
Secondo l'Agenzia italiana del farmaco un quarto di chi naviga acquista medicine sul Web: +25% in due anni. Una pratica rischiosa per gli scarsi controlli e perché molti prodotti sono contraffatti.Sempre più italiani si affidano a Internet per curarsi. In moltissimi effettuano online ricerche relative ai sintomi delle malattie e alle possibili terapie, allo stesso tempo crescono anche quelli che acquistano i farmaci in Rete. Un'abitudine potenzialmente rischiosa visto che i controlli sulle farmacie virtuali non sono sempre adeguati. A lanciare l'allarme è l'Aifa, l'Agenzia italiana del farmaco. Secondo i dati più recenti, circa un quarto di chi abitualmente naviga sul Web ha comprato almeno una medicina, in moltissimi casi attraverso siti illegali. Il numero di questi pazienti è cresciuto del 25% in due anni e corrisponde a circa il 4% della popolazione italiana. Ma c'è anche un altro 44% che non ritiene pericolosa questa pratica e quindi potenzialmente potrebbe cedere alla tentazione di comprare farmaci sul Web per risparmiare. Perché è proprio questo uno dei motivi che spinge la maggior parte delle persone a «tradire» le farmacie tradizionali. Il costo delle medicine è spesso troppo elevato e, durante gli anni della crisi economica, la concorrenza dei punti vendita virtuali è diventata agguerrita. I prodotti più frequentemente acquistati online sono quelli per dimagrire, seguiti da anabolizzanti e a prodotti legati alle prestazioni sessuali. Tutte medicine pericolose per la salute, se non somministrate sotto controllo medico. Ma negli ultimi tempi si assiste a un fenomeno ancora più allarmante: cresce il numero di chi su Internet si approvvigiona dei cosiddetti «superfarmaci», da quelli antitumorali a quelli che promettono di combattere l'epatite C. «I casi di automedicazione nel nostro Paese sono aumentati in modo esponenziale», conferma Silvestro Scotti, segretario nazionale della Federazione italiana medici di famiglia. «Internet è diventato il principale alter ego dei dottori. I pazienti usano il Web per effettuare ricerche relative alle diverse patologie e per valutare terapie che spesso diventano alternative a quelle proposte dagli specialisti. Così si affidano a soluzioni generalizzate che in alcuni casi possono essere molto rischiose. In questo contesto sta aumentando anche la vendita di farmaci online. Cioè di prodotti poco controllati e quindi potenzialmente molto pericolosi per la salute». Per capirlo basta guardare i dati diffusi quest'anno da Legitscript, l'agenzia che aiuta Google a scovare le farmacie pirata. È emerso che solo lo 0,6% dei prodotti venduti online è legale. A fronte di questo c'è un giro d'affari che a livello internazionale è impressionante: circa 200 miliardi di euro all'anno secondo quanto reso noto dall'Ocse. L'offerta non arriva solo da siti che si spacciano per farmacie, ma in qualche caso anche da portali dei quali i pazienti si fidano; da Ebay ad Amazon, passando per i più noti social network. A rendere ancora più evidente l'allarme sono altri due fenomeni, questa volta intercettati da Altroconsumo. In seguito a un'indagine condotta lo scorso anno è emerso che circa il 48% degli italiani ha l'abitudine di consumare i farmaci anche dopo la data di scadenza, mentre un altro 17% acquista confezioni con obbligo di prescrizione senza portare al farmacista la ricetta del medico, o consegnandola in un secondo momento. «Tutto questo avviene principalmente perché la percezione della pericolosità di questi comportamenti è ancora bassa», prosegue Scotti, «gli italiani tendono ad avere un rapporto superficiale con i farmaci. Inoltre il sistema di confezionamento e commercializzazione nel nostro Paese è sbagliato. Le farmacie vendono confezioni generiche, che contengono un numero standard di compresse. Questo vuol dire che quelle che rimangono dopo la fine della terapia restano in casa e possono essere utilizzate in seguito. Magari quando sono scadute. All'estero il sistema è molto diverso: i flaconi sono intestati al paziente e contengono soltanto il numero di compresse indicato dal medico».
Mario Venditti (Ansa)
Dopo lo scoop di «Panorama», per l’ex procuratore di Pavia è normale annunciare al gip la stesura di «misure coercitive», poi sparite con l’istanza di archiviazione. Giovanni Bombardieri, Raffaele Cantone, Nicola Gratteri e Antonio Rinaudo lo sconfessano.
L’ex procuratore aggiunto di Pavia, Mario Venditti, è inciampato nei ricordi. Infatti, non corrisponde al vero quanto da lui affermato a proposito di quella che appare come un’inversione a «u» sulla posizione di Andrea Sempio, per cui aveva prima annunciato «misure coercitive» e, subito dopo, aveva chiesto l’archiviazione. Ieri, l’ex magistrato ha definito una prassi scrivere in un’istanza di ritardato deposito delle intercettazioni (in questo caso, quelle che riguardavano Andrea Sempio e famiglia) che la motivazione alla base della richiesta sia il fatto che «devono essere ancora completate le richieste di misura coercitiva». Ma non è così. Anche perché, nel caso di specie, ci troviamo di fronte a un annuncio al giudice per le indagini preliminari di arresti imminenti che non arriveranno mai.
Alessia Pifferi (Ansa)
Cancellata l’aggravante dei futili motivi e concesse le attenuanti generiche ad Alessia Pifferi: condanna ridotta a soli 24 anni.
L’ergastolo? È passato di moda. Anche se una madre lascia morire di stenti la sua bambina di un anno e mezzo per andare a divertirsi. Lo ha gridato alla lettura della sentenza d’appello Viviana Pifferi, la prima accusatrice della sorella, Alessia Pifferi, che ieri ha schivato il carcere a vita. Di certo l’afflizione più grave, e che non l’abbandonerà finché campa, per Alessia Pifferi è se si è resa conto di quello che ha fatto: ha abbandonato la figlia di 18 mesi - a vederla nelle foto pare una bambola e il pensiero di ciò che le ha fatto la madre diventa insostenibile - lasciandola morire di fame e di sete straziata dalle piaghe del pannolino. Nel corso dei due processi - in quello di primo grado che si è svolto un anno fa la donna era stata condannata al carcere a vita - si è appurato che la bambina ha cercato di mangiare il pannolino prima di spirare.
Toga (iStock). Nel riquadro, Roberto Crepaldi
La toga progressista: «Voterò no, ma sono in disaccordo con il Comitato e i suoi slogan. Separare le carriere non mi scandalizza. Il rischio sono i pubblici ministeri fuori controllo. Serviva un Csm diviso in due sezioni».
È un giudice, lo anticipiamo ai lettori, contrario alla riforma della giustizia approvata definitivamente dal Parlamento e voluta dal governo, ma lo è per motivi diametralmente opposti rispetto ai numerosi pm che in questo periodo stanno gridando al golpe. Roberto Crepaldi ritiene, infatti, che l’unico rischio della legge sia quello di dare troppo potere ai pubblici ministeri.
Magistrato dal 2014 (è nato nel 1985), è giudice per le indagini preliminari a Milano dal 2019. Professore a contratto all’Università degli studi di Milano e docente in numerosi master, è stato componente della Giunta di Milano dell’Associazione nazionale magistrati dal 2023 al 2025, dove è stato eletto come indipendente nella lista delle toghe progressiste di Area.
Antonella Sberna (Totaleu)
Lo ha dichiarato la vicepresidente del Parlamento Ue Antonella Sberna, in un'intervista a margine dell'evento «Facing the Talent Gap, creating the conditions for every talent to shine», in occasione della Gender Equality Week svoltasi al Parlamento europeo di Bruxelles.






