2021-05-26
Fiumi di soldi dietro la trans mania
George Soros (Ansa-iStock)
Come ha potuto un problema che riguarda una frazione dell'umanità diventare la madre di tutte le questioni? Grazie ad associazioni che investono milioni per influenzare l'opinione pubblica. Da George Soros a Jon Stryker, da Jeff Bezos a Bill Gates, da Warren Buffet a Tim Gill: ecco chi le finanzia.All'inizio del 2020, l'Università di Firenze, l'azienda ospedaliera Careggi, la fondazione The bridge, l'Osservatorio nazionale sull'identità di genere e l'Istituto superiore di sanità hanno dato il via a un'indagine chiamata Spot, cioè «Stima della popolazione transgender adulta in Italia». A che cosa serve la ricerca? Ovvio: a fare un censimento dei trans sul territorio italiano, perché ad oggi non sappiamo esattamente quante siano le persone che hanno modificato il proprio genere o sono in procinto di farlo.Nel presentare l'indagine, Marina Pierdominici dell'Istituto superiore di sanità, parlando con Repubblica, azzardò una stima: «I dati della letteratura scientifica internazionale suggeriscono che la percentuale di popolazione transgender dovrebbe essere compresa tra lo 0,5 e l'1,2% del totale. Se confermata anche nel nostro Paese, consterebbe in circa 400.000 italiani».I numeri sono in aumento, soprattutto per quel che riguarda i minorenni, ma parliamo ancora di percentuali piuttosto basse. Viene da chiedersi, allora, come mai la causa trans goda di così tanta pubblicità a livello mediatico e ottenga tanto spazio nel mondo dell'intrattenimento, soprattutto quello di marca statunitense. Chiaro: una fetta di popolazione, per quanto esigua sia, ha comunque diritto a essere rappresentata. Però qui si parla addirittura di approvare una legge che, come prima cosa, prevede l'autodeterminazione dell'identità di genere, idea carissima ai movimenti trans ma avversata da molti sia a destra sia a sinistra.Ci si domanda allora come sia stato possibile che temi come quello del «gender Id» siano diventati centrali nel dibattito pubblico nonostante l'evidente marginalità sul piano statistico (la quale permetterebbe, per giunta, di seguire adeguatamente e con rispetto ogni singola situazione, senza bisogno di nuove norme che impongano discutibili decostruzioni della natura umana).La prima organizzazione a compiere un massiccio investimento sulla promozione delle istanze trans è stata la britannica Stonewall, una delle più grandi in Europa. Proprio in questi giorni la Commissione per l'uguaglianza e i diritti umani (Ehrc) britannica - finanziata con denaro pubblico - ha cancellato la sua adesione al programma «Diversity champions» di Stonewall. Il motivo ufficiale è il cattivo rapporto qualità-prezzo del servizio, in realtà dietro la rottura ci sono tensioni legate soprattutto alle questioni trans, dato che Stonewall ha pubblicamente criticato l'Ehrc per il suo presunto scarso impegno sui diritti transgender. Attualmente del programma «Diversity champions» fanno parte circa 850 aziende e istituzioni: Stonewall (dietro pagamento di una quota) offre loro consigli su come «gestire le diversità», poi emette una sorta di bollino arcobaleno. Iniziative come queste hanno contribuito a creare un patrimonio di circa 8 milioni di sterline.L'associazione britannica, che dalla nascita nel 1989 si è occupata per lo più di gay e lesbiche, ha iniziato a spingere sui temi trans dopo il 2013, cioè l'anno in cui nel Regno Unito sono state approvate le unioni omosessuali. Come ha scritto Jo Bartosch su Spiked, «quando Ruth Hunt è stata nominata Ceo di Stonewall nel 2014, si è trovata a capo di un ente di beneficenza ricco di personale e denaro ma improvvisamente privo di una causa. Hunt ha trovato la nuova causa - e i donatori - grazie alla “lotta" per i diritti dei trans».Ecco una prima risposta al quesito iniziale: la causa trans crea nuovi spazi per associazioni Lgbt molto influenti che rischiavano di esaurire, almeno in parte, la propria funzione. Queste associazioni, sostenute pure da soldi pubblici (come nel caso della britannica Mermaids che si occupa di ragazzini con varianza di genere), hanno conquistato negli anni un forte peso mediatico e politico, e lo sfruttano con furbizia e un pizzico di cinismo.Ma dietro l'exploit trans non ci sono soltanto associazioni Lgbt particolarmente scaltre. Ci sono anche organizzazioni dotate di notevole potere economico, ad esempio la solita Open society foundations di George Soros. Kelly Riddell Sadler - giornalista, già consulente per la comunicazione di Donald Trump alla Casa Bianca - calcolò che tra il 2013 e il 2016 Soros avesse finanziato associazioni come la Gay straight alliance (100.000 dollari nel solo 2013) o la Gate (Global action for trans equality, 244.000 dollari nello stesso periodo). Tutto alla luce del sole, ovviamente. Del resto basta farsi un giro sul sito di Open society per trovare più di un articolo in cui si sostiene che è tempo di «dare all'attivismo trans il supporto di cui ha bisogno». Come farlo? Ad esempio sostenendo iniziative come l'International trans fund, che riunisce attivisti da tutto il mondo.Le sigle arcobaleno hanno cominciato a ottenere maggiori donazioni già all'inizio degli anni Duemila. Ma se fino al 2013/2014 - lo scrive sempre Open society - le associazioni trans potevano contare su budget che in media si aggiravano intorno ai 10.000 dollari l'anno, da quel momento le cose hanno iniziato a cambiare. E se la situazione è mutata lo si deve molto all'attività di Arcus, una Ong fondata e curata da Jon Stryker, ricco magnate dell'industria sanitaria.Come ha documentato la giornalista e attivista Jennifer Bilek (i cui articoli sono stati ben sintetizzati da Feministpost.it), «tra il 2016 e l'aprile 2021 Arcus ha investito quasi 74 milioni di dollari in promozione della giustizia sociale. La maggior parte dei suoi beneficiari avevano a che vedere con l'ideologia dell'identità di genere». Arcus è stata una delle principali promotrici della causa trans a livello globale. Finanzia associazioni Lgbt storiche e potenti come Ilga (una sorta di sigla ombrello che riunisce tantissimi gruppi arcobaleno di tutto il mondo), la quale guarda caso ha da poco espulso dalla sezione europea le femministe di Arcilesbica, considerate «trans escludenti». Arcus ha sovvenzionato anche la britannica Stonewall: ben 142.000 dollari versati «appena prima che ampliasse il suo mandato per coprire le questioni transgender». Nel 2013, Arcus ha scelto come direttore del programma internazionale per i diritti umani Adrian Coman, proveniente dalla… Open society foundations. Nel 2015, invece, la Arcus ha raccolto 20 milioni di dollari per la New global trans initiative in collaborazione con una fondazione chiamata Novo, che si occupa anche di sostenere Black lives matter e altri movimenti analoghi. Sapete chi l'ha fondata? Peter Buffett, figlio di Warren Buffett. Secondo Jennifer Bilek, dietro l'esplosione delle istanze trans ci sarebbero principalmente «uomini, bianchi, estremamente ricchi e con un'enorme influenza culturale», tra cui il già citato Soros, Jennifer Pritzker (imprenditore trans con un patrimonio da due miliardi di dollari circa); l'attivista, imprenditrice e transumanista orgogliosa Martine Rothblatt, l'imprenditore Tim Gill (il primo gay dichiarato nella lista dei 400 ricchissimi di Forbes). In effetti, tutti costoro risultano finanziare e spalleggiare a vario titolo i movimenti transgender.Non sono i soli. La causa trans gode del sostegno, se non altro mediatico, di alcune tra le più grandi aziende del mondo. Nel settembre 2020, Stonewall ha organizzato un grande evento a sostegno della causa trans intitolato «Trans rights are human rights». Lo hanno sostenuto 136 grandi aziende tra cui Amazon, Aviva, Citi, Google, Deliveroo, Deloitte, Microsoft, JP Morgan, Disney, Visa, P&G, Zurich… All'inizio di maggio, un altro centinaio di corporation hanno firmato un documento di protesta contro gli Stati americani che avevano approvato leggi «anti Lgbtq», con particolare attenzione alle norme riguardanti «i giovani transgender». In sostanza queste aziende (così spiegano in una dichiarazione congiunta) si sono schierate politicamente per bloccare «le leggi che influenzerebbero l'accesso alle cure mediche per le persone transgender, i diritti dei genitori, i servizi sociali e familiari, gli sport studenteschi o l'accesso a strutture pubbliche come i bagni». Tra queste ci sono Apple, Airbnb, Dell, Facebook, Hilton, Ibm, Ikea, Nike, Pepsi, Pfizer, Uber, Unilever, Wells Fargo…Nulla di illegale. E nessun complotto, per carità. Però quando si parla di persecuzioni, discriminazioni e ingiustizie, beh, forse conviene un po' abbassare i toni.
Nel riquadro Roberto Catalucci. Sullo sfondo il Centro Federale Tennis Brallo
Sempre più risparmiatori scelgono i Piani di accumulo del capitale in fondi scambiati in borsa per costruire un capitale con costi chiari e trasparenti. A differenza dei fondi tradizionali, dove le commissioni erodono i rendimenti, gli Etf offrono efficienza e diversificazione nel lungo periodo.
Il risparmio gestito non è più un lusso per pochi, ma una realtà accessibile a un numero crescente di investitori. In Europa si sta assistendo a una vera e propria rivoluzione, con milioni di risparmiatori che scelgono di investire attraverso i Piani di accumulo del capitale (Pac). Questi piani permettono di mettere da parte piccole somme di denaro a intervalli regolari e il Pac si sta affermando come uno strumento essenziale per chiunque voglia crearsi una "pensione di scorta" in modo semplice e trasparente, con costi chiari e sotto controllo.
«Oggi il risparmio gestito è alla portata di tutti, e i numeri lo dimostrano: in Europa, gli investitori privati detengono circa 266 miliardi di euro in etf. E si prevede che entro la fine del 2028 questa cifra supererà i 650 miliardi di euro», spiega Salvatore Gaziano, responsabile delle strategie di investimento di SoldiExpert SCF. Questo dato conferma la fiducia crescente in strumenti come gli etf, che rappresentano l'ossatura perfetta per un PAC che ha visto in questi anni soprattutto dalla Germania il boom di questa formula. Si stima che quasi 11 milioni di piani di risparmio in Etf, con un volume di circa 17,6 miliardi di euro, siano già attivi, e si prevede che entro il 2028 si arriverà a 32 milioni di piani.
Uno degli aspetti più cruciali di un investimento a lungo termine è il costo. Spesso sottovalutato, può erodere gran parte dei rendimenti nel tempo. La scelta tra un fondo con costi elevati e un Etf a costi ridotti può fare la differenza tra il successo e il fallimento del proprio piano di accumulo.
«I nostri studi, e il buon senso, ci dicono che i costi contano. La maggior parte dei fondi comuni, infatti, fallisce nel battere il proprio indice di riferimento proprio a causa dei costi elevati. Siamo di fronte a una realtà dove oltre il 90% dei fondi tradizionali non riesce a superare i propri benchmark nel lungo periodo, a causa delle alte commissioni di gestione, che spesso superano il 2% annuo, oltre a costi di performance, ingresso e uscita», sottolinea Gaziano.
Gli Etf, al contrario, sono noti per la loro trasparenza e i costi di gestione (Ter) che spesso non superano lo 0,3% annuo. Per fare un esempio pratico che dimostra il potere dei costi, ipotizziamo di investire 200 euro al mese per 30 anni, con un rendimento annuo ipotizzato del 7%. Due gli scenari. Il primo (fondo con costi elevati): con un costo di gestione annuo del 2%, il capitale finale si aggirerebbe intorno ai 167.000 euro (al netto dei costi). Il secondo (etf a costi ridotti): Con una spesa dello 0,3%, il capitale finale supererebbe i 231.000 euro (al netto dei costi).
Una differenza di quasi 64.000 euro che dimostra in modo lampante come i costi incidano profondamente sul risultato finale del nostro Pac. «È fondamentale, quando si valuta un investimento, guardare non solo al rendimento potenziale, ma anche e soprattutto ai costi. È la variabile più facile da controllare», afferma Salvatore Gaziano.
Un altro vantaggio degli Etf è la loro naturale diversificazione. Un singolo etf può raggruppare centinaia o migliaia di titoli di diverse aziende, settori e Paesi, garantendo una ripartizione del rischio senza dover acquistare decine di strumenti diversi. Questo evita di concentrare il proprio capitale su settori «di moda» o troppo specifici, che possono essere molto volatili.
Per un Pac, che per sua natura è un investimento a lungo termine, è fondamentale investire in un paniere il più possibile ampio e diversificato, che non risenta dei cicli di mercato di un singolo settore o di un singolo Paese. Gli Etf globali, ad esempio, che replicano indici come l'Msci World, offrono proprio questa caratteristica, riducendo il rischio di entrare sul mercato "al momento sbagliato" e permettendo di beneficiare della crescita economica mondiale.
La crescente domanda di Pac in Etf ha spinto banche e broker a competere offrendo soluzioni sempre più convenienti. Oggi, è possibile costruire un piano di accumulo con commissioni di acquisto molto basse, o addirittura azzerate. Alcuni esempi? Directa: È stata pioniera in Italia offrendo un Pac automatico in Etf con zero costi di esecuzione su una vasta lista di strumenti convenzionati. È una soluzione ideale per chi vuole avere il pieno controllo e agire in autonomia. Fineco: Con il servizio Piano Replay, permette di creare un Pac su Etf con la possibilità di ribilanciamento automatico. L'offerta è particolarmente vantaggiosa per gli under 30, che possono usufruire del servizio gratuitamente. Moneyfarm: Ha recentemente lanciato il suo Pac in Etf automatico, che si aggiunge al servizio di gestione patrimoniale. Con versamenti a partire da 10 euro e commissioni di acquisto azzerate, si posiziona come una valida alternativa per chi cerca semplicità e automazione.
Ma sono sempre più numerose le banche e le piattaforme (Trade Republic, Scalable, Revolut…) che offrono la possibilità di sottoscrivere dei Pac in etf o comunque tutte consentono di negoziare gli etf e naturalmente un aspetto importante prima di sottoscrivere un pac è valutare i costi sia dello strumento sottostante che quelli diretti e indiretti come spese fisse o di negoziazione.
La scelta della piattaforma dipende dalle esigenze di ciascuno, ma il punto fermo rimane l'importanza di investire in strumenti diversificati e con costi contenuti. Per un investimento di lungo periodo, è fondamentale scegliere un paniere che non sia troppo tematico o «alla moda» secondo SoldiExpert SCF ma che rifletta una diversificazione ampia a livello di settori e Paesi. Questo è il miglior antidoto contro la volatilità e le mode del momento.
«Come consulenti finanziari indipendenti ovvero soggetti iscritti all’Albo Ocf (obbligatorio per chi in Italia fornisce consigli di investimento)», spiega Gaziano, «forniamo un’ampia consulenza senza conflitti di interesse (siamo pagati solo a parcella e non riceviamo commissioni sui prodotti o strumenti consigliati) a piccoli e grandi investitore e supportiamo i clienti nella scelta del Pac migliore a partire dalla scelta dell’intermediario e poi degli strumenti migliori o valutiamo se già sono stati attivati dei Pac magari in fondi di investimento se superano la valutazione costi-benefici».
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