2024-05-19
Fiat Topolino sequestrate a Livorno: «Falso logo del made in Italy»
Fermate 134 vetture perché sfoggiano un adesivo tricolore ma sono fatte in Marocco.La Fiat Topolino è forse una delle vetture che più rappresenta l’italianità nel mondo automobilistico. Il riferimento è però purtroppo a quella prodotta intorno alla seconda guerra mondiale. Perché quella nuova, da guidare senza la patente B e del tutto elettrica, viene prodotta in Marocco promuovendo un prodotto che di italiano ha ben poco. Per questo, pochi giorni fa 134 tra Fiat Topolino e Topolino Dolcevita con tanto di bandiera tricolore sulle portiere sono state sequestrate dalla Guardia di finanza e dall’Agenzia delle dogane e dei monopoli a Livorno. Il motivo appare chiaro: le Fiamme gialle e i funzionari doganali hanno contestato a Stellantis, capogruppo a cui fa riferimento anche il marchio Fiat, che le vetture in questione riportassero una fallace indicazione sull’origine del prodotto, che non è «made in Italy», ma fabbricato in Marocco e arrivato in Toscana su una nave merci. In dettaglio, le bandiere tricolori sulle portiere delle Topolino potevano indurre la clientela a credere che l’auto potesse essere prodotta in Italia, quando in realtà veniva assemblata in Nord Africa. Del resto, il gruppo Stellantis è frutto dell’unione tra l’ex Fiat Chrysler automobiles e il colosso francese Psa che ha degli stabilimenti in Marocco dove già vengono prodotte vetture molto simili alla Topolino come la Citroen ami e la Opel rocks-e. In particolare, il sequestro da parte dei finanzieri è avvenuto il 15 maggio e le accuse riguardano la vendita di prodotti industriali con segni mendaci, per la quale risulta indagata Stellantis Europa. I sigilli sono stati posti secondo l’articolo 4, comma 49, della legge finanziaria del 2004 (24 dicembre 2003 numero 350) secondo cui «l’importazione e l’esportazione ai fini di commercializzazione ovvero la commercializzazione o la commissione di atti diritti in modo non univoco alla commercializzazione di prodotti recanti false e fallaci indicazioni di provenienza o di origine» costituisce reato, nella fattispecie la vendita di prodotti industriali con segni mendaci, punito dall’articolo 517 del codice penale. La legge che ha scoperchiato il vaso di Pandora sui prodotti che ricordano una falsa italianità oltre 20 anni fa non a caso era stata voluta da Adolfo Urso, oggi ministro delle Imprese e del made in Italy. Va aggiunto poi che il caso delle Topolino sotto sequestro è solo l’ultimo di una lunga serie. Solo poco tempo fa, senza che vi fosse l’infrazione di alcuna norma, l’Alfa Romeo decise in corsa di cambiare il nome alla piccola di casa, la Milano, chiamandola Junior proprio per calmare le polemiche legate a un’auto che di italiano non aveva molto. Allo stesso modo il colosso cinese Xiaomi ha comunicato al Mimit che non chiamerà Modena il modello inizialmente denominato Su7 e prodotto al 100% in Cina. «L’azienda», aveva detto Xiaomi, «ha assicurato che intende rispettare le norme italiane sulle indicazioni fallaci, compreso il regolamento sulle indicazioni geografiche».Fatti come questo potrebbero verificarsi in tutti i 53 Paesi che hanno sottoscritto l’accordo doganale di Madrid, che contrasta le indicazioni fallaci, compresi Marocco e Francia, ma anche molti Stati europei dell’Africa e dell’Asia. Ora le macchine sotto sequestro e destinate alle concessionarie automobilistiche italiane si trovano in stato di deposito giudiziario ai terminal Leonardo Da Vinci e alla Cilp, la Compagnia impresa lavoratori portuali, dove sono sbarcate. Le Topolino rimarranno al terminal portuale di Livorno in custodia fino a quando non ne sarà disposto l’eventuale dissequestro. Si tratta, in totale, di 119 Fiat Topolino e 15 Fiat Topolino Dolcevita. In tutto 134 macchine ferme in porto perché, appunto, ritenute falso «made in Italy», visto che hanno la bandiera italiana, ma sono «made in Marocco».
Pier Luigi Lopalco (Imagoeconomica)
Nel riquadro la prima pagina della bozza notarile, datata 14 novembre 2000, dell’atto con cui Gianni Agnelli (nella foto insieme al figlio Edoardo in una foto d'archivio Ansa) cedeva in nuda proprietà il 25% della cassaforte del gruppo