
L’ortaggio diede il nome alla piana di Maratona, dove i Greci sconfissero i Persiani e nacque la disciplina olimpica. In cucina lo si può impiegare in mille ricette. Ha effetti diuretici, dimagranti ed è pure afrodisiaco.Si fa presto a dire finocchio e incasellare la parola, automaticamente, nel vocabolario del politicamente scorretto. Ma il povero finocchio non merita l’oltraggio dell’allusione, dell’ammicco, è un ortaggio dabbene, di cuore semplice.Merita considerazione e stima. Prima di tutto perché è generoso e si dona completamente: in cucina è buono sia cotto, magari al forno con la besciamella o gratinato o bollito col latte, che crudo nell’insalata o in pinzimonio. È degno di apprezzamento perché è terapeutico e perché è disponibile dall’autunno alla primavera. Merita la medaglia all’alto valore gastronomico per farsi da millenni cibo sul desco umano, per aver aiutato Prometeo a donare il fuoco agli uomini - qui siamo nel mito - e aver contribuito alla salvezza dell’Occidente dando il suo contributo alla battaglia di Maratona e, conseguentemente, alla mitica gara atletica che ha preso il nome da quel lontano avvenimento.Iniziamo da Prometeo. Il mito narra che l’eroe donò all’umanità il fuoco nascondendolo nel fusto cavo di un finocchio. Pagò cara la sua generosità: Zeus lo fece incatenare a una roccia e mandò un’aquila a rodergli il fegato. Dalla leggenda alla storia. Siamo nel 490 avanti Cristo nella piana di Maratona, così chiamata per il marathon, nome greco del finocchio, che vi cresceva rigoglioso e selvatico. Da una parte ci sono 10.000 opliti ateniesi, dall’altra 30.000 invasori persiani. Accadde quello che successe tra Davide e Golia: il piccolo sbaragliò il grande. Dopo la battaglia, l’emerodromo (messaggero) Fidippide partì di corsa per annunciare la vittoria ad Atene, distante dal luogo della battaglia 42 chilometri e 195 metri. Fu una corsa a perdifiato. Infatti gliene rimase talmente poco nei polmoni che, subito dopo aver annunciato «Abbiamo vinto», morì schiantato dalla fatica. La mitica maratona di Fidippide si corre ancor oggi, 2500 anni dopo: 42 chilometri e 195 metri misurati al centimetro. Ma quello che pochi sanno è che a dare il nome alla più bella gara olimpica è stato il finocchio. Il palmares delle maratone olimpiche conta tre eroi italiani: Dorando Pietri che alle Olimpiadi di Londra del 1908 per poco non fece la stessa fine di Fidippide: crollò per la fatica a pochi passi dalla meta e solo con l’aiuto di due giudici di gara tagliò per primo il traguardo venendo, però, squalificato; Gelindo Bordin, vincitore a Seul nel 1988 e Stefano Baldini, primo ad Atene nel 2004.Il Foeniculum vulgare, questo il nome scientifico del finocchio, appartiene alla famiglia delle Apiaceae. È imparentato con carota, sedano, prezzemolo, cerfoglio, aneto. Il grumolo, il globo biancastro edibile fatto di una serie di guaine sovrapposte, è una farmacia. Il finocchio è diuretico per l’elevato contenuto di acqua che aiuta ad eliminare le tossine. È digestivo per la buona presenza di fibre che favoriscono il transito intestinale; ha peculiarità carminative, aiuta cioè chi soffre di aerofagia a eliminare i gas intestinali. Grazie ai polifenoli che contiene contrasta i radicali liberi esercitando adeguate funzioni antiossidanti e antinfiammatorie. Contiene vitamine A, B e C ed è un ortaggio consigliato per chi vuol dimagrire: ha pochissimo apporto calorico ed è indicato, insieme alla cugina carota, come riempitivo quando la fame urla: «Mangia!». Il finocchio offre pure un discreto contributo di minerali: fosforo, calcio e magnesio e, soprattutto, potassio che aiuta a regolare la pressione arteriosa.Secondo Ippocrate, medico greco vissuto qualche decennio dopo Maratona, il finocchio ha proprietà galattogene, favorisce la produzione del latte materno e consigliava, perciò, alle neomamme di bere il succo del finocchio. Dioscoride Pedanio, medico greco del I secolo dopo Cristo vissuto nella Roma di Nerone, ribadì il concetto aggiungendo che il finocchio faceva bene anche a chi soffriva di bruciori allo stomaco e perfino a chi fosse stato morso da serpenti o da cani. Plinio, il grande scienziato romano, nella Storia naturale, elogiò il finocchio scrivendo un papiro lungo come il bugiardino di una medicina moderna. Confermò che per lo stomaco era l’Antonetto Falqui dei suoi tempi, che faceva bene a polmoni e fegato, che aveva proprietà benefiche per la vista e che - il sesso vuole sempre la sua parte - aveva proprietà afrodisiache. Anche Apicio si servì del foeniculum, il finocchietto selvatico così chiamato perché le foglie somigliano a quelle del foenum, il fieno, per preparare il moretum, formaggio fresco, spalmabile, fatto con diverse erbe tra le quali il finocchietto selvatico. Il foeniculum era anche nel menù dei gladiatori: si pensava che aumentasse la loro forza.Nel Medioevo, dopo il Mille, il medico Giovanni da Milano, nel Rex Anglorum, detta i versi: «Finocchio, verbena, rosa, chelidonio e ruta/ forma un’acqua che dà vista acuta». Conferma, quindi, la parola del vecchio Plinio sul bene che il finocchio fa alla vista. Del resto, lo dice anche il nome: finocchio equivale a occhio fino. Era credenza in quel periodo che il finocchio fosse potente contro il malocchio. Pare che Giovanni da Milano abbia ispirato alcune regole del Regimen sanitatis salernitanum, il testo medico in latino divulgato dalla Scuola medica salernitana tra il XII e il XIII secolo. Solo che la scuola di Salerno, la prima e più importante d’Europa, scrive che il finocchio è sì utile, ma a tutt’altro organo anatomico: «Foeniculum aperit spiraculum culi». In parole povere: il finocchio apre lo spiraglio dell’ano. Il suggerimento è per gli stitici: bevete tisane di semi di finocchietto e troverete sollievo. Sono due le specie di finocchio in commercio: il coltivato e il selvatico. Il primo è più dolce del secondo ed è indicato per tutti gli usi in cucina essendo molto versatile per l’elaborazione di piatti. Il secondo, il finocchietto selvatico, ha un sapore intenso e si usa per ricette più elaborate. I semi sono utilizzati per tisane o per aromatizzare liquori all’anice, alla menta o alle erbe. Ma ci sono in commercio distillati di solo finocchietto.Le varietà di Foeniculun vulgare coltivate sono un bel po’. L’Ue ne riconosce un centinaio. In Italia le più diffuse sono la Perfezione, il Grosso di Sicilia, il Gigante di Napoli, il Bianco dolce di Firenze, il finocchio di Fracchia (la «belva umana» di Paolo Villaggio non c’entra) e il finocchio di Parma. Ci sono finocchi maschi con i grumoli più grossi e tondeggianti e finocchi femmine con la forma più schiacciata. I primi sono più teneri e dolci, ideali per il crudo, le femmine hanno guaine più dure, meglio cuocerle.Il finocchio ha generato un verbo, infinocchiare, un epiteto negativo, infinocchiato e un ghiotto salume, la finocchiona. Nel 1612, la prima edizione del Vocabolario della Crusca testimoniava la presenza di una salsiccia con i semi di finocchio e spiegava la definizione di infinocchiare: «Dare ad intendere altrui una cosa per un’altra». Il riferimento, spiegano alcuni storici del vino, è che in passato certi contadini incapaci di fare il vino buono e poco onesti, offrivano da mangiare ai possibili acquirenti fette di finocchiona per anestetizzare il palato che non sentiva, così, i difetti del vino. Così il compratore veniva infinocchiato. Spiega il Dizionario completo degli insulti di Marco Zanni: «Infinocchiato è chi è stato fregato, abbindolato, chi è stato vittima di un grosso raggiro». Il giudizio fa di ogni erba un fascio e l’aneddoto risale all’Ottocento quando non sempre il «vino del contadino» era sincero. Attenzione, però, a non coinvolgere peccatore e peccato, il contadino birbaccione e l’innocente finocchiona. La quale è, sì, un peccato, ma di gola. Squisita com’è, è un piacere farsi da essa infinocchiare.
Bruxelles: «Chiediamo tolleranza zero sulla corruzione». Lo scandalo agita pure il governo. Matteo Salvini: «I nostri soldi vanno ai criminali?». Guido Crosetto: «Non giudico per due casi». E Antonio Tajani annuncia altri aiuti.
«Mi sembra che stiano emergendo scandali legati alla corruzione, che coinvolgono il governo ucraino, quindi non vorrei che con i soldi dei lavoratori e dei pensionati italiani si andasse ad alimentare ulteriore corruzione»: il leader della Lega, Matteo Salvini, pronuncia queste parole a Napoli a margine di un sopralluogo al porto, a proposito dell’acquisto di ulteriori armamenti dagli Usa da inviare in Ucraina. «La via di soluzione», aggiunge Salvini, «è quella indicata dal Santo Padre e da Trump, ovvero dialogo, mettere intorno a un tavolo Zelensky e Putin e far tacere le armi. Non penso che l’invio di altre armi risolverà il problema e mi sembra che quello che sta accadendo nelle ultime ore, con l’avanzata delle truppe russe, ci dica che è interesse di tutti, in primis dell’Ucraina, fermare la guerra. Pensare che mandare armi significa che l’Ucraina possa riconquistare i terreni perduti è ingenuo quantomeno».
Volodymyr Zelensky
Pronto un altro pacchetto di aiuti, ma la Lega frena: «Prima bisogna fare assoluta chiarezza sugli scandali di corruzione». E persino la Commissione europea adesso ha dubbi: «Rivalutare i fondi a Kiev, Volodymy Zelensky ci deve garantire trasparenza».
I nostri soldi all’Ucraina sono serviti anche per costruire i bagni d’oro dei corrotti nel cerchio magico di Volodymyr Zelensky. E mentre sia l’Ue sia l’Italia, non paghe di aver erogato oltre 187 miliardi la prima e tra i 3 e i 3 miliardi e mezzo la seconda, si ostinano a foraggiare gli alleati con aiuti economici e militari, sorge un interrogativo inquietante: se il denaro occidentale ha contribuito ad arricchire i profittatori di guerra, che fine potrebbero fare le armi che mandiamo alla resistenza?
2025-11-15
Ennesima giravolta di Renzi. Fa il supporter dei giornalisti e poi riprova a imbavagliarci
Matteo Renzi (Imagoeconomica)
L’ex premier ci ha accusato di diffamazione ma ha perso anche in Appello: il giudice ha escluso mistificazioni e offese. Il fan della libertà di stampa voleva scucire 2 milioni.
Matteo Renzi è il campione mondiale delle giravolte, il primatista assoluto dei voltafaccia. Nel 2016 voleva la riforma della giustizia che piaceva a Silvio Berlusconi ma, ora che Carlo Nordio ha separato le carriere dei magistrati, pur di far dispetto a Giorgia Meloni fa il tifo per il «No» al referendum. Nel 2018, dopo la sconfitta alle elezioni, provò a restare attaccato alla poltrona di segretario del Pd, dicendo di voler impedire l’alleanza con i 5 stelle, salvo proporre, un anno dopo, un governo con Giuseppe Conte, per poi farlo cadere nel febbraio nel 2021 intestandosi la fine del governo Conte. Quando fu eletta, liquidò Elly Schlein con frasi sprezzanti, definendola un petardo che avrebbe perso pure le condominiali, ma ora abbraccia Elly nella speranza che lo salvi dall’irrilevanza e gli consenta di tornare in Parlamento alle prossime elezioni.
Pierfrancesco Favino (Ansa)
Mentre il tennis diventa pop, il film di Andrea Di Stefano svela l’altro lato della medaglia. Un ragazzo che diventa adulto tra un coach cialtrone (Pierfrancesco Favino) e un padre invasato.
Ora che abbiamo in Jannik Sinner un campione nel quale possiamo riconoscerci checché ne dicano i rosiconi Schützen e Novak Djokovic, tutti abbiamo anche un figlio o un nipote che vorremmo proiettare ai vertici delle classifiche mondiali. Grazie alle soddisfazioni che regala, il tennis inizia a competere con il calcio come nuovo sport nazionale (giovedì su Rai 1 la nazionale di Rino Gattuso ha totalizzato 5,6 milioni di telespettatori mentre sommando Rai 2 e Sky Sport, il match di Musetti - non di Sinner - contro Alcaraz ha superato i 3,5 milioni). Così, dopo esser stati ct della nazionale ora stiamo diventando tutti coach di tennis. Tuttavia, ne Il Maestro, interpretato dall’ottimo Pierfrancesco Favino, Andrea Di Stefano (erano insieme anche in L’ultima notte di amore) raffredda le illusioni perché non avalla nessuna facile aspirazione di gloria. Anzi.





