2018-08-28
Follie della clonazione. Per duplicare il cane anche 100.000 dollari
La pecora Dolly fu l'inizio. Oggi, su ordinazione, si può replicare qualsiasi animale. Basta fornire il dna entro 5 giorni dalla morte.Al Royal Museum di Edimburgo, impagliata dietro una teca di vetro, c'è la pecora più famosa del mondo: è Dolly, il primo mammifero nato per clonazione. Sono passati 22 anni da quando, il 5 luglio 1996, al Roslin Institute, in Scozia, in una stazione per le ricerche nella zootecnia, Dolly veniva al mondo con lo stesso identico patrimonio genetico di sua madre. Otto mesi dopo Ian Wilmut (il «padre» umano di Dolly) annunciò sulla rivista Nature il lieto evento. Il mondo ne fu scosso, la notizia finì sulle prime pagine di tutti i giornali, per mesi la prima pecora clonata della storia fu il principale argomento di conversazione, con analisi sulle implicazioni etiche e scientifiche di un simile progresso. Anche i folli si scatenarono: la setta dei raeliani (che sostiene di discendere dagli extraterrestri) comunicò che due cloni umani, per la precisione un bambino e una bambina, erano nati tra i suoi seguaci.Non era stato facile, per Dolly, vincere la lotteria della vita. Prima della sua nascita i ricercatori scozzesi avevano creato 277 embrioni. Solo 29 erano cresciuti al punto di poter essere trasferiti nell'utero di una madre surrogata, e solo uno ce l'aveva fatta. Perché la clonazione è una faccenda complicata. Nel caso di Dolly, Wilmut aveva prelevato una cellula mammaria di una pecora adulta, ne aveva estratto il nucleo (quindi tutto il dna) e lo aveva inserito in un ovocita di una pecora della stessa specie privato del nucleo. In seguito l'ovocita, stimolato da una piccola scossa elettrica, aveva iniziato a dividersi guidato dal dna della cellula mammaria, fino a diventare un piccolo embrione che poi fu fatto crescere nell'utero di una madre surrogata. Operazione lunga, durante la quale molte cose potevano andare storte. Ma con Dolly andò tutto bene. E nacque un clone dell'organismo di partenza, a differenza di una normale fecondazione in cui sono messi insieme il patrimonio genetico della madre e del padre.Dagli anni Novanta, gli scienziati non hanno mai smesso di clonare gli animali, riuscendoci con 25 specie. Ad esempio nel 1999 in Italia nacque Galileo, clone di un toro campione di razza bruna. E nel 2003 arrivò il primo clone di un cavallo, Prometea. La clonazione è impiegata oggi in zootecnia per la riproduzione di animali che forniscono latte e per aumentare il numero delle specie a rischio di estinzione. Ma il business più florido è quello della clonazione dei cani. La Sooam biotech research foundation di Seoul, prima azienda al mondo che fornisce ai clienti copie-carbone del loro quattro zampe, fondata dallo scienziato sudcoreano Hwang Woo-suk, dal 2009 ha clonato più di 1.000 cani, al prezzo di 100.000 dollari l'uno. Basta che il proprietario fornisca il dna del «caro estinto» entro cinque giorni dalla morte, e cinque mesi dopo ne porterà a casa uno identico nuovo di zecca.I clienti sono oligarchi russi, re del Medio Oriente, miliardari americani. Fa parte della scuderia della Sooam Biotech Research Foundation anche Milly, una chihuahua da record: oltre a essere la cagnolina più piccola del mondo, con 49 copie è anche la più clonata. Gli studiosi volevano studiare il suo patrimonio genetico per scoprire il segreto delle sue dimensioni ridotte. La proprietaria, Vanessa Semler, ha acconsentito, dando il via alla replicazione della cagnolina.Giusto? Sbagliato? Una scelta pericolosa? Costi a parte, la clonazione, pone problemi etici e ha parecchi punti deboli: intanto gli animali replicati sono simili ma non uguali a quello che si tenta in qualche modo di far sopravvivere. Ad esempio Barbra Streisand ha sborsato 50.000 dollari per clonare la sua Samantha: se ne è fatta fare addirittura due, Miss Violet e Miss Scarlett, «ma di carattere non le somigliano», si è lamentata. In secondo luogo questi animali sembrano essere più fragili degli altri, più vulnerabili alle malattie. Dolly nel 2002, a soli 6 anni, si ammalò di artrite, e l'anno dopo venne soppressa perché aveva una malattia polmonare incurabile. Per alcuni questa era la dimostrazione di un difetto strutturale dei cloni: l'invecchiamento precoce. Lo stesso Ian Wilmut, a un certo punto della sua carriera, ammise che i cloni hanno un'altissima percentuale di malformazioni. Nel 2009 un gruppo di ricercatori nel Nord della Spagna annunciò di avere clonato con successo un esemplare di stambecco dei Pirenei, dichiarato ufficialmente estinto nel 2000. L'esemplare morì poco dopo la nascita a causa di una malformazione polmonare, ma l'esperimento fu comunque il primo successo nella clonazione di un animale dichiarato estinto. C'è anche un altro problema: per ottenere un clone, bisogna fare vari tentativi. Il che significa sottoporre a interventi chirurgici un gran numero di animali, tra donatori e surrogati.Tuttavia, mentre si discute, la pratica si diffonde estendendosi oltre i cani e i laboratori coreani. Lo scorso gennaio, nel Chinese academy of science institute of neuroscience di Shanghai, sono nati i primi due cloni di primate, due femmine di macaco dalla coda lunga battezzate Zhong Zhong e Hua Hua. Le cucciole al momento sembrano essere in perfetta salute, ma i dubbi del passato non sono svaniti. Allora perché continuare sulla strada della clonazione? I padri delle due scimmiette sostengono che il loro lavoro apre molte prospettive, per esempio clonare primati per la ricerca biomedica: «I primati hanno un corredo simile al nostro per il 98%. Studiare loro è come studiare noi stessi».I tentativi di clonazione di primati, fino a oggi, erano sempre falliti. La scienza ha superato anche questo limite. E molti tornano a chiedersi: a quando gli esseri umani? Secondo Carlo Alberto Redi, direttore del Laboratorio di biologia dello sviluppo dell'Università di Pavia, «oggi abbiamo gli strumenti per clonare l'uomo, ma a cosa servirebbe? La comunità scientifica internazionale non è interessata a condurre questo genere di esperimenti, che tra l'altro sono vietati da quasi tutte le legislazioni: in Italia il folle che volesse provarla rischierebbe 10 anni di carcere e l'interdizione dai pubblici uffici».
Il ministro degli Interni tedesco Alexander Dobrindt con il cancelliere Friedrich Merz (Ansa)
Massimo Cacciari (Getty Images)