprintendenza della Basilicata. Con questa riforma, dubito che avremo mai un altro Adameșteanu».
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