2021-04-16
Flop Recovery fund: l’Italia si muove da sola
Ursula von Der Leyen (Ansa)
Sta per scadere il tempo per abbattere gli ostacoli decisivi: la ratifica, la presentazione dei piani nazionali e l'emissione dei bond. Intanto Palazzo Chigi stanzia un fondo di 30 miliardi per gli investimenti eccedenti: un modo per aggirare le pastoie di BruxellesSiamo entrati nelle settimane decisive per il definitivo decollo o la lenta eutanasia del Recovery fund. Perché un fondo per la «ripresa» che erogherà, dopo 18 mesi di crisi, 45 miliardi, un anticipo pari al 13% dei 338 miliardi di sussidi (a prezzi correnti) del Dispositivo per la ripresa e la resilienza (Rrf), sembra più un ultimo respiro che uno stimolo alla crescita. Stiamo parlando di un anticipo che vale lo 0,3% del Pil della Ue e di un piano complessivo che vale il 5,5% del Pil spalmato su 6 anni, 0,9% del Pil annuo. Numeri da prefisso telefonico.Come se non bastasse, ciò accadrà se, e solo se, la Commissione riuscirà a superare i tre ostacoli ancora sulla propria strada: ratifica della decisione sulle Risorse proprie da parte degli Stati membri, presentazione dei Recovery plan ed emissione delle obbligazioni sui mercati.Sul primo punto finora hanno proceduto 17 Paesi e quindi mancano all'appello altri dieci. A preoccupare di più sono Germania e Polonia dove il processo di ratifica è incagliato. «Siamo tuttavia fiduciosi che tutti i 27 Paesi procederanno con la ratifica entro maggio», ha dichiarato il commissario Ue al Bilancio, l'austriaco Johannes Hahn. Aggiungendo che non esiste un piano B, qualora i giudici di Karlsruhe si mettano definitivamente di traverso alla già avvenuta decisione di ratifica da parte del Bundestag. Non appare una posizione molto rispettosa delle toghe rosse tedesche, ma evidentemente il commissario deve essere ben informato.Saranno ben altre le grane che dovrà risolvere. Infatti il suo progetto di emissione di titoli, presentato con la solita grande enfasi propagandistica della Commissione, prevede di cominciare con una media mensile di circa 15 miliardi, fino a raggiungere i 45 a settembre. E qui già cade un altro vessillo sbandierato per mesi nel nostro Paese: l'anticipo del 13% sarà solo sulla quota sussidi e non anche di prestiti, a meno di una esplicita richiesta dello Stato richiedente che non è detto sarà soddisfatta dalla Commissione. In soldoni, il 13% di circa 70 miliardi equivale a poco più di 9 miliardi. Non certo i 27 di cui si è parlato fino a poche settimane fa.Ma cosa succederà se tutti gli Stati membri arrivassero contemporaneamente a richiedere l'anticipo? La Commissione avrebbe sufficiente liquidità, raccogliendo solo 15 miliardi al mese? Hahn non teme problemi. «Chi prima arriva, prima viene servito» sarà il criterio. Non proprio rassicurante.Conterà il momento di presentazione del piano, previsto «in linea di principio» entro il 30 aprile, ma l'Olanda ha già fatto sapere che farà con calma e sforerà quella scadenza.A questo proposito, ieri una fonte diplomatica dell'Ue ha fatto sapere che «Francia, Spagna, Portogallo e Grecia sono i Paesi più avanti con il piano nazionale di Recovery». Ha aggiunto che «dalle informazioni che abbiamo ci aspettiamo che saranno i primi a presentare formalmente i loro piani alla Commissione, prima della scadenza indicativa del 30 aprile, forse qualcuno già la prossima settimana». Ma se questi sono i primi della classe, le notizie che giungono dalla Spagna non appaiono confortanti sull'approvazione del piano. Da giorni il quotidiano El País riferisce dell'animato dibattito in corso sulle riforme chieste dalla Ue come condizione per l'approvazione del Recovery plan: lavoro, pensioni, fisco. Colpisce il relativo silenzio che aleggia nel nostro Paese. A noi la Commissione non ha chiesto nulla? Ha chiesto ma stiamo facendo finta di nulla?Secondo la stampa spagnola quel piano oggi non soddisfa i requisiti imposti da Bruxelles per poterlo accettare. Le autorità europee fanno pressioni sull'esecutivo chiedendo i dettagli delle riforme, vogliono progressi adesso e, soprattutto, chiedono che i cambiamenti strutturali siano presentati con il sigillo dell'accordo di datori di lavoro e sindacati.Ma le tensioni tra il governo e le parti sociali non riguardano solo le pensioni, ma anche la riforma del lavoro. I sindacati e il ministro del lavoro Yolanda Díaz chiedono lo smantellamento della riforma del 2012, ma le parti datoriali rifiutano qualsiasi accordo, in questo spalleggiati dal ministro dell'economia Nadia Calvino. La reazione dei sindacati è stata quella di scendere in piazza.Un compromesso pare raggiungibile puntando sull'ambiguità del testo e degli impegni. Ma questo renderà forse possibile l'approvazione del piano e l'erogazione dell'anticipo, ma non eviterà una vera e propria «battaglia campale» al momento dell'erogazione con cadenza semestrale degli stati di avanzamento. In quel momento non sarà possibile più tergiversare: senza riforme, non arriverà il bonifico da Bruxelles. Sarà inoltre attivabile l'infernale meccanismo del «freno di emergenza» che consentirà anche a un solo Stato membro di tenere bloccato il pagamento per mesi, in attesa che il Consiglio europeo discuta l'eventuale inadempienza del Paese sul banco degli imputati.Allora assume un significato ben definito la scelta, annunciata dal governo, di stanziare un fondo di 30 miliardi per investimenti eccedenti quelli probabilmente finanziati dal RRF. Sarà una somma spalmata su otto anni, di cui 4 relativi al 2021.Piuttosto che rimanere impelagati nelle pastoie della Commissione, meglio mettere al sicuro gli investimenti che non soddisfano i criteri valutativi dell'Ue e acquisire così una relativa certezza circa la loro esecuzione. Un chiaro segnale di sfiducia verso il Rrf.Ma allora perché 30 miliardi e non 60 o 90, con l'evidente vantaggio di non sostenere i costi palesi e occulti di una estenuante trattativa a ogni stato di avanzamento e firmare contratti di prestito capestro?
Tedros Ghebreyesus (Ansa)
Giancarlo Tancredi (Ansa)
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