
Dopo la condanna definitiva, l'ex governatore si costituisce. Negati anche i domiciliari, chiesti dal legale. L'epilogo, però, non può cancellare una stagione che ha trasformato la Lombardia nella locomotiva italiana.«Un'ingiustizia con i guanti bianchi». L'aveva chiamata così quella condanna arrivata come una mannaia a chiudere un'epoca. Ma l'ha affrontata da leader, da Celeste caduto dal paradiso, consapevole che il giudizio della storia non può essere solo quello dei tribunali. Roberto Formigoni si è consegnato ieri mattina nel carcere di Bollate, ribattezzato «l'hotel a quattro stelle» dagli esperti, costruito nel 2000 con standard di eccellenza sconosciuti nel nostro Paese. Perché realizzato non in Italia, ma nella Lombardia che lui guidava.Il governatore è in prigione dopo l'ultima beffa nei confronti dei giornalisti, categoria che non ha mai amato: tutti lo aspettavano sotto casa dove i carabinieri erano attesi per far rispettare la sentenza della Cassazione, ma lui li ha dribblati costituendosi direttamente alla direttrice Cosima Buccoliero. Ha superato la porta carraia sul sedile posteriore della Bmw guidata dal suo storico avvocato, Mario Brusa. Ha percorso gli ultimi metri a piedi indossando un giaccone grigio col cappuccio che nulla ha a che vedere con gli abiti arancione o verde mela e i panciotti dandy dell'ultima stagione del suo potere pop. Poi la routine carceraria del primo giorno: l'iscrizione all'Ufficio matricola, la perquisizione agli effetti personali, la visita medica per evidenziare eventuali necessità terapeutiche e un colloquio con gli educatori per capire se - in base alle sue condizioni psicologiche - ci siano misure particolari da adottare. «È sembrato sereno e tranquillo», trapela dal carcere, dove per ora è stato deciso di ospitarlo in una cella con altri due detenuti. Dovrebbe scontare cinque anni e 10 mesi. E nel «dovrebbe» sono contenute le speranze della difesa, che ha chiesto i domiciliari in attesa dell'affidamento ai servizi sociali come da protocollo per i detenuti oltre i 70 anni (lui ne ha 71) per i quali non si ravvisa la pericolosità sociale. Una regola cancellata tre mesi fa dall'entrata in vigore dello Spazzacorrotti, la legge introdotta dal governo 5 stelle-Lega che non prevede (come ha fatto notare il sostituto procuratore generale di Milano, Antonio Lamanna), pene alternative al carcere. Di conseguenza l'istanza della difesa non ferma la carcerazione, ma verrà valutata successivamente dalla corte d'Appello.Formigoni dietro le sbarre è un'immagine politicamente forte che titilla l'istinto di rivincita giustizialista della sinistra. Ma la vicenda giudiziaria, le foto sullo yacht del «facilitatore di mazzette» Pierangelo Daccò, i cinque milioni di patrimonio sequestrati non cancellano la lunga stagione formigoniana che ha trasformato la Lombardia nella locomotiva italiana. E che è stata la rampa della regione economicamente più avanzata d'Italia, diventata nell'ultimo decennio il diciassettesimo länder della Germania.Presidente della Regione dal 1995 al 2013, quattro mandati consecutivi, Formigoni ha compiuto fra Milano e Brescia, Sondrio e Pavia, la rivoluzione liberale che Silvio Berlusconi aveva annunciato e non ha mai realizzato a livello nazionale. Il governatore ha preso in mano il programma del primo centrodestra e lo ha applicato; oggi lo si comprende guardando lo skyline dei grattacieli di Milano, quartiere Isola, da Terni o da Pescara. Ecco le due velocità, espresse nei settori chiave della scuola e della sanità, rivoluzionate con un'idea semplice ma da brividi: far funzionare il pubblico e il privato con un mix vincente. Da devoto seguace di Comunione e liberazione (del quale è stato referente politico primario per un lustro) ha usato spesso l'immagine dei «cattolici che hanno preso sul serio la vocazione alla politica come forma più alta di carità». Cl gli è sempre stata vicina e anche ieri, in un comunicato, ha avuto per lui parole di sensibilità partendo da un motto di San Paolo: «Se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme. In questo momento soffriamo con lui, nella consapevolezza che solo Dio può ultimamente e veramente vedere il cuore dell'uomo e può rispondere al bisogno di misericordia che tutti abbiamo».Il miglior Formigoni si è visto all'opera nei primi due mandati, quando ha mostrato di avere una marcia in più rispetto ad avversari ed alleati (la Lega lo ha sempre sostenuto lealmente) e quando ha inaugurato la politica del fare lasciandosi alle spalle i minuetti di cattocomunisti immobili nelle sacrestie a consumare i gomiti delle giacche grigie citando a sproposito don Luigi Sturzo e Giorgio La Pira. Mancava una scuola? Andava costruita o finanziata, anche se a gestione privata, perché senza il privato il pubblico soffoca nella mediocrità. C'era un ospedale fatiscente? Ne andava realizzato uno nuovo, anzi un'astronave dell'eccellenza sanitaria per guarire chi soffre. Lui era un carro armato. Un giorno, davanti a un muro che l'amministrazione di centrodestra stava costruendo a Como davanti al lago, con i cittadini in rivolta contro il sindaco, mi chiamò (dirigevo La Provincia, il giornale locale) e mi disse: «Direttore, scriva pure che se non abbattono quell'obbrobrio, vengo io con il piccone a farlo». È quel Formigoni che oggi Berlusconi, dispiacendosi umanamente per il carcere, definisce «il miglior governatore in assoluto di tutte le regioni italiane». Leggendo, il Celeste sorriderà perché a un certo punto dell'avventura politica aveva perfino pensato che il Cavaliere potesse consegnargli lo scettro del centrodestra. Non aveva fatto i conti con Re Sole e quel «dopo di me il diluvio» che cominciava a farsi largo nella Versailles di Arcore. Negli ultimi anni di governo si era visto all'opera un Formigoni più autoreferenziale, modaiolo, padrone del vapore, quindi più vulnerabile anche alle tangenti. Il mausoleo di palazzo Lombardia, certi eccessi da vicerè delle Indie in consiglio (è imperdibile su YouTube il «pirla» al consigliere dell'Italia dei valori, Stefano Zamponi, e la spiegazione che non è reato), ne avevano scandito una decadenza che non può cancellare l'impeto innovatore. Come non lo cancellerà il carcere, percorso dal tempo immobile e dai silenzi che lui trascorrerà anche in compagnia degli scritti di don Luigi Giussani, morto proprio ieri 14 anni fa. Aspettando di tornare a casa.
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