Quanto siamo disposti a pagare per ottenere la pace in Medio Oriente? È questa la domanda che si sono posti in tanti, a cominciare dai Paesi europei. E infatti nel corso degli anni, di fronte a un conflitto diventato cronico, tutta l’Unione ha contribuito a versare fondi pro Palestina, nella speranza che i finanziamenti servissero a risollevare l’economia della Striscia di Gaza e della Cisgiordania, alleviando le condizioni della popolazione. Peccato che a distanza di anni, il fiume di denaro che è stato riversato su quei territori non sia riuscito né a costruire la pace, né a migliorare le condizioni di vita dei palestinesi. Tutta colpa di Israele? No, molta è responsabilità di chi ha gestito autonomamente quegli stanziamenti. Ce ne occupiamo sul numero di Panorama oggi in edicola. Un servizio di Antonio Rossitto, infatti, ricostruisce come sono stati spesi i miliardi che l’Unione europea ha devoluto in favore di Gaza negli ultimi decenni. E non lo fa per sentito dire, ma usando un rapporto della Corte dei conti di Bruxelles, in cui si certifica che parte dei soldi è stata «sprecata, sperperata o persa nella corruzione». Il progetto di aiuto denominato «Pegase» serviva a sostenere molti progetti, ma da quel che risulta, i soldi non sono sempre stati impiegati per ciò per cui erano stati stanziati. I ragionieri europei hanno scoperto che una parte dei fondi è stata usata per pagare gli stipendi o per far funzionare alcuni servizi pubblici, ma il resto non si sa bene dove sia finito. In totale, dal 1994 al 2012 sono stati spesi 5,6 miliardi, tuttavia l’Unione non si è preoccupata di verificare che i fondi fossero spesi per ciò per cui erano stati stanziati. Più recentemente, la Ue ha messo a disposizione dei palestinesi 1,17 miliardi di euro, che avrebbero dovuto servire a sostenere cinque obiettivi, che andavano dalla democrazia allo sviluppo economico sostenibile, eppure non risulta che le priorità indicate nel piano al momento del varo siano state rispettate. Le elezioni a Gaza e in Cisgiordania non si tengono da più di 15 anni, quanto allo sviluppo economico sostenibile, è di là da venire. Dunque, dove sono finiti tutti questi soldi? Il sospetto è che siano serviti a pagare le milizie, così come molto probabilmente una parte dei fondi, invece di essere investita nelle infrastrutture di cui sia Gaza che Cisgiordania hanno grande bisogno, è stata impiegata per finanziare la resistenza, costruire armi, preparare nascondigli. Il caso più clamoroso è l’assegno staccato per migliorare la rete idrica nella Striscia: 30 miglia di condutture pagate dalla Ue. Peccato che i tubi, invece di essere utilizzati per portare l’acqua, siano serviti per fabbricare missili da lanciare contro Israele. Stessa destinazione avrebbe avuto il cemento per costruire ospedali, scuole e infrastrutture: in parte, anche quello sarebbe servito per realizzare la famosa rete sotterranea costruita negli anni per sfuggire all’esercito israeliano e per nascondere armi. Insomma, soldi pubblici dell’Europa, invece di essere destinati a far uscire la popolazione palestinese dalla povertà, sono finiti nelle tasche di chi alimenta la guerra.
Non è tutto. La Ue ha sostenuto e sostiene i programmi di studio dell’Università di Gaza, ateneo che non solo è stato voluto dallo sceicco Ahmed Yassin, fondatore di Hamas, ma da cui sono usciti professori e capi politici del Movimento di resistenza islamico, a cominciare da Isma’il Haniyeh, capo politico del gruppo terroristico, per finire con Mohammad Deif, comandante del braccio armato di Hamas.
È per questo che subito dopo l’attacco del 7 ottobre, da Bruxelles era arrivato l’annuncio di un blocco immediato degli aiuti verso la Palestina. Ma la rivolta di molti funzionari alla presa di posizione di Ursula von der Leyen e l’orientamento del socialista Josep Borrell, Alto rappresentante per gli Affari esteri e la sicurezza dell’Unione, hanno indotto alla retromarcia: i fondi restano, semmai si faranno controlli più approfonditi. O per lo meno si spera.
Anche l’Italia, non solo tramite la Ue, partecipa a programmi di cooperazione e sostegno, prova ne sia che alla Farnesina hanno acceso un faro per verificare dove siano finiti i soldi. Stessa cosa decisa dai servizi di sicurezza interni ed esterni, che ora passano al setaccio i conti delle Ong che operano in Palestina o che cercano fondi per la causa palestinese. Denaro raccolto presentando ai sottoscrittori le migliori intenzioni, ma spesso finito altrove. Del resto, quanti acquedotti e quante centrali elettriche sarebbero stati realizzati se i 7 miliardi della Ue e i molti spesi dai singoli Paesi fossero finiti nelle tasche giuste?