Tra il 2015 e il 2024, la fondazione del miliardario ha elargito 3,7 miliardi alla nostra sanità pubblica. Sovvenzionati anche enti di ricerca sui vaccini, tra cui Reithera, e l’Iss. Nella lista pure la comunità di Sant’Egidio, con una donazione di oltre 100.000 dollari.I media europei hanno scoperto, con Elon Musk, che gli ultramiliardari sono in grado di influenzare la politica mondiale. In tutti questi anni, però, mai si sono accorti che il problema esisteva già. Solo di recente è emerso che l’Usaid, il programma di aiuti finanziato dal governo degli Stati Uniti, nei fatti era uno strumento di diffusione del wokismo. Questo, però, è soltanto la punta dell’iceberg di un sistema di soft power molto più ampio e articolato, di cui uno dei maestri è un altro noto multi miliardario: Bill Gates. Un interessante report pubblicato su Debug Lies Intel mostra come mister Microsoft, attraverso fondazioni e partecipazioni, influenzi le politiche di Stati Uniti, Europa e, soprattutto, dell’Italia. A partire proprio dalla destinazione dei fondi Usaid. Tra il 2001 e il 2023, l’agenzia «ha stanziato oltre 3,16 miliardi di dollari per iniziative affiliate a Gates, con finanziamenti incentrati sulla distribuzione di vaccini, biotecnologie agricole, inclusione finanziaria e sistemi di governance basati sull’intelligenza artificiale». La Global Health Initiative, per esempio, «ha ricevuto 8,2 miliardi di dollari in finanziamenti congiunti dal 2010». «Le revisioni finanziarie», si legge nel documento, «rivelano che l’87% dei contratti farmaceutici assegnati nell’ambito di questa iniziativa ha coinvolto società in cui Gates detiene partecipazioni finanziarie dirette o indirette». La stessa Gavi, l’alleanza per i vaccini promossa dalla sua fondazione, ha ricevuto 2 miliardi di dollari dall’Usaid tra il 2001 e il 2017, e altri 1,16 miliardi tra 2020 e 2023. Tra il 2015 e il 2024, l’agenzia Usa ha devoluto altri 5,7 miliardi per programmi di «salute riproduttiva», «di cui 2,1 miliardi di dollari erano direttamente legati a iniziative di pianificazione familiare finanziate da Gates». Ma gli esempi si sprecano anche in tutti gli altri ambiti.Lo stesso accade in Europa. Tra il 2010 e il 2024, «la Bill & Melinda Gates Foundation ha impegnato oltre 27,6 miliardi di dollari in finanziamenti diretti a istituzioni europee, tra cui organizzazioni di ricerca medica, iniziative sui cambiamenti climatici, governance dell’intelligenza artificiale, sviluppo fintech e advocacy politica». Gates avrebbe collaborato in almeno 57 delle più importanti proposte legislative della Commissione Ue. Nel 2024, scrivono gli autori, «le informative finanziarie hanno rivelato che il 71% dei progetti sostenuti da Gates nell’Ue aveva legami con multinazionali» da lui partecipate. Inoltre, il 49% dei trattamenti medici autorizzati nel 2023 dall’Ema ha beneficiato di finanziamenti diretti dalla Gates Foundation (2,7 miliardi distribuiti dal 2018). I tentacoli del filantropo raggiungono anche l’Italia, dove tra il 2017 e il 2024 le organizzazioni da lui sostenute hanno goduto di almeno 82 incontri di alto livello con funzionari del governo italiano, «plasmando politiche in materia di intelligenza artificiale, sistemi di identità digitale e quadri di sanità pubblica». Tra il 2015 e il 2024, la fondazione ha trasferito 3,7 miliardi di euro «nell’infrastruttura sanitaria pubblica italiana, ma l’ambito di influenza è significativamente più ampio se si considerano investimenti indiretti, partnership di ricerca e sforzi di lobbying». Tra i beneficiari, figura anche l’Istituto superiore di sanità, che avrebbe ricevuto «significative iniezioni finanziarie mirate alla preparazione alla pandemia, alla ricerca sui vaccini e alla sorveglianza epidemiologica». Il 39% dei fondi per la ricerca sulla salute pubblica in Italia sono riconducibili, secondo il report, a fonti legate a Gates, mentre il «23% dei finanziamenti per la ricerca e sviluppo farmaceutica […] negli ultimi cinque anni proveniva da entità direttamente o indirettamente collegate» alla sua fondazione.Tra il 2015 e il 2024, oltre 4,2 miliardi di euro sono stati erogati a istituzioni di ricerca biomedica italiane, in particolare per promuovere tecnologie a mRna e interventi diagnostici basati sull’Ia. Tra questi anche ReiThera, la casa che stava sviluppando il vaccino italiano contro il Covid. Mister Microsoft avrebbe avuto un ruolo attivo, tra il 2017 (anno della legge Lorenzin) e il 2024, anche nella National Vaccine Strategy. «Le divulgazioni sui finanziamenti», si legge, «mostrano che oltre il 61% delle partnership di ricerca sui vaccini in Italia tra il 2018 e il 2023 hanno coinvolto entità supportate finanziariamente dalla Fondazione Gates». Tre dei cinque vaccini più utilizzati in Italia ricevono suoi finanziamenti, e così anche il 46% dei brevetti farmaceutici approvati tra il 2015 e il 2024.La generosità di Gates coinvolge anche i media, con 370 milioni di dollari stanziati tra il 2015 e il 2024 per iniziative giornalistiche italiane. Secondo un’analisi sulla trasparenza, il 68% dei resoconti circa i suoi progetti risultano favorevoli, contro appena un 15% di scettici. «Questa tendenza», si legge nel report, «solleva serie preoccupazioni sull’indipendenza editoriale e sulla parzialità dei media, poiché molti dei principali quotidiani, reti radiotelevisive e piattaforme di giornalismo investigativo italiani ricevono finanziamenti diretti o indiretti da entità controllate da Gates o da organizzazioni» a lui affiliate, comprese quelle di fact-checking. Tra i beneficiari dei suoi soldi, risultano anche la Comunità di Sant’Egidio (101.090 dollari per la promozione di vaccini contro l’Hpv e degli interventi per l’Hiv, la tubercolosi e la malaria) e l’Università Bocconi di Milano, che ha ricevuto circa 1,8 milioni di dollari per «produrre prove sull’efficacia, l’accessibilità economica e la sostenibilità dei registri elettronici delle vaccinazioni e dei sistemi di gestione logistica delle informazioni, per supportare il processo decisionale dei donatori e dei Paesi».
La poetessa russa Anna Achmatova. Nel riquadro il libro di Paolo Nori Non è colpa dello specchio se le facce sono storte (Getty Images)
Nel suo ultimo libro Paolo Nori, le cui lezioni su Dostoevskij furono oggetto di una grottesca polemica, esalta i grandi della letteratura: se hanno sconfitto la censura sovietica, figuriamoci i ridicoli epigoni di casa nostra.
Obbligazionario incerto a ottobre. La Fed taglia il costo del denaro ma congela il Quantitative Tightening. Offerta di debito e rendimenti reali elevati spingono gli operatori a privilegiare il medio e il breve termine.
Alice ed Ellen Kessler nel 1965 (Getty Images)
Invece di cultura e bellezza, la Rai di quegli anni ha promosso spettacoli ammiccanti, mediocrità e modelli ipersessualizzati.
Il principe saudita Mohammad bin Salman Al Sa'ud e il presidente americano Donald Trump (Getty)
Il progetto del corridoio fra India, Medio Oriente ed Europa e il patto difensivo con il Pakistan entrano nel dossier sulla normalizzazione con Israele, mentre Donald Trump valuta gli effetti su cooperazione militare e stabilità regionale.
Le trattative in corso tra Stati Uniti e Arabia Saudita sulla possibile normalizzazione dei rapporti con Israele si inseriscono in un quadro più ampio che comprende evoluzioni infrastrutturali, commerciali e di sicurezza nel Medio Oriente. Un elemento centrale è l’Imec, ossia il corridoio economico India-Medio Oriente-Europa, presentato nel 2023 come iniziativa multinazionale finalizzata a migliorare i collegamenti logistici tra Asia meridionale, Penisola Arabica ed Europa. Per Riyad, il progetto rientra nella strategia di trasformazione economica legata a Vision 2030 e punta a ridurre la dipendenza dalle rotte commerciali tradizionali del Golfo, potenziando collegamenti ferroviari, marittimi e digitali con nuove aree di scambio.
La piena operatività del corridoio presuppone relazioni diplomatiche regolari tra Arabia Saudita e Israele, dato che uno dei tratti principali dovrebbe passare attraverso porti e nodi logistici israeliani, con integrazione nelle reti di trasporto verso il Mediterraneo. Fonti statunitensi e saudite hanno più volte collegato la normalizzazione alle discussioni in corso con Washington sulla cooperazione militare e sulle garanzie di sicurezza richieste dal Regno, che punta a formalizzare un trattato difensivo bilaterale con gli Stati Uniti.
Nel 2024, tuttavia, Riyad ha firmato in parallelo un accordo di difesa reciproca con il Pakistan, consolidando una cooperazione storicamente basata su forniture militari, addestramento e supporto politico. Il patto prevede assistenza in caso di attacco esterno a una delle due parti. I governi dei due Paesi lo hanno descritto come evoluzione naturale di rapporti già consolidati. Nella pratica, però, l’intesa introduce un nuovo elemento in un contesto regionale dove Washington punta a costruire una struttura di sicurezza coordinata che includa Israele.
Il Pakistan resta un attore complesso sul piano politico e strategico. Negli ultimi decenni ha adottato una postura militare autonoma, caratterizzata da un uso esteso di deterrenza nucleare, operazioni coperte e gestione diretta di dossier di sicurezza nella regione. Inoltre, mantiene legami economici e tecnologici rilevanti con la Cina. Per gli Stati Uniti e Israele, questa variabile solleva interrogativi sulla condivisione di tecnologie avanzate con un Paese che, pur indirettamente, potrebbe avere punti di contatto con Islamabad attraverso il patto saudita.
A ciò si aggiunge il quadro interno pakistano, in cui la questione israelo-palestinese occupa un ruolo centrale nel dibattito politico e nell’opinione pubblica. Secondo analisti regionali, un eventuale accordo saudita-israeliano potrebbe generare pressioni su Islamabad affinché chieda rassicurazioni al partner saudita o adotti posizioni più assertive nei forum internazionali. In questo scenario, l’esistenza del patto di difesa apre la possibilità che il suo richiamo possa essere utilizzato sul piano diplomatico o mediatico in momenti di tensione.
La clausola di assistenza reciproca solleva inoltre un punto tecnico discusso tra osservatori e funzionari occidentali: l’eventualità che un’azione ostile verso Israele proveniente da gruppi attivi in Pakistan o da reticolati non statali possa essere interpretata come causa di attivazione della clausola, coinvolgendo formalmente l’Arabia Saudita in una crisi alla quale potrebbe non avere interesse a partecipare. Analoga preoccupazione riguarda la possibilità che operazioni segrete o azioni militari mirate possano essere considerate da Islamabad come aggressioni esterne. Da parte saudita, funzionari vicini al dossier hanno segnalato la volontà di evitare automatismi che possano compromettere i negoziati con Washington.
Sulle relazioni saudita-statunitensi, la gestione dell’intesa con il Pakistan rappresenta quindi un fattore da chiarire nei colloqui in corso. Washington ha indicato come priorità la creazione di un quadro di cooperazione militare prevedibile, in linea con i suoi interessi regionali e con le esigenze di tutela di Israele. Dirigenti israeliani, da parte loro, hanno riportato riserve soprattutto in relazione alle prospettive di trasferimenti tecnologici avanzati, tra cui sistemi di difesa aerea e centrali per la sorveglianza delle rotte commerciali del Mediterraneo.
Riyadh considera la normalizzazione con Israele parte di un pacchetto più ampio, che comprende garanzie di sicurezza da parte statunitense e un ruolo definito nel nuovo assetto economico regionale. Il governo saudita mantiene l’obiettivo di presentare il riconoscimento di Israele come passo inserito in un quadro di stabilizzazione complessiva del Medio Oriente, con benefici economici e infrastrutturali per più Paesi coinvolti. Tuttavia, la gestione del rapporto con il Pakistan richiede una definizione più precisa delle implicazioni operative del patto di difesa, alla luce del nuovo equilibrio a cui Stati Uniti e Arabia Saudita stanno lavorando.
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