2024-01-30
Il Fisco tartassa i gestori dei beni confiscati
L’Agenzia delle entrate chiede agli amministratori giudiziari a cui sono affidate le attività e gli immobili sottratti alla mafia di pagare le imposte come se fossero loro proprietà. Devono anticipare il denaro, che lo Stato rimborserà con molto ritardo.L’Agenzia delle entrate di Ernesto Maria Ruffini continua a vessare gli amministratori giudiziari di beni confiscati. Il numero uno degli esattori italiani aveva detto in passato che il fisco «non può essere amico». Ma in questo caso lo Stato si ritrova a chiedere soldi a chi ha incaricato di gestire per conto suo aziende sottratte alla criminalità organizzata. Invece di chiederle ai titolari, magari sotto indagine o a processo, si rifà nei confronti degli stessi professionisti che per lavoro devono solo amministrare quelle società. È la storia a tratti surreale che riguarda Cristiana Rossi, revisore legale, curatore fallimentare, consulente del tribunale civile e delle imprese e della corte d’appello. È iscritta all’albo degli amministratori giudiziari e coadiutore appunto dell’Agenzia nazionale dei beni sequestrati (Anbsc). Perito delle procure nonché delle corti d’appello di Milano e Roma, già lo scorso anno aveva sollevato il caso dei mancati pagamenti da parte della agenzia nazionale. Gli amministratori giudiziari e i coadiutori, ovvero chi viene incaricato di gestire patrimoni (beni mobili, immobili ed aziende) che vengono per esempio sottratti alla criminalità organizzata, spesso non vengono neppure pagati. Devono anticipare di tasca propria le spese di gestione, talvolta anche indebitandosi. Poi si ritrovano persino a dover pagare le tasse su immobili che non son di loro proprietà. Nella scorsa estate, come aveva anticipato La Verità, Rossi era riuscita a far valere un decreto ingiuntivo pari a 104.925 euro, compensi che risalivano al 2019. Così erano state pignorati scrivanie e computer presso gli uffici dell’agenzia dei beni sequestrati. Peccato che quel procedimento sia poi stato sospeso e bloccato. In pratica la situazione non sembra cambiare. Nonostante anche una relazione della Corte dei conti avesse più volte sollevato il problema dei mancati pagamenti ai coadiutori giudiziari. A centinaia attendono di essere pagati. C’è chi protesta e ci mette la faccia, come la Rossi, ma c’è anche chi tace per non inimicarsi le istituzioni. Ma la situazione è più che mai paradossale. Ogni anno lo Stato italiano pubblicizza il lavoro dell’Agenzia nazionale dei beni confiscati per dimostrare come vengono utilizzati i patrimoni sottratti alla mafia. Peccato nessuno racconti che questi possono essere raggiunti soltanto grazie al lavoro svolto dagli amministratori giudiziari prima (ovvero nella fase di sequestro e confisca di primo grado) e dai coadiutori poi (dalla fase di confisca di secondo grado fino alla conclusione del procedimento di destinazione). Per tale ragione l’impatto sociale della divulgazione del raggiungimento degli obbiettivi di recupero sociale dei beni viene fortemente compromesso dalle modalità di gestione della stessa Agenzia nazionale che, come emerge anche dalla relazione della Corte dei conti e dalle testimonianze di diversi coadiutori, sono costretti dall’Agenzia nazionale a recuperare tramite vie legali il proprio compenso. Questo compenso deriva dalle prestazioni professionali svolte per molti anni in favore della stessa Agenzia. La sezione controllo della Corte dei conti ha rilevato non soltanto il grave ritardo nei pagamenti dei pochi fortunati professionisti, ma nella sua relazione ha addirittura dedicato un intero paragrafo al contenzioso in essere con i coadiutori specificando nelle considerazioni finali l’importanza del diritto alla retribuzione per l’opera professionale prestata dai coadiutori, la determinazione, a causa dei lunghi tempi di definizione giudiziale in caso di accoglimento delle pretese, del diritto per il coadiutore di vedersi riconoscere gli interessi legali e la rivalutazione monetaria su somme che, se corrisposte a tempo debito non li avrebbero generati, il tutto ovviamente a carico dei cittadini/contribuenti trattandosi sempre di soldi pubblici. Tutto questo si traduce quindi in un ulteriore costo a carico della collettività che l’Agenzia nazionale, non curante di tale peso - fa gravare su quella stessa collettività alla quale vuole mostrare il raggiungimento di un importante obiettivo di rilevanza sociale qual è la destinazione per utilità sociale dei beni sottratti alla mafia o più in generale alla criminalità organizzata. Insomma, si tratta i di un’operazione a carico dei contribuenti ai quali non viene affatto rappresentata una visione intera e trasparente dell’operazione di recupero sociale attuata dall’Agenzia nazionale in termini proprio del rapporto tra costi e benefici. Sì dà anzi per scontato che i contribuenti siano concordi con una gestione poco trasparente dei soldi pubblici. Per di più la stessa Anbsc non divulga affatto le motivazioni, che dovrebbero essere puntuali e dettagliate, per le quali non retribuisce buona parte dei propri coadiutori. Non vengono spiegati neppure i criteri applicati per selezionare i coadiutori da pagare o non pagare, e soprattutto qual è il costo sociale che la collettività è costretta a sopportare anche e soprattutto a causa della mancata e intempestiva corresponsione delle citate prestazioni professionali, aggravati poi di ulteriori evitabili costi.