2018-11-05
Fattura elettronica: flop annunciato e botta alle imprese
Costi certi per le piccole aziende, gettito dubbio per il fisco La discussa riforma di Paolo Gentiloni non ridurrà neanche l'evasione. Rinvio improbabile: lo Stato si aspetta 4 miliardi in più. I commercialisti propongono l'introduzione graduale per alleviare la stangata alle Pmi. Difficilmente l'esecutivo li ascolterà. Lo speciale comprende due articoli. Siamo ormai a novembre e il tema della fatturazione elettronica stenta a farsi largo come meriterebbe, rischiando però di deflagrare prepotentemente tra poche settimane, quando si dovrà prendere atto che ci sono ancora molti problemi applicativi da risolvere, molti operatori non sono pronti e le previsioni di gettito sono incerte. Pertanto, è elevata la probabilità di correre ai ripari con il solito decreto tra Natale e Capodanno. Ma a cosa serve la fattura elettronica? L'obiettivo strombazzato è la digitalizzazione dei processi amministrativi delle imprese, quindi aumentarne l'efficienza. Il vero fine è contrastare l'evasione Iva, con relativo aumento di gettito. Riguardo al primo obiettivo, va rilevato che, se per le grandi imprese e molte Pmi i costi per l'adozione della e-fattura sono sostenibili rispetto a quanto attualmente speso per sistemi informativi e la loro scala dimensionale gli consente di giustificare tali costi, per le micro imprese si tratta di costi non di poco conto. Infatti, considerata la loro ridotta dimensione, i benefici derivanti dalla maggiore efficienza saranno ragionevolmente inferiori ai costi, che restano non comprimibili al di sotto di una certa soglia: chi emette poche decine di fatture all'anno ha ben pochi vantaggi dalla digitalizzazione, solo costi certi. Se solo si pensa che ben l'85% delle imprese emette meno di 500 fatture all'anno, si ha chiara l'idea che in questo Paese le imprese non hanno la scala dimensionale ottimale per beneficiare appieno dei vantaggi della fatturazione elettronica e poterne giustificare i costi. Riguardo al secondo obiettivo, la meritoria attività di contrasto all'evasione troverà nella e-fattura un aiuto poco rilevante, non perché essa sia inefficace ma perché erano già stati introdotti nel nostro ordinamento strumenti efficaci e notevolmente meno costosi per aggredire il fantasioso mondo di espedienti utilizzati per sottrarsi o, più spesso, rinviare l'obbligo del pagamento Iva. Mi riferisco alla comunicazione dati (cosiddetto spesometro trimestrale) e alla trasmissione della liquidazione periodica Iva. Questi due provvedimenti, faticosamente entrati a regime nel 2018, dopo mesi di costosi adeguamenti ai software e tanto tempo speso nella soluzione dei numerosi problemi applicativi, avrebbero dovuto generare, relazione ministeriale alla mano, 9 miliardi di euro di maggior gettito nel triennio 2017-2019. Confrontiamolo ora con il maggior gettito previsto dalla fatturazione elettronica: 2,05 miliardi, meno di un terzo di quanto previsto per lo spesometro. Il servizio bilancio del Senato, nel novembre 2017, esprimeva perplessità a largo raggio sulla e-fattura: denunciava l'aleatorietà del gettito per il quale sarebbe stata prudente una contabilizzazione a consuntivo, si chiedeva cosa ne sarebbe stato del gettito stimato per le norme che sarebbero state abrogate (spesometro) ed esprimeva dubbi sulle stime poste a base del maggior gettito. Un quadro a tinte fosche. La nota dei tecnici del Senato in sostanza si chiedeva come sia possibile che dopo provvedimenti che avrebbero generato gettito per 9 miliardi in tre anni, la fatturazione elettronica, che comunica gli stessi dati ma in tempo reale e non con un ritardo di tre mesi, riesca a generare altri 2 miliardi quasi di gettito il primo anno e 2,3 il successivo. Delle due, l'una: o è vero che lo spesometro aggrediva in modo efficace le irregolarità Iva, aumentando anche il tasso di adempimento spontaneo dei contribuenti o il gettito previsto per la e-fattura è scritto sull'acqua. Ma non finisce qui. Entrando nei dettagli di questo gettito, si scopre che poco meno della metà è ascrivibile alla «tempestività delle informazioni». Quindi, nell'immaginifico mondo del legislatore di fine 2017 (governo Gentiloni, giova ricordarlo) per il solo fatto di rendere disponibile in tempo reale al fisco gli stessi dati dello spesometro trimestrale, sarebbe possibile recuperare quasi il 10% del gettito Iva mancante, a cui si aggiunge un altro 5% circa per l'incentivo all'adempimento spontaneo da parte del contribuente. Ma perché il 10 e non il 5 o il 15%? Silenzio. Inoltre, chi conosce la realtà degli uffici dell'Agenzia delle entrate ha difficoltà a immaginare che questa massa di dati arrivati in tempo reale siano prontamente analizzati e facciano partire tempestivi controlli. Più facile credere che restino su qualche server a marcire per settimane prima che qualcuno abbia il tempo di controllarli. Nel migliore dei casi, i tempi di intervento sarebbero uguali a quelli, già lusinghieri, dello spesometro. Inondare di dati l'amministrazione finanziaria non garantisce automaticamente efficacia e tempestività dei controlli. Ci vogliono persone e strumenti di analisi. E allora perché tutta questa fretta, gravando le piccole e micro imprese di costi non recuperabili? A completare il quadro di quello che si prefigura come un flop annunciato arriva l'innalzamento della soglia del regime forfettario (flat tax) fino a 65.000 euro, prevista dalla manovra 2019. Per effetto di tale norma, circa il 78% delle persone fisiche con partita Iva sarebbe escluso dall'obbligo di fatturazione elettronica, ponendo ancora più in dubbio le già labili previsioni di gettito. Da ultimo, la scelta di non applicare sanzioni, nel primo semestre 2019, a carico di chi emette e-fatture in ritardo ma entro il termine della liquidazione periodica, appare una soluzione che produce solo ulteriore confusione. Il legislatore pare non comprendere che il problema non è l'eventuale ritardo, quanto essere o non essere soggetti all'obbligo. L'adozione della e-fattura, per le modifiche a numerose norme Iva su detrazione e registrazione, per l'impatto sui processi amministrativi aziendali, per i costi connessi e l'elevato rischio di sanzioni, dovrebbe avvenire consentendo, per tutto il 2019, una «doppia circolazione» (fattura digitale e analogica), come ai tempi dell'introduzione dell'euro, senza accampare scuse per un gettito che, con ogni probabilità, è già garantito da norme di recentissima adozione. Giuseppe Liturri<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/fattura-elettronica-flop-annunciato-e-botta-alle-imprese-2617895268.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="rinvio-improbabile-lo-stato-si-aspetta-4-miliardi-in-piu" data-post-id="2617895268" data-published-at="1758188611" data-use-pagination="False"> Rinvio improbabile: lo Stato si aspetta 4 miliardi in più Circa 4 miliardi di euro dovrebbero entrare dalla fattura elettronica tra il 2019 e il 2020. A dirlo sono le stime presenti all'interno della relazione tecnica del decreto legge fiscale 119/2018. Nel dettaglio sono previsti 200 milioni per il 2018, 1,7 miliardi di euro per il 2019 e 2,3 miliardi per il 2020. L'incasso del 2018 è relativo ai soggetti che sono già passati alle e-fattura. Si parla dunque delle operazioni in subappalto con la pubblica amministrazione e dei negozianti (tax free shopping) che lavorano nelle zone di confine con gli altri Paesi, che sono stati obbligati a passare alla fattura elettronica a partire da settembre 2018. Nel 2018 sarebbero dovuti passare alla fatturazione elettronica anche i benzinai, ma a giugno è stata prevista una proroga fino a dicembre 2018. Da gennaio 2019 saranno dunque obbligati a passare anche loro alla fattura elettronica, insieme ai privati. La fattura elettronica 2019 ha dunque l'obiettivo di porre un freno all'evasione Iva legata all'omessa dichiarazione. Questa, secondo gli ultimi dati dell'Unione europea, rappresenta però solo il 24% del gap Iva italiano, che ammonta a un totale di circa 36 miliardi di euro. Il 76% del gap è invece da imputare al consumatore finale e dunque a quella che viene chiamata evasione consensuale. Dato che non sarà però oggetto della fattura elettronica, viste le sue mire. Altro aspetto che non è stato considerato, nei calcoli di incasso del governo, è la presenza (all'interno del 24%) di chi già oggi non emette la fattura cartacea. Risulta dunque difficile pensare che dal 1° gennaio 2019 questi soggetti inizino a emettere fatture elettroniche, spontaneamente, contribuendo alla riduzione del gap Iva. Ai dati incerti di incasso si aggiungono anche le preoccupazioni dei professionisti per le possibili sanzioni legate alla tardiva emissione della fattura elettronica. È stata infatti prevista una sospensione delle sanzioni solo per i primi sei mesi del 2019, se la fattura elettronica è stata emessa in ritardo, ma entro i termini di effettuazione della liquidazione periodica delle imposte. Inoltre, è stato anche concesso un arco temporale di 10 giorni per emettere la e-fattura, dal momento in cui viene effettuata l'operazione. Opzioni che vengono, entrambe, contestate dall'Ordine nazionale dei commercialisti. Nell'audizione di fine ottobre davanti alla commissione finanze del Senato sul decreto fiscale, i commercialisti hanno infatti proposto di eliminare le sanzioni per tutto il 2019 e di ampliare a 15 giorni il termine di emissione della fattura elettronica. Questo perché secondo i professionisti «l'attuale termine di 10 giorni rischia di essere insufficiente, in particolare in occasione del periodo feriale estivo». Oltre a questa richiesta è stato anche fatto presente come il sistema economico italiano non sia ancora pronto ad accoglie la fattura elettronica. Molte piccole e medie imprese nazionali dovranno infatti ammodernare tutto il loro comparto informatico per poterlo rendere compatibile con l'emissione del documento. E dovranno compare anche un software, compatibile con il proprio sistema informatico, per emettere in modo più pratico le e-fatture. L'Agenzia delle entrate ha sì messo a disposizione un programma gratuito per l'emissione delle fatture elettroniche, ma questo non ha la capacità di comunicare con i sistemi pre-esistenti. Significa dunque che se si vuole usarlo bisognerà, ogni volta, compilare da zero una fattura. Risulta dunque essere ottimale la presenza di un sistema «avanzato» ma a pagamento. Proprio per questo i commercialisti hanno chiesto al governo di introdurre la e-fattura in modo graduale. Facendo partire l'obbligo dal 1° gennaio 2019 solo per le società quotate in Borsa e per i soggetti con più di 250 dipendenti, dal 1° gennaio 2020 per le società con più di 50 dipendenti, dal 1° gennaio 2021 per chi ha più di 10 dipendenti e dal 1° gennaio 2022 per le rimanenti società non esonerate da questo obbligo. In alternativa, la proposte è il rinvio di un anno per i soggetti di minori dimensioni che adottano il regime di contabilità semplificata. Ma probabilmente nessuna di queste idee sarà accolta vista la speranza di incasso messo a bilancio dal governo. Giorgia Pacione Di Bello
Nucleare sì, nucleare no? Ne parliamo con Giovanni Brussato, ingegnere esperto di energia e materiali critici che ci spiega come il nucleare risolverebbe tutti i problemi dell'approvvigionamento energetico. Ma adesso serve la volontà politica per ripartire.