2025-03-14
«Con il nuovo reato di femminicidio portiamo il diritto verso la realtà»
Eugenia Roccella (Imagoeconomica)
Il ministro per le Pari opportunità Eugenia Roccella: «Ci sono tanti uomini che uccidono donne e non l’inverso. Serve ripetere quanto è stato fatto con il delitto d’onore: averlo eliminato per legge è stata la molla per mutare la mentalità».Nei giorni scorsi, in una intervista concessa alla Verità, il sociologo Luca Ricolfi ha commentato il ddl sul femminicidio licenziato l’8 marzo. E ha indicato quelle che, secondo lui, sono carenze della nuova norma. Perplessità che, in parte, il nostro giornale ha condiviso e a cui ha voluto risponde Eugenia Roccella, ministro per le Pari opportunità e la famiglia.Ministro, con che spirito nasce la legge sul femminicidio e che obiettivo si pone? «L’obiezione più frequente che viene mossa a questa legge è: ma non bastava il reato di omicidio? Perché istituire un nuovo reato per le donne uccise? Per rispondere bisogna farsi un’altra domanda: perché ci sono tanti uomini che uccidono donne e l’inverso, invece, quasi non esiste, i casi si contano sulle dita di una mano? Fino a pochi decenni fa la legge contemplava le attenuanti per il delitto d’onore o il matrimonio riparatore per cancellare il reato in caso di stupro e ricordiamoci che l’adulterio femminile era punito con due anni di galera e quello maschile no. Eppure, questa asimmetria storica, che riflette un’asimmetria di potere e di ruoli tra uomini e donne, non ha impedito di affermare che il diritto fosse “neutrale”. Il riconoscimento del reato autonomo di femminicidio, in qualche modo, smaschera questa finta neutralità, rende la legge più aderente alla realtà. Non si tratta certo di un cedimento a quello che viene definito l’uso “sociologico” o “segnaletico” del diritto penale, che tante storture ha prodotto nella storia d’Italia. È, semmai, un approccio “antropologico” al diritto, che è esattamente il contrario. Non si intende correggere la società attraverso il diritto penale ma applicare il diritto alla realtà delle persone, che nascono con un corpo sessuato. Questa legge, insomma, non stabilisce che uccidere una donna sia eticamente più grave che uccidere un uomo e non lo fa neanche dal punto di vista giudiziario, perché la novità non è la pena. La pena per il femminicidio, infatti, coincide con quella a cui si arriva con l’aggravante già prevista dall’articolo 577 del Cdice penale, che si applica per esempio all’omicidio del coniuge, del convivente o di una persona cui si è legati da una relazione affettiva».Pensa che bastino le aggravanti per arginare il fenomeno? «Ovviamente no, saremmo degli ingenui a pensarlo. Il tema, lo ripeto, non è l’entità della pena perché, come ho già detto, le aggravanti per l’uccisione di persone a cui si è affettivamente legati già esistono. Penso, piuttosto, che le leggi incidano sulla cultura diffusa, sulla mentalità delle persone. Il che non significa abbracciare il panpenalismo e utilizzare il diritto penale come un’arma impropria. Ma rendere il diritto più aderente alla realtà vissuta, in primo luogo la realtà del corpo, della differenza primaria tra uomini e donne, può aiutare quel cambiamento culturale che tutti auspichiamo. Abbiamo citato prima le attenuanti per il delitto d’onore. Quando la modifica fu introdotta, molti pensavano che questo non avrebbe cambiato un costume così radicato nei sentimenti e nella cultura profonda degli italiani, soprattutto in certe aree. Invece non fu così. L’idea che il delitto d’onore sia legittimo è scomparsa e averlo eliminato per legge è stato certamente una molla perché la mentalità cambiasse».Entriamo, ora, nel merito delle critiche formulate da Luca Ricolfi. Secondo il sociologo manca una definizione chiara di femminicidio. La può fornire? «La definizione prevista dalla legge, che si fonda sull’uccisione della donna “in quanto donna”, a prescindere anche dal sesso dell’assassino, mi sembra ben formulata. Ovviamente tutto è migliorabile, a maggior ragione visto che si tratta di un disegno di legge che dovrà compiere il suo iter parlamentare. Ma è molto chiara, non vedo quei tratti di oscurità o ambiguità di cui si parla. Un esempio molto semplice aiuterà a capirlo: se Saman Abbas, la giovane pakistana uccisa che si era rifiutata di sposare il proprio cugino in Pakistan l’anno prima, fosse stata un uomo, sarebbe stata ammazzata? È di questo che parla la legge quando dice che il reato si ha se la persona è offesa in quanto donna o per reprimere l’esercizio della sua libertà».Sostiene Ricolfi che questa legge darebbe enorme discrezionalità ai magistrati. È così secondo lei? «Sinceramente, a me pare proprio di no. E credo che il nostro governo non possa essere sospettato di voler minare la certezza del diritto e dilatare a dismisura il margine di interpretazione del magistrato. Un margine che nell’esercizio della giurisdizione, peraltro, è inevitabile dal momento che la giustizia è amministrata da persone e non da un calcolatore o da un robot. La stessa discrezionalità viene usata continuamente per valutare le attenuanti e le aggravanti che, ripeto, già esistevano. Non c’è, quindi, nessuna differenza di trattamento. Stiamo parlando di un omicidio che verrà comunque punito in quanto tale, anche laddove non si ravvisi la fattispecie del femminicidio».Proviamo a immaginare una situazione, per quanto scabrosa. Una donna viene uccisa dal compagno che vuole mettere le mani sul suo patrimonio. È femminicidio? «È possibile che questo sia un femmicidio come è possibile che non lo sia. Dipende dalle intenzioni. Qui entra in gioco l’attività interpretativa. E, ancora una volta, un esempio concreto può aiutare a capire: un marito che uccide la ex moglie perché non tollera che lei abbia fatto più carriera di lui e guadagni più di lui può essere femminicidio, un figlio che uccide la madre per impossessarsi dei suoi beni magari non lo è. Tutto dipende dal movente ed è per questo che un margine di interpretazione è inevitabile, perché solo le indagini e i processi possono consentire di ricostruire un movente. Ma questo vale per tutti i reati, per tutte le pene, per tutte le attenuanti e le aggravanti».Ricolfi dice: la vera emergenza non è il femminicidio ma la violenza sulle donne. Che ne pensa? «Lo sono entrambe. Anche se l’Italia ha meno femminicidi di altri Paesi, un centinaio di donne che ogni anno muoiono nello stesso modo, con dinamiche simili, non può essere considerato un fenomeno normale a cui possiamo abituarci. Io penso che sia un’urgenza e vorrei che, alla fine di questa legislatura, si possa vedere il numero dei femminicidi in forte calo. È per questo obiettivo che lavoriamo».Come si combatte, secondo lei, la violenza sulle donne? «Si combatte in molti modi, tutti importanti. Con il cambiamento culturale, con la prevenzione, con la repressione, con le risorse per sostenere la rete dell’assistenza e dell’accoglienza affinché ogni donna sappia di non essere sola e anche con la formazione degli operatori che entrano in contatto con queste situazioni e con le persone che ne sono vittime. Nella legge che introduce il reato di femminicidio, infatti e non a caso, c’è anche un’attenzione particolare alla formazione dei magistrati, perché la violenza si combatte anche valutando con attenzione le denunce, seguendole con sollecitudine, applicando con tempestività le misure cautelari. E anche nella precedente legge che abbiamo varato si insiste molto sulla formazione, che riguarda pure le forze dell’ordine, gli operatori sanitari… Come ministero stiamo attivando protocolli anche con professionalità specifiche, ad esempio con l’Andi, associazione di dentisti».
Toto ha presentato il progetto di eolico offshore galleggiante al largo delle coste siciliane, destinato a produrre circa 2,7 gigawatt di energia rinnovabile. Un’iniziativa che, secondo il direttore di Renexia, rappresenta un’opportunità concreta per creare nuova occupazione e una filiera industriale nazionale: «Stiamo avviando una fabbrica in Abruzzo che genererebbe 3.200 posti di lavoro. Le rinnovabili oggi sono un’occasione per far partire un mercato che può valere fino a 45 miliardi di euro di valore aggiunto per l’economia italiana».
L’intervento ha sottolineato l’importanza di integrare le rinnovabili nel mix energetico, senza prescindere dal gas, dalle batterie e in futuro anche dal nucleare: elementi essenziali non solo per la sicurezza energetica ma anche per garantire crescita e competitività. «Non esiste un’economia senza energia - ha detto Toto - È utopistico pensare di avere solo veicoli elettrici o di modificare il mercato per legge». Toto ha inoltre evidenziato la necessità di una decisione politica chiara per far partire l’eolico offshore, con un decreto che stabilisca regole precise su dove realizzare i progetti e investimenti da privilegiare sul territorio italiano, evitando l’importazione di componenti dall’estero. Sul decreto Fer 2, secondo Renexia, occorre ripensare i tempi e le modalità: «Non dovrebbe essere lanciato prima del 2032. Serve un piano che favorisca gli investimenti in Italia e la nascita di una filiera industriale completa». Infine, Toto ha affrontato il tema della transizione energetica e dei limiti imposti dalla legislazione internazionale: la fine dei motori a combustione nel 2035, ad esempio, appare secondo lui irrealistica senza un sistema energetico pronto. «Non si può pensare di arrivare negli Usa con aerei a idrogeno o di avere un sistema completamente elettrico senza basi logiche e infrastrutturali solide».
L’incontro ha così messo in luce le opportunità dell’eolico offshore come leva strategica per innovazione, lavoro e crescita economica, sottolineando l’urgenza di politiche coerenti e investimenti mirati per trasformare l’Italia in un hub energetico competitivo in Europa.
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A condurre, il direttore Maurizio Belpietro e il vicedirettore Giuliano Zulin. In apertura, Belpietro ha ricordato come la guerra in Ucraina e lo stop al gas russo deciso dall’Europa abbiano reso evidenti i costi e le difficoltà per famiglie e imprese. Su queste basi si è sviluppato il confronto con Nicola Cecconato, presidente di Ascopiave, società con 70 anni di storia e oggi attore nazionale nel settore energetico.
Cecconato ha sottolineato la centralità del gas come elemento abilitante della transizione. «In questo periodo storico - ha osservato - il gas resta indispensabile per garantire sicurezza energetica. L’Italia, divenuta hub europeo, ha diversificato gli approvvigionamenti guardando a Libia, Azerbaijan e trasporto via nave». Il presidente ha poi evidenziato come la domanda interna nel 2025 sia attesa in crescita del 5% e come le alternative rinnovabili, pur in espansione, presentino limiti di intermittenza. Le infrastrutture esistenti, ha spiegato, potranno in futuro ospitare idrogeno o altri gas, ma serviranno ingenti investimenti. Sul nucleare ha precisato: «Può assicurare stabilità, ma non è una soluzione immediata perché richiede tempi di programmazione lunghi».
La seconda parte del panel è stata guidata da Giuliano Zulin, che ha aperto il confronto con le testimonianze di Maria Cristina Papetti e Maria Rosaria Guarniere. Papetti ha definito la transizione «un ossimoro» dal punto di vista industriale: da un lato la domanda mondiale di energia è destinata a crescere, dall’altro la comunità internazionale ha fissato obiettivi di decarbonizzazione. «Negli ultimi quindici anni - ha spiegato - c’è stata un’esplosione delle rinnovabili. Enel è stata tra i pionieri e in soli tre anni abbiamo portato la quota di rinnovabili nel nostro energy mix dal 75% all’85%. È tanto, ma non basta».
Collegata da remoto, Guarniere ha descritto l’impegno di Terna per adeguare la rete elettrica italiana. «Il nostro piano di sviluppo - ha detto - prevede oltre 23 miliardi di investimenti in dieci anni per accompagnare la decarbonizzazione. Puntiamo a rafforzare la capacità di scambio con l’estero con un incremento del 40%, così da garantire maggiore sicurezza ed efficienza». Papetti è tornata poi sul tema della stabilità: «Non basta produrre energia verde, serve una distribuzione intelligente. Dobbiamo lavorare su reti smart e predittive, integrate con sistemi di accumulo e strumenti digitali come il digital twin, in grado di monitorare e anticipare l’andamento della rete».
Il panel si è chiuso con un messaggio condiviso: la transizione non può prescindere da un mix equilibrato di gas, rinnovabili e nuove tecnologie, sostenuto da investimenti su reti e infrastrutture. L’Italia ha l’opportunità di diventare un vero hub energetico europeo, a patto di affrontare con decisione le sfide della sicurezza e dell’innovazione.
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