2021-01-25
Click flop. Digitale negli uffici pubblici: un fallimento dietro l’altro
Il voto elettronico di Lello Ciampolillo al Senato è l'emblema di un'amministrazione incapace di usare la tecnologia. Dal sito Inps ko fino alle code virtuali per i bonus, tutte le occasioni perse per rendere la burocrazia più snella.L'ex vicepresidente della Commissione parlamentare sulla digitalizzazione Mara Mucci: «L'Agenda di cui si parla dagli anni Novanta è ancora sulla carta. Nello Stato un'incredibile assenza di competenze specifiche».Immuni doveva essere l'arma più formidabile per contenere il contagio, invece è un disastro. Nessuno ne parla più, tranne Arcuri che vuole usarla per monitorare la vaccinazione.Lo speciale contiene tre articoli.Se nemmeno il Senato riesce a essere al passo con la digitalizzazione, figurarsi il resto della pubblica amministrazione. La fiducia di Palazzo Madama al governo di Giuseppe Conte si doveva esprimere con voto elettronico. Eppure la presidente Elisabetta Casellati ha dovuto ricorrere alle immagini registrate per stabilire se i senatori Riccardo Nencini e Lello Ciampolillo avevano dichiarato il voto entro i tempi.Perché stupirsi se app e piattaforme pubbliche entrano in tilt quando l'afflusso degli utenti supera il numero di un piccolo condominio, se le autocertificazioni digitali funzionano a metà e se app nate per tracciare il virus, sbagliano i dati? Con la pandemia, l'Italia ha scoperto la sua debolezza sul fronte delle nuove tecnologie. Spinto dall'ansia innovatrice e dall'ambizione di mostrare di essere al passo con i tempi, il governo ha avviato una serie di operazioni ad alto tasso informatico. Una pioggia di app da far invidia ai giganti della Silicon Valley con la presunzione di far scoprire agli italiani che, stando a casa con il cellulare, si possono utilizzare i servizi della pubblica amministrazione, ricevere bonus e ristori pubblici e prenotarsi per il vaccino. Ma la promessa del «basta un click» per superare file e avere tutto a portata di smartphone si è rivelata una favola. E talvolta un incubo. È quanto è successo il 1° aprile al sito dell'Inps. Milioni di lavoratori autonomi travolti dalla crisi si accalcano a richiedere l'indennità di 600 euro. La platea che può accedere al beneficio è di oltre 5 milioni di persone. Il portale collassa e viene sospeso per 3 ore. Centinaia di profili di utenti (dati anagrafici, residenza e domicilio, numeri di telefono, mail private, nomi dei figli) diventano di pubblico dominio. La privacy in centinaia di casi è violata. Anche numerose domande per accedere al bonus baby sitter sono state modificate, cancellate e inviate a estranei. Molte di queste sono finite nel circuito dei social. Gli utenti danneggiati e furibondi si rivolgono al Garante per la privacy che inchioda l'Inps alle sue responsabilità e dice che le anomalie sono più ampie di quelle rilevate dall'Istituto e sono continuate anche dopo il 1° aprile. Quindi ingiunge di informare le famiglie entro 15 giorni della violazione dei dati altrimenti rischia una sanzione fino a 20 milioni di euro. Si profila anche l'ipotesi di un attacco hacker. Il sistema Inps non riesce a far fronte neppure alla mole di domande per la cassa integrazione dell'emergenza. Il meccanismo di erogazione, alle prese con numeri mastodontici, si inceppa con ritardi enormi sui pagamenti. In estate è scoppiato il pasticciaccio delle graduatorie provinciali online. Centinaia di migliaia di precari della scuola si sono riversati sulla piattaforma del ministero che è imploso. Due giorni dopo il via delle operazioni, meno di 1 insegnante su 3 è riuscito a inviare la richiesta di entrare nelle graduatorie per le supplenze. Nessuno aveva previsto la valanga di accessi nonostante che i precari siano un quarto dell'organico. Anziché sveltire le nomine di ruolo e quelle a tempo determinato, è scoppiato il caos e l'anno scolastico è partito senza migliaia di insegnanti. Anche nel luglio 2017 il sito del ministero dell'Istruzione andò in tilt, preso d'assalto da 700.000 domande di docenti precari che chiedevano di essere inseriti nelle graduatorie.Il Covid che ha costretto le scuole alla didattica a distanza ha messo allo scoperto la fragilità del sistema di connessione nazionale. La banda larga e il traffico in rete sono determinanti per seguire le lezioni fuori dalle aule, peccato che ancora non siano accessibili a tutti. Una famiglia su 4 nel nostro Paese non dispone di un accesso a internet a banda larga. Numerose famiglie si sono viste piombare in casa il sistema della didattica a distanza senza avere gli strumenti informatici. Un flop annunciato pure quello dell'accesso digitale al bonus bici e monopattini: è il rimborso fino a 500 euro per favorire la mobilità ecosostenibile. Siccome i fondi stanziati erano limitati, il governo ha deciso per il clic day: chi prima arriva meglio alloggia. Mezz'ora dopo l'avvio, il sistema si è bloccato gettando nel panico gli utenti. La piattaforma è stata riattivata ma procedendo con lentezza. Nel frattempo è saltato anche lo Spid, il sistema di identità digitale necessario per accedere al bonus. Sui social si sono intrecciati i racconti di quanti lamentavano di avere atteso oltre tre ore per la registrazione mentre le associazioni dei consumatori davano consigli su come farsi risarcire il danno. Qualcuno ha ribattezzato il giorno fatidico come il «Colic Day». Online proliferano i tutorial che aiutano gli utenti meno tecnologici a ottenere lo Spid, a dimostrazione che l'accesso non è poi così facile. L'impressione è che lo Stato abbia scaricato la burocrazia cartacea in rete. Lo Spid si rivela pure poco utile. Dovrebbe consentire ai cittadini di accedere ai servizi online delle pubbliche amministrazioni e di taluni soggetti privati con un'unica identità digitale. L'intento è nobile; peccato che le amministrazioni in grado di fornire servizi online siano ancora poche. La stessa cosa si può dire per l'app Io, nota agli utenti soprattutto per il cashback, il rimborso del 10% delle spese sostenute con carte e bancomat. Nonostante i toni trionfalistici del governo l'operazione è cominciata male. Avviata a dicembre per incentivare i consumi natalizi, si è rivelata subito un calvario per gli utenti che non riescono a scaricarla sul cellulare. Io è rimasta intasata per diversi giorni e molti ci hanno rinunciato, anche perché nel frattempo negozi e ristoranti sono aperti a singhiozzo. Tramite l'app è passato il bonus vacanze da 500 euro per le famiglie a basso reddito: un altro fallimento. Su 2,4 miliardi di risorse stanziate sono stati utilizzati solo 200 milioni, poco più dell'8%. Colpa del meccanismo complesso di utilizzo. L'era Conte, nonostante la grande attenzione ai temi dell'innovazione, è cominciata con un flop. A giugno 2018, pochi giorni dopo l'insediamento, il sito della presidenza del Consiglio che permette di monitorare lo stato dei decreti attuativi è andato offline. È tornato consultabile qualche settimana dopo, ma è stato il primo di una serie di incidenti sempre più frequenti nella pubblica amministrazione digitale. Fino all'annus horribilis 2020.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="True" data-href="https://www.laverita.info/flop-digitale-uffici-pubblici-fallimento-2650121972.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="i-progetti-innovativi-sono-inutili-se-manca-chi-sa-farli-funzionare" data-post-id="2650121972" data-published-at="1611575673" data-use-pagination="False"> «I progetti innovativi sono inutili se manca chi sa farli funzionare» Mara Mucci (Ansa) «La normativa sulla digitalizzazione della pubblica amministrazione è all'avanguardia, manca però la sua attuazione, in particolare a livello locale. Senza competenze tecniche e manageriali, il progetto per la trasformazione digitale non avrà seguito. Ai dirigenti, chiamati ad attuare il piano di transizione al digitale, vengono attribuite retribuzioni di risultato senza alcun controllo degli obiettivi raggiunti, con performance valutate in modo sommario e discrezionale; l'Agenda digitale di cui si parla dagli anni Novanta è ancora sulla carta». Chi parla è Mara Mucci, che nella scorsa legislatura è stata vicepresidente della Commissione parlamentare di inchiesta sulla digitalizzazione e innovazione della pubblica amministrazione. Con il Covid i nodi della scarsa digitalizzazione sono venuti al pettine. Come mai il Paese è così indietro? «Le app sono state lanciate senza un'organizzazione in grado di farle funzionare, oltre ad essere poco pubblicizzate. Prendiamo Immuni. Doveva tracciare i contatti durante la pandemia invece è stato un flop. Pochi l'hanno scaricata e pochissimi l'hanno usata». Che cosa andava fatto per far funzionare Immuni? «Sono mancate una governance nazionale delle App e le attività correlate. La continua confusione fra competenze regionali e nazionali e l'assenza di un indirizzo manageriale serio sono responsabilità di un governo che scappa quando deve prendere decisioni puntuali. Le Asl dovevano esser pronte a recepire le segnalazioni dei positivi al virus ma l'app è stata lanciata senza che nessuno si domandasse se il sistema sanitario sarebbe stato in grado di gestire i flussi. Si è investito su un flop annunciato, un'app la cui intended use è la prevenzione ma che è senza certificazione a marchio CE». Quanto ha pesato la scarsa diffusione delle tecnologie nelle famiglie? «Molto. Non si è considerato che c'erano aspetti tecnologici che potevano far prevedere la non adozione da fasce di popolazione, per caratteristiche dei telefoni e per scarse competenze digitali. Si è sottovalutato che gli anziani, non avendo dimestichezza con i sistemi informatici, avrebbero chiamato, come hanno fatto, i centralini degli ospedali e gli ambulatori, per avere spiegazioni. E i medici, impegnati nelle emergenze, non avevano tempo per le loro domande». Ma forse anche i medici non erano in grado di rispondere ai dubbi degli anziani, o no? «Non lo escludo. Il problema principale nella pubblica amministrazione è l'assenza di competenze, manageriali e tecniche, che scarseggiano anche nei vertici politici». Come è possibile se si parla dagli anni Novanta di Stato digitale? «Si possono introdurre strumenti innovativi, ma se non c'è nessuno che li fa funzionare diventano inutili». Anche Io, nata con grandi ambizioni, è un fallimento. «L'obiettivo era di integrare i servizi di diverse amministrazioni e operare online con la pubblica amministrazione. Ma su 8.000 Comuni, meno di 100 sono agganciati all'applicazione. L'app fornisce solo pochi servizi nazionali come il pagamento del bollo auto e il cashback e gli enti locali sono indietro con la digitalizzazione dei servizi. Io quindi è come una cassettiera che potrebbe essere riempita ma è rimasta vuota». Non c'erano scadenze per la digitalizzazione dei Comuni? «Scadenze sempre prorogate e senza sanzioni, quindi inutili. La riforma Bassanini, che ha separato la responsabilità politica dalla gestione amministrativa, oggi dimostra tutti i suoi limiti. Il dirigente pubblico ha piena autonomia nella gestione e nel fare, la politica dovrebbe definire gli obiettivi e valutare l'operato. Manca però un sistema di valutazione oggettivo e relative sanzioni. La legge Semplificazioni prevede una decurtazione del premio di risultato se entro il 28 febbraio il dirigente non si fa promotore della digitalizzazione. Ma chi controllerà? Sono rare le penalizzazioni nella pubblica amministrazione. Entro il 28 febbraio le amministrazioni devono adottare PagoPa per i pagamenti telematici, integrare Spid come unico sistema di identificazione, avviare progetti di digitalizzazione di tutti i servizi per renderli fruibili tramite l'app Io. Il decreto affida all'Agenzia per l'Italia digitale il controllo e il potere sanzionatorio: vedremo se davvero le penalità saranno applicate». Se questo è lo scenario, come si può pensare di intraprendere una vaccinazione Covid di massa con prenotazioni su piattaforme o app? «Il piano di vaccinazione di massa è ancora oscuro. Chi dovrà fare le piattaforme, quale sarà lo standard di produzione dei dati, il livello di sicurezza e affidabilità? I portali dovranno reggere un afflusso di richieste importante. La piattaforma del governo sullo stato di avanzamento della vaccinazione dei sanitari ha fatto infuriare più di un governatore perché non restituiva i dati aggiornati in tempo reale». Da chi dipende? «Da come è stato progettato il sistema. E a proposito di trasparenza del governo, dove sono i dati sui contagi nelle scuole? Troppo facile dire che la pandemia ci ha trovati impreparati. Si è perso tempo con i banchi a rotelle invece di preparare un meccanismo di monitoraggio del virus. C'è stata una grande confusione nella comunicazione dei dati del contagio. Se il cittadino non capisce perché si chiudono scuole o ristoranti, perde la fiducia nella politica. Solo i dati possono dare una spiegazione. Poi ci sono operazioni che per me hanno poco senso». Si riferisce al cashback? «Il governo lancia un'iniziativa che dovrebbe incentivare la spesa nel momento in cui ristoranti e negozi sono chiusi. Non si capisce chi si vuole aiutare. Un altro punto interrogativo riguarda il bonus biciclette». Il sito è stato intasato, quindi dovrebbe essere andato bene. «Tanti hanno ottenuto il bonus ma quanti lo hanno speso? Il governo è in grado di fornire i dati? E poi c'è il superbonus del 110% sulle ristrutturazioni». Anche il bonus edilizia non funziona? «Mi sarei aspettata una procedura semplificata invece sono previste 32 certificazioni. Il professionista non sa come districarsi nella giungla dei documenti da presentare e si deve rivolgere a società specifiche. Ma così la burocrazia aumenta». <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem2" data-id="2" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/flop-digitale-uffici-pubblici-fallimento-2650121972.html?rebelltitem=2#rebelltitem2" data-basename="immuni-lapp-piena-di-falsi-positivi" data-post-id="2650121972" data-published-at="1611575673" data-use-pagination="False"> Immuni, l’app piena di falsi positivi «Siamo arrivati al paradosso che un'applicazione nata per tracciare i contagi ha generato troppi falsi positivi, gestiti male dal sistema sanitario che avrebbe dovuto governarli. Eppure era noto che la tecnologia bluetooth non è precisa e avrebbe prodotto dati inesatti. I cittadini dovevano essere informati per evitare che andassero nel panico nel momento in cui compariva l'avviso di essere stato in contatto con un positivo». Andrea Lisi, avvocato, segretario generale dell'Anorc (Associazione per operatori e responsabili della conservazione digitale) ed esperto di diritto applicato all'informatica, svela il flop di quello che doveva essere uno dei pilastri della lotta al Covid. Immuni è stata scaricata da oltre 10 milioni di persone, eppure è inefficace. Lo dicono i numeri riportati sul sito. Finora sono stati individuati solo 9.152 utenti positivi e inviate 84.879 notifiche di possibile esposizione al rischio di contagio. Basta confrontare questi numeri con quelli della pandemia per rendersi conto dell'inutilità di Immuni per tracciare il contagio. Mancano i numeri di coloro che hanno disinstallato l'applicazione e di quanti pur avendo l'app sul telefono non l'hanno attivata. Lo stesso sito ammette che la rilevazione di possibili esposizioni al rischio di contagio è parziale perché «vengono rilevate solo un terzo di quelle inviate da Android che hanno la tecnologia necessaria per individuarle in modo sicuro». Immuni è partito al rallentatore per le polemiche sulla privacy. Palazzo Chigi è intervenuto due volte, prima con una nota l'8 ottobre e poi con un intervento diretto del premier Giuseppe Conte che parlava di «obbligo morale» di scaricarla. Ma siccome l'operazione non decollava, nel dpcm del 18 ottobre è stato inserito l'obbligo agli operatori sanitari delle Asl di caricare i codici chiave in presenza di casi positivi. E questo è stato l'atto che ha decretato la morte dell'applicazione. «Chi riceve l'allerta di un rischio di contagio chiamava la Asl, ma spesso gli operatori sanitari non sanno cosa fare perché non sono stati formati per gestire questo meccanismo. Tant'è che ci sono arrivate alcune segnalazioni di medici che non sapendo come intervenire e, occupati dalle emergenze dei ricoverati Covid, hanno addirittura consigliato di disinstallare l'applicazione» dice Lisi. Per far fronte a questo caos e salvare l'operazione Immuni, il governo nel decreto Ristori ha istituito un call center nazionale sul modello di quanto già fatto in Germania. È un supporto telefonico per le persone che ricevono una diagnosi di positività o la notifica di esposizione al Covid e che prima si rivolgevano direttamente al medico per capirci qualcosa. Avviato alla fine di ottobre con una dote di 1 milione di euro per il 2020 e di 3 milioni per quest'anno, non ha prodotto risultati. Tant'è che di Immuni nessuno parla più. Solo il commissario Domenico Arcuri l'ha riportata all'attenzione, prospettandone l'utilizzo per la campagna di vaccinazione. Con modalità però tutte da scoprire. L'Anorc ha presentato un'istanza al ministro per l'Innovazione tecnologica, Paola Pisano, per conoscere i dettagli del progetto e quanti sono coloro che effettivamente utilizzano l'applicazione. «Ci hanno risposto in modo vago, specificando che questi dati sono ormai nella disponibilità del ministero della Salute e che è quindi difficile risalire a cifre precise», commenta Lisi. «Sono tanti i punti interrogativi e le cose che non vanno. L'app, ormai è dimostrato, genera errori nell'individuare a distanza il rischio contagio, crea falsi positivi. Inoltre, manca un'organizzazione a valle, in grado di raccogliere le segnalazioni e agire di conseguenza. Il personale delle Asl non è preparato e anche il call center appena operativo rischia di essere inutile. Può fornire solo informazioni generiche, ma non può sbloccare i codici o garantire un tampone in tempi brevi». Il risultato di questa giostra è che gli utenti non si fidano e non utilizzano l'applicazione. Un'altra operazione mancata è quella dei fascicoli sanitari elettronici. Le Regioni si muovono in ordine sparso con una situazione a macchia di leopardo. In Emilia Romagna la copertura è all'80%, totale in Lombardia, in Piemonte al 71%, in Veneto al 65% e in Toscana al 59%. Nel Centro Sud la situazione peggiora: nel Lazio solo l'1% della popolazione ha il fascicolo digitale, nelle Marche e in Molise circa il 2%, in Abruzzo, Basilicata e Campania sotto l'1%, in Puglia il 28% e in Sicilia il 17%. C'è ancora tantissima strada da fare.
(Totaleu)
Lo ha dichiarato l'europarlamentare della Lega Roberto Vannacci durante un'intervista al Parlamento europeo di Bruxelles.