2018-12-20
Fico spinge per schierare l’Italia con Soros
Il Parlamento vota il rinvio della discussione sul Global compact (e pure la firma al patto). Ma il presidente della Camera insiste: «Al tavolo sui migranti dobbiamo sederci per forza». Proprio come desiderano i fautori dell'abolizione dei confini. Ieri l'erede di Laura Boldrini a Montecitorio ha espresso con chiarezza il suo pensiero: «Siccome l'immigrazione è una problematica globale per forza dobbiamo sederci al tavolo con tutti i Paesi del mondo, specie quelli da cui partono i migranti, per affrontare la problematica».Sarà pure, come sosteneva il ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi, «un atto giuridicamente non vincolante». Sarà pure carta straccia avvolta nella retorica. Eppure, in Belgio, il primo ministro Charles Michel ieri si è dimesso a causa del Global migration compact. Michel si è recato a Marrakech, nei giorni scorsi, per sottoscrivere l'accordo sulle migrazioni voluto dalle Nazioni unite, e la cosa non è piaciuta ai suoi alleati della Nuova alleanza fiamminga, che gli hanno tolto il sostegno costringendolo a mollare.Dopo tutto, forse, la questione Global compact è un po' più seria di come è stata presentata dalle nostre parti. Se in Belgio crolla l'esecutivo, in Italia la maggioranza di governo sceglie sostanzialmente di non decidere. Ieri la Camera ha approvato la mozione di Lega e 5 stelle che sostanzialmente propone di rinviare la discussione sul tema. Sono state bocciate tutte le altre mozioni: sia quella del Pd (ovviamente favorevole alla firma del patto), sia quella presentata da Fratelli d'Italia. Giorgia Meloni, prima firmataria della mozione e da tempo in trincea contro il Global compact, era comprensibilmente furiosa: «Fratelli d'Italia si batterà fino alla fine perché l'Italia dica no al Global compact e continuiamo a non capire la posizione della maggioranza e in modo particolare della Lega che finora ha sempre detto di voler difendere i nostri confini». La Meloni ha senz'altro ragione nel definire il Global compact «un documento che annulla ogni distinzione tra immigrati e rifugiati e impedisce agli Stati nazionali di difendere i propri confini». Va anche detto, però, che - sebbene la maggioranza abbia deciso di non decidere - per ora abbiamo ulteriormente evitato di firmare. Magra consolazione, evidentemente, ma sempre meglio di un voto congiunto a favore di Pd e una parte dei 5 stelle. Già, perché in area grillina i sostenitori dello scellerato accordo pro invasione non mancano, a partire dal presidente della Camera, Roberto Fico. Ieri, durante i rituali auguri alla stampa parlamentare, l'erede della Boldrini a Montecitorio ha espresso con chiarezza il suo pensiero: «Siccome l'immigrazione è una problematica globale per forza dobbiamo sederci al tavolo con tutti i Paesi del mondo, specie quelli da cui partono i migranti, per affrontare la problematica». Curioso: la Camera ieri ha scelto, tramite votazione, di non sedersi al tavolo apparecchiato dall'Onu (almeno per ora). Ed ecco che il presidente della Camera si sciacqua le mani del voto e dichiara che a quel medesimo tavolo bisogna accomodarsi «per forza». Ah, davvero? E chi lo ha deciso, di grazia? La verità è che il patto sulle migrazioni delle Nazioni unite è molto più di un accordo internazionale. È la linea di separazione tra chi vuole difendere i confini e le identità e chi invece preferisce la linea globalista. Su questo muro di confine si stanno schiantando praticamente tutti: destra, sinistra, cattolici, conservatori e moderati. Sottrarsi alla decisione, tuttavia, non si può. Pronunciarsi a favore del Global compact, infatti, significa schierarsi dalla parte di personaggi per lo meno discutibili. A gestire direttamente la pratica migratoria è l'inviata speciale dell'Onu Louise Arbour, una signora nota per non amare le distinzioni fra profughi e migranti economici. Secondo questa signora, tanto per citare una frase, «non c'è dubbio che l'Occidente avrà bisogno di importare risorse umane a tutti i livelli». Non a caso, la Arbour, nel 2010, è stata premiata dalla Central European University di Budapest, cioè l'ateneo fondato da George Soros. Fu lui in persona a consegnare il riconoscimento all'amica Louise. Del resto il Global compact rispecchia in toto la linea sorosiana sull'immigrazione. E, per questo motivo, beneficia di sponsorizzazioni notevoli. Facciamo un esempio? Giusto ieri, il caro Soros è stato nominato «persona dell'anno» dal Financial Times, che non è esattamente il bollettino parrocchiale e parla a nome di poteri facilmente identificabili. Perché questo riconoscimento? Perché Soros, spiega il giornale, «ha combattuto l'autoritarismo, il razzismo e l'intolleranza». Inoltre, egli è «costantemente sotto attacco online per il suo attivismo umanitario e per la sua visione liberale del mondo, idee sorte dopo la caduta del muro di Berlino e oggi minacciate da una parte dalla Russia di Putin, dall'altra dagli Stati Uniti di Trump». Povera stella, lui è tanto buono e umanitario e i populisti cattivi lo minacciano... In realtà minacce e complotti non c'entrano nulla. Soros - da anni - sfrutta l'umanitarismo per promuovere una politica basata sulla destabilizzazione degli Stati nazionali e sull'abolizione dei confini. Una politica che piace molto ai fautori dell'ideologia neoliberista. Non solo: a quanto risulta, piace molto anche a Roberto Fico. Il quale, da presidente della Camera, calpesta il voto parlamentare per spingere l'Italia a schierarsi dalla parte di gente come Soros. E per fortuna che fa parte di un movimento «populista»...