2020-10-07
Fanno i paladini dello stato di diritto e poi foraggiano eutanasia e nozze gay
Mark Rutte (Fiona Goodall/Getty Images)
I Paesi «frugali» vorrebbero imporre l'assegnazione dei soldi del Recovery fund in cambio di riforme che stravolgono la società.Soldi in cambio di riforme è un ritornello in voga ormai da molto tempo a Bruxelles. Ma stavolta la posta in palio rischia di essere molto più alta. E cioè la possibilità di sdoganare alcuni diritti, tra i quali rientrano l'eutanasia e i matrimoni tra persone dello stesso sesso, in quelle aree d'Europa che si dimostrano più recalcitranti a introdurli. Trasformando così il Recovery fund in un perfetto grimaldello in grado di introdurre un vero e proprio cambio di paradigma nella società. Un piano che vede protagonisti i Paesi «frugali» (Paesi Bassi, Austria, Danimarca e Svezia) capitanati del premier olandese Mark Rutte, quelli cioè che mal tollerano la generosità giudicata eccessiva da parte dell'Unione europea e si battono per fissare tutta una serie di paletti per regolarne l'accesso ai potenziali beneficiari. Riforme principalmente, ma anche l'obbligo di spendere le somme assegnate in via prioritaria nell'ambito di determinati settori. Basti pensare al green deal, o all'agenda digitale, due voci che da sole assorbono quasi il 60% dei fondi. Fin qui nulla di nuovo sotto il sole. Nelle ultime settimane, però, il vero banco di prova è un altro, e si chiama rispetto dello stato di diritto. Nemmeno in questo caso parliamo di una novità assoluta. Non bisogna dimenticare, infatti, che «Next generation Eu» (questo il nome ufficiale del Recovery fund, ndr) rappresenta una gemmazione del bilancio pluriennale dell'Unione europea, e da tempo si discute circa l'opportunità di introdurre una valvola per escludere dai fondi i Paesi ritenuti trasgressori. Non è solo l'idea di giustizia tipica delle democrazie liberali a tenere banco. Sul piatto, infatti, c'è molto di più. Prima di tutto, i diritti della categoria Lgbtq, cioè lesbiche, gay, bisessuali, transessuali e queer (cioè né eterosessuale né cisgender). Già da alcuni mesi esiste un progetto per tagliare gli stanziamenti del Recovery fund a favore della Polonia qualora questa non si decida a stralciare le leggi giudicate omofobe. Un concetto espresso tramite nemmeno tanto velate minacce all'indirizzo dei governatori di cinque province polacche i quali avevano dichiarato le loro regioni «libere da Lgbt», e destinatari a giugno di una lettera firmata da alcuni funzionari Ue. Tanto per ribadire il concetto, a metà settembre il presidente Ursula von der Leyen ha affermato durante il discorso sullo Stato dell'Unione che «le zone Lgbtq-free non trovano spazio nell'Unione», per poi aggiungere che «proporremo di allungare la lista dei crimini di incitamento all'odio, sia che si tratti di matrice razziale, di genere o di orientamento sessuale, l'odio non va tollerato». «L'Europa ricatta Paesi che non riconoscono questo tipo di unione», così Marco Cobianchi pochi giorni fa su Italia Oggi, «imponendogli di inserire nella propria legislazione “diritti" che quei governi legittimi (nel senso di legittimamente eletti) non intendono riconoscere sennò il Recovery fund se lo possono scordare». C'è chi sostiene, però, che questa partita vada ben oltre il semplice tentativo di forzare l'agenda delle libertà sessuali. A scavare un solco giudicato ormai «incolmabile» tra i Paesi protestanti e quelli cattolici «oltre ai matrimoni gay, per la verità, c'è ben altro», ha scritto Tino Oldani sempre su Italia Oggi. E cioè la possibilità di introdurre l'eutanasia nell'ordinamento civile. Cosa che si sta provando a fare - pur con mille resistenze - nei Paesi Bassi, dove è stato depositato un disegno di legge sulla «vita compiuta», ovvero la possibilità di chiedere il suicidio assistito a 75 anni, a prescindere dalle proprie condizioni di salute.Come si è arrivati a questo punto? Nei lunghi mesi del negoziato che ha portato all'adozione del Recovery fund, il circoletto dei «frugali» ha cercato di opporsi in tutti i modi all'introduzione di questo strumento per la ripresa. Poi i quattro hanno capito che avrebbero potuto esercitare diversamente la loro influenza, sfruttando la clausola del rispetto dello stato di diritto a proprio vantaggio. O meglio, a scapito di un gruppo di avversari, rappresentati principalmente dal blocco di Visegrad, cioè Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia. Nella prima formulazione dell'accordo sul Recovery fund elaborata a luglio, la clausola del rispetto dello stato di diritto era stata giudicata troppo generica dai «frugali», ragion per cui nei mesi successivi si è instaurata una battaglia per rendere più severa la condizionalità legata a questo parametro. Ora i negoziati sono in stallo, dal momento che a fine settembre la proposta di mediazione formulata dalla presidenza tedesca è passata, ma con i voti contrari dei quattro, che insistono nel chiedere l'adozione di un impianto sanzionatorio ancora più stringente e severo nei confronti di chi viola lo stato di diritto. Un aspetto sul quale si gioca, letteralmente, il futuro dell'Unione europea.
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