Dopo anni di allarmi, l'Omm spiega che il buco dell'ozono si è chiuso e uno studio di Auckland che le isole del Pacifico guadagnano terreno. Sarà perché i soldi sono migrati dai vecchi bond ai fondi pro ambiente?
Dopo anni di allarmi, l'Omm spiega che il buco dell'ozono si è chiuso e uno studio di Auckland che le isole del Pacifico guadagnano terreno. Sarà perché i soldi sono migrati dai vecchi bond ai fondi pro ambiente? La notizia è passata sotto silenzio. Gli scienziati dell'università di Auckland, in Nuova Zelanda, hanno rilevato che atolli nelle Isole Marshall, Tuvalu e Kiribati, oltre che nell'arcipelago delle Maldive nell'Oceano Indiano, sono cresciuti di dimensioni fino all'8% negli ultimi sei decenni, nonostante il sollevamento del livello marino. Lo studio, coordinato dal dal geomorfologo costiero Paul Kench è riuscito a dimostrare due cose. Che solo il 10% delle isole prese in considerazione ha perso terreno rispetto all'avanzata degli oceani e all'erosione costiera. E quindi che la gran parte delle isole ha percorso un trend opposto grazie alla presenza dei coralli, sedimenti e tutto ciò che viene raccolto di organico dal mare. In pratica Auckland smonta in poche pagine anni di storytelling sull'imminente scomparsa di interi arcipelaghi e servizi di Tg con spiagge bianche vicine all'estinzione. Non solo, lo studio mira a fornire a chi governa quelle microregioni le informazioni necessarie a gestire in modo mirato le attività umane per renderle efficaci concentrandola nei luoghi protetti dai banchi corallini. «Questo offre alle nazioni insulari una possibilità di adottare strategie di adattamento, su dove concentrare ulteriore sviluppo, possibilmente scegliendo quelle isole che possiamo dimostrare stiano effettivamente crescendo in superficie», ha scritto Kench. Al di là dei dettagli, ciò che viene meno è il racconto uniformato e scorretto di un globo soffocato dall'uomo senza alcuna capacità di adattarsi ai cambi climatici. Ciò non significa che deve venire meno il senso civico e ambientale. Ma, al contrario, che le ideologie verdi sono sempre da prendere con le pinze. Lo fa comprendere anche la notizia relativa al buco dell'ozono. Si è chiuso a dicembre «dopo una stagione eccezionale a causa delle condizioni meteorologiche naturali e della continua presenza di sostanze che riducono lo strato di ozono», ha spiegato l'Organizzazione mondiale della meteorologia. L'Omm ha pure ricordato che questo buco era stato provocato da un vortice polare forte, stabile e freddo e da temperature molto fredde nella stratosfera. «Le ultime due stagioni del buco dell'ozono dimostrano la sua variabilità di anno in anno e migliorano la nostra comprensione dei fattori responsabili della sua formazione, estensione e gravità», ha commentato Oksana Tarasova, capo della divisione di ricerca sull'ambiente atmosferico dell'Omm. «Abbiamo bisogno di un'azione internazionale continua», ha concluso, «per applicare il protocollo di Montreal» che vieta le emissioni di sostanze chimiche dannoso. Non avrebbe potuto dire diversamente. Ed è ovvio così. Però anche su questo tema emerge un aspetta di fondo. L'abbattimento dell'inquinamento nulla a che fare con il Covid e pure in questo caso a dare la forte spallata chiudendo il buco nell'Antartico è stato un fattore naturale, un cambio di passo metereologico. Il tour in giro per il mondo del circo mediatico collegato a figure come Greta Thunberg dovrebbe farci riflettere e chiedere se e quali interessi ci siano attorno a un mondo - nonostante la pandemia - sempre più globalizzato dal punto di vista finanziario. Oltre un decennio di quantitave easing ha prodotto enormi masse finanziarie con rendimenti e tassi pari a zero o negativi. All'inizio del 2020, il mercato registrava una massa di obbligazioni con rendimento negativo pari a 13.000 miliardi di dollari. E si tratta soltanto di bond, a questi vanno aggiunto altri fondi e diverse tipologie di investimenti. Il quantitative easing iniziato nel 2008 negli Usa e adottato in Europa per uscire dalla crisi ha prodotto una enorme bolla di denaro che non rende. Serviva trovare la possibilità di allocarla su altri asset agli occhi dei mercati appetibili e redditizi. Sono nati così i grandi flussi di investimenti cosiddetti Esg. La cui sigla sta per Environmental, social and governance: cioè ambiente, sociale e trasparenza nella gestione. In pochi anni hannp scalato le classifiche sia da un punto di vista dell'attrattività sia da quello dei rendimenti. Un recente studio di JpMorgan spiega che il settore dei fondi che si richiamano al rispetto delle tre gambe del'Esg vale ben 45 trilioni, cioè 45.000 miliardi di dollari. Nel 2022 saranno 53.000. Poco importa che solo 1.000 miliardi siano effettivamente certificati. A tirare è il simbolo che è cresciuto con anni di studi ma soprattutto di storytelling, marketing e allarmi climatici. Nessuno nega vittorie come il trattato di Montreal, ma a volte è interessare riflettere sul fatto che gli allarmismi creano panico ma nuove tendenze. E più si spinge il piede sull'acceleratore dell'ambiente più si trovano investitori disposti a metterci i soldi. E quei soldi migrano dalla bolla dei rendimenti negativi verso isole green ed ecologiche costruite dagli stessi gestori o banche d'affari che devono uscire dall'impasse. Serviva convincere anche gli Stati e l'Europa, così il Green new deal è diventato l'ultimo successo da perseguire. Adesso che la strada è imboccata forse ci sarà più spazio per ricerca sull'ambiente come quella di Auckland meno allarmistiche o politicizzate.
Robert Redford (Getty Images)
Incastrato nel ruolo del «bellone», Robert Redford si è progressivamente distaccato da Hollywood e dai suoi conformismi. Grazie al suo festival indipendente abbiamo Tarantino.
Leone XIV (Ansa)
Nella sua prima intervista, il Papa si conferma non etichettabile: parla di disuguaglianze e cita l’esempio di Musk, ma per rimarcare come la perdita del senso della vita porti all’idolatria del denaro. E chiarisce: il sinodo non deve diventare il parlamento del clero.