2022-10-25
Più tasse, meno libertà: è la sinistra o il Fmi?
«La Repubblica» sembra sposare convintamente la linea di Alfred Kammer, direttore del dipartimento europeo del Fondo monetario. È il nuovo capitalismo: imposte elevate e pervasive sono sempre più funzionali a un’idea di società che può essere controllata.le tappe dei «grandi successi» del Fondo monetario internazionale. Chile 1973, Zaire 1908, Romania 1982, Russia 1992, eccetera, fino alla Grecia del 2010: con i disastri al posto dei concerti, era un modo per ironizzare che non proprio tutto di ciò che toccava il Fmi diventasse esattamente oro.Se mai fosse arrivata in Italia, quella maglietta probabilmente avrebbe potuto essere indossata, fino a non molto tempo fa, da un elettore di sinistra, e magari lettore di Repubblica, con un certo orgoglio. Oggi probabilmente se la comprerebbe un elettore di destra propenso a polemizzare contro lo strapotere della finanza e delle istituzioni sovranazionali: del resto, il lettore del quotidiano fondato da Eugenio Scalfari ieri si trovava a pagina 3 - con enorme evidenza - una intervista ad Alfred Kammer, direttore dell’European department al Fondo monetario internazionale. L’azzimato economista tedesco «invia al nuovo governo» italiano alcuni «suggerimenti», dopo aver constatato con apprezzabile tempismo l’incombere di una recessione prima negata con la stessa pervicacia di chi considerava «temporanea» l’inflazione. In sostanza, la linea proposta è quella di una politica fiscale «non espansiva» (dunque restrittiva, cioè più tasse). L’osservatore poco avveduto sarebbe tentato dal temere una leggerissima devastazione dal combinato disposto di un’inflazione a doppia cifra, una contrazione dei salari, una recessione alle porte condita da aumento di tasse. Ma Kammer gli spiegherebbe che «per compensare completamente l’aumento del prezzo dell’energia alle famiglie con il 40% di reddito più basso» lui e i suoi colleghi hanno calcolato sia necessario lo «0,9 del Pil in termini di costi fiscali». E siccome il «pacchetto medio» di aiuti fin qui è stato dell’1,8% del Pil, cioè il doppio, significa che un fiume di denaro «non è utilizzato in modo efficace» e «non aiuta a sostenere i più vulnerabili» né tanto meno a «mantenere la politica fiscale allineata con la politica monetaria per combattere l’inflazione». Un secondo osservatore superficiale potrebbe obiettare che la Germania pare in procinto di muoversi su direttrici di politica economica un po’ diverse (200 miliardi di spesa pubblica per sostenere le imprese e le famiglie), ma riceverebbe in cambio una risposta inflessibile: «Serve inasprire la politica monetaria, e avere una politica fiscale allineata a tale obiettivo». Una linea che Repubblica sembra sposare convintamente, dal momento che la titolazione del quotidiano enfatizza le risposte di Kammer con forza in prima pagina: «Fmi: “Roma non faccia gli errori del Regno Unito. Priorità: aiuti e Pnrr, no a Flat tax”». Stringendo il campo visuale agli ultimi, drammatici sei mesi, si potrebbe quasi rilevare che Nato e Fondo monetario sono diventati insospettabili fari nell’elaborazione politica di molta sinistra. Anche qui, la cosa ha una sua coerenza: Carlo Cottarelli era al Fondo monetario che si applicò alla Grecia nel 2010, salvo poi spiegare di essere stato «tra i primi a notare che i moltiplicatori usati dal Fmi erano troppo bassi», quando forse si era fatto un po’ tardi. E oggi Cottarelli siede tra i banchi del Pd che lo ha eletto in Senato.Ma l’intervista è meritevole di riflessione per un altro aspetto: perché il Fondo monetario di fatto invita Roma ad alzare le tasse? Non si contano gli inviti dell’istituzione economica rivolti negli scorsi anni al nostro Paese a fare esattamente il contrario. Una prima risposta è ovviamente contingente, e accennata esplicitamente da Kammer: tenere assieme la stretta monetaria in corso, un rialzo dei tassi dettato dalla Fed e politiche fiscali compatibili è un esercizio ad alto rischio, come mostra - in parte - l’esempio inglese. Tuttavia c’è un altro aspetto, meno «tecnico» e più figlio di una visione economica e antropologica che oggi caratterizza gli schemi di funzionamento del capitalismo internazionale. Fino a non molto tempo fa, era ragionevole associare a istanze pro-mercato una quasi automatica richiesta di riduzione del carico fiscale per famiglie e imprese, figlia - anche - della volontà ideologica di togliere condizionamenti alla libertà economica. Oggi sembra quasi accadere il contrario, al di là del frangente di stagflazione in cui siamo affogati: una tassazione elevata e pervasiva pare sempre più funzionale a un’idea di uomo, di società e di Stato che ha sempre meno a che vedere con la libertà e sempre più con il controllo. Un individuo, ma anche un’impresa, più sono oppressi e più tendono a essere preda di creditori o di acquirenti: a essere insomma alla mercé di forze in grado di trattare alla pari con gli Stati e il cui modello di sviluppo e crescita necessita di persone indebitate, controllabili, indirizzabili, «punibili» nell’uso e nella disponibilità di beni e servizi. Che tale modello trovi cantori e interpreti soprattutto a sinistra è un fatto, di cui l’intervista a Kammer è una piccola sporgenza. Può darsi che egli dia pure indicazioni corrette al nostro Paese: non è questo il punto. Ma smettere di considerare «neutri» tali suggerimenti e le loro conseguenze è il primo passo per tentare di dare un nome al mondo in cui viviamo.