2025-01-09
Insultano morti e commemorazioni. Ma loro possono farlo: sono i Buoni
Parigi, manifestanti festeggiano la morte di Jean-Marie Le Pen (Getty Images)
L’odio di sinistra non ha più limiti: in Francia, piazze piene di progressisti festanti alla notizia del decesso di Le Pen. Da noi, invece, si vuole vietare il ricordo (politicamente scorretto, ma legale) di Acca Larenzia.È un furioso roteare di avvoltoi sui cadaveri, manifestazione abominevole di una società che va necrotizzandosi e smarrisce ogni pietà se non quella pelosa e politicamente conveniente. Non riusciamo a intenderci su come si possa e debba parlare dei defunti perché siamo a nostra volta moribondi, avvolti come in un sudario in sbiadite categorie di bene e di male. Ecco che la compagnia dei Buoni e dei Giusti si indigna e strepita e depreca perché a Roma, per il ricordo della strage di ad Acca Larenzia, si leva una foresta di braccia tese nel saluto romano. Non importa che le sentenze lo permettano, e soprattutto non importa che quello sia un luogo di memoria per un intero universo culturale. Godono, i Buoni, per le indagini e il monitoraggio video dei barbari destrorsi, e fingono di non sapere che quella storia riguarda anche loro: lì furono ammazzati da un commando di estrema sinistra dei ragazzi del Fronte della gioventù. Uno, Franco Bigonzetti, ventenne; un altro, Francesco Ciavatta, diciottenne. E poi un altro, Stefano Recchioni, ammazzato dagli agenti poco dopo. E ancora il padre di Ciavatta, che si ammazzò per la disperazione bevendo dell’acido muriatico. Per queste vite e memorie non c’è spazio: si cerca ogni volta di vietare le commemorazioni, di rimuovere le targhe. I morti sono fra i Cattivi, e i Buoni non hanno compassione. Non ne hanno nemmeno i Buoni e i Giusti di Francia e di altre nazioni per Jean-Marie Le Pen. Manco l’onore delle armi per il vecchio nemico. La folla degli antirazzisti e antifascisti pavloviani corre in piazza e festeggia la morte dell’odiato fascio. «È morto! È morto!», gracchiano, e festeggiano e ridono e contano, gli danno del porco razzista. È la vecchia tecnica che sdogana ogni aberrazione: si può odiare l’odiatore, e chi sia l’odiatore meritevole di odio lo stabiliscono loro, i Buoni. Ovvero coloro che si sono auto eletti santi con licenza di uccidere. È concesso sputare sulla tomba di Le Pen, che pure aveva cercato di andare a combattere contro i nazisti con De Gaulle, e a sputare sono spesso ragazzotte e ragazzotti che la storia dolorosa del Novecento nemmeno saranno cosa sia. Un filo più di titolo per ridere del defunto ce l’hanno i vignettisti di Charlie Hebdo, a cui pure sfugge il drammatico cortocircuito: anche loro sono stati accusati di razzismo anti musulmano, nonostante nella loro redazione gli islamisti abbiano lasciato dodici cadaveri sul pavimento. Matassa complessa da districare: chi stabilisce chi sia davvero razzista? A che livello di bontà bisogna assurgere per arrogarsi il diritto di appiccicare la patacca di odiatore al prossimo?Il discrimine, è piuttosto evidente, sta nell’appartenenza all’universo progressista: lì è il confine fra Buoni e Cattivi. Se a quell’universo un morto fa comodo, lo si piange e lo si celebra. Se il cadavere non è gradito o, meglio, se serve a esibire i galloni di antirazzisti, allora si infierisce. Non contano nulla, per dire, i corpi delle ragazzine minorenni e bianche sequestrate e abusate da gang di pakistani nel Regno Unito. I politici progressisti evitano di parlarne, perché della comunità straniera non si deve dire male altrimenti si diventa razzisti. In compenso l’odio pakistano contro le giovani bianche sembra quasi che lo tollerino. In ogni caso, non scandalizza perché agito da immigrati, che sono vittime per definizione. In generale non si può insinuare che delinquano, e persino di fronte a una sistematica e brutale violenza durata decenni come quella inglese tocca tacere o tutt’al più sminuire, ridurre le evidenze a complotto fascista. Non si tratta, badate bene, di sostenere che lo straniero sia cattivo in sé stesso, di renderlo capro espiatorio, di accusarlo di ogni nefandezza come se non ci fossero bravissimi e integratissimi immigrati. Il fatto è che in Occidente sul tema vige l’omertà e non si può nemmeno certificare l’ovvio. Però si può andare con l’accetta nelle situazioni che ovvie non sono se gli antirazzisti di professione hanno deciso così. Prendiamo il caso del povero Ramy: che non meritasse la morte deve essere chiaro a tutti. Ed è comprensibile che udire le frasi concitate, a volte rabbiose, dei carabinieri che lo inseguivano è sconcertante, specie se si finge di non vedere il contesto. Ma da lì a stabilire che i militari lo abbiano ucciso volutamente ce ne passa. Eppure serve un martire, e Ramy - nonostante gli inviti alla prudenza della sua famiglia - è perfetto per il ruolo. Le responsabilità del suo amico che guidava il motorino in fuga passano in secondo piano: bisogna gridare all’omicidio di Stato. Il corpo morto - che merita senz’altro pietà e compassione - diviene arma politica, a tratti strumento di odio. Che uso fare dei corpi, dunque? Beh, dipende. Dipende da quanto fanno comodo, da che passioni possono suscitare, da che narrazione si può edificare attorno alle loro carni fredde quando muoiono. La singola storia, la singola vita, le singole sfumature: tutto è superfluo. Tutto è battito d’ali d’avvoltoio.
«Haunted Hotel» (Netflix)
Dal creatore di Rick & Morty arriva su Netflix Haunted Hotel, disponibile dal 19 settembre. La serie racconta le vicende della famiglia Freeling tra legami familiari, fantasmi e mostri, unendo commedia e horror in un’animazione pensata per adulti.