2021-04-07
Follia pandemica. I fan spendono più di 1.000 euro per chattare con le star
(Ansa, Getty Images)
«Senza fan non c'è guadagno». È questo il motto alla base della fan economy, una sfaccettatura dell'economia che studia le rendite di attori, cantanti e influencer, in base alle vendite di prodotti che portano il loro nome o marchio e generate principalmente dalle loro fan base.
Il concetto di per sé è semplicissimo ed esiste da sempre ma con l'avvento del Covid-19 e l'interruzione forzata delle esperienze dal vivo, sta assumendo un valore nuovo. Nata come un fenomeno sfruttato da alcuni cantanti come Madonna o Michael Jackson, la fan economy negli ultimi anni si è imposta fino a diventare, nel 2020, una delle principali fonti di guadagno per gli artisti di tutto il mondo. Il concetto è semplice: l'artista oltre a promuovere il suo nuovo prodotto (un album, un singolo musicale, un nuovo film o una serie tv di cui fa parte) crea prodotti e gadget in grado di coprire varie fasce di prezzo (di solito dai 10 euro fino ai 100) ed esperienze (oggi virtuali) collegate al lancio del nuovo progetto. Attraverso i social network e una fitta rete di promozione, composta dai media classici ma soprattutto dai contatti con i fan base master (ovvero chi gestisce internamente l'organizzazione dei gruppi di fan, ndr.) crea il cosiddetto hype ovvero la voglia di avere a tutti i costi quel prodotto per supportare la celebrity preferita. Si crea così una rete fittissima che da una parte fidelizza ancora di più il gruppo di fan e dall'altra genera guadagno.
Nel 2018, in tempi in cui una pandemia globale era un'eventualità più che remota, un idol cinese Fan Chengcheng decise di aprire un servizio a pagamento per i suoi fan utilizzando la piattaforma social Weibo. Pagando circa 10 euro ogni sei mesi, i fan avrebbero avuto accesso a immagini esclusive, in altissima definizione. L'unica richiesta dell'idol cinese era quella di non condividere le foto al di fuori della piattaforma con chi non aveva pagato il servizio. Una richiesta semplicissima che, in una notte, ha generato un guadagno di circa 1.000 euro.
A comprendere il potere delle fandom, come generalmente ci si riferisce ai gruppi di fan più numerosi, sono soprattutto gli artisti di nuova generazione. Taylor Swift, Justin Bieber, BTS (e con loro tutti i gruppi e artisti coreani) hanno ben chiaro che per alzare le vendite devono proporre qualcosa che ai fan sembri unico e raro. O accattivante. Ecco dunque che Taylor Swift, per prima, ha lanciato la formula degli album prodotti in più versioni, tutte diverse tra loro, al cui interno si possono trovare gadget sempre diversi. A random. Una strategia, questa, utilizzata anche dai BTS che oltre a produrre più versioni dello stesso cd possono avvalersi del fatto che, all'interno del cofanetto, si può trovare una tra otto card fotografiche diverse (7 membri + una di gruppo). Il gioco vale la candela: perché in questo modo si spingono i fan da tutto il mondo ad acquistare non solo tutte le copie degli album, ma anche più di una, tutto pur di aumentare le possibilità di scovare la propria foto preferita. Con buona pace dei propri risparmi che sono i primi a subire da questa "fame" di collezionismo esplosa ancor di più con la pandemia.
Proprio la k-pop band coreana dei Bangtan Sonyeondan è uno dei modelli a cui oggi si guarda con più interesse quando si parla di fan economy. Nel 2020 il gruppo, composto a sette membri, era ai blocchi di partenza con un tour pronto a infrangere tutti i record a livello di sold out e vendite correlate. Poi è arrivato il Covid. La chiusura degli stadi. La sospensione di tutte le attività. Nonostante il danno, la società di intrattenimento dietro i BTS, la Big Hit Entertainment, ora Hybe, ha riportato profitti record nel bel mezzo di una pandemia globale. «Abbiamo creato entrate con le vendite degli album, lo streaming, i concerti online, il merch e i contenuti video» ha spiegato il presidente e amministratore delegato della società, Bang Si-Hyuk, che ha ribadito come «Nonostante le difficoltà, ci siamo concentrati su ciò che abbiamo sempre apprezzato: i fan e i contenuti».
La vera forza della fan economy, e al tempo stesso il suo punto debole, è la capacità dell'artista di far sentire il fan parte della propria vita. Se su questo aspetto le Kardashian hanno costruito un vero e proprio impero, Justin Bieber e Logan Paul sono due esempi lampanti di come l'oversharing, ovvero il riempire di contenuti i propri fan sui social media, sia una delle tecniche migliori per fidelizzare i propri supporter. Drew e Maverick, i brand rispettivamente di Bieber e Paul, sono oggi tra i marchi social più richiesti e gettonati. Quello che pubblicano va sold out nel giro di pochi minuti. E poco importa che si viva dall'altra parte del mondo e le spese di spedizione - e l'annesso rischio di dazi doganali - siano elevatissimi: pur di avere la felpa o i calzini indossati dai propri idol tutto è concesso. Semplice, veloce, come inviare un post su Instagram, come ha ammesso candidamente lo stesso Logan Paul affermando che «con il mio brand riesco a fare milioni senza fare nulla»
Parlando di numeri, uno studio condotto da iPrice ha sottolineato come, nel 2020, un fan abbia speso in media 1.000 euro circa per supportare il proprio beniamino acquistando biglietti per concerti o fan meet virtuali, ma soprattutto merchandise ufficiale. Con un'eccezione: i fan del k-pop spendono in media circa 200 euro in più, gli Army (la fandom dei BTS) ne spende invece fino a 500 in più della media. Guardando più attentamente ai numeri, se nel caso degli influencer a vendere sono soprattutto le membership ai fan club ufficiali e il merchandise, per quanto riguarda i musicisti occidentali gli album - fisici e digitali - restano ancora oggi il primo canale di guadagno con il 70% del budget annuale destinato all'acquisto di una o più copie. Diverso è invece l'approccio con le band orientali: i fan delle Blackpink, uno dei gruppi femminili coreani più famosi, prediligono spendere per oggetti indossati dalle proprie beniamine (30%) o per il merch ufficiale del gruppo (56%). Lo stesso ragionamento vale per i BTS. Uno dei membri, il più piccolo del gruppo, è stato rinominato il sold out boy per la capacita di mandare esaurito ogni tipo di prodotto nel giro di poche ore. Nell'ultimo periodo, è toccato nell'ordine a un braccialetto simile ai rosari buddisti, creato da un'associazione benefica e a delle bustine di kombucha. In entrambi i casi i prodotti sono andati esauriti in tutto il mondo, e da una notte all'altra le piccole aziende si sono ritrovate sommerse da richieste di ordini da ogni angolo del pianeta.
In tempi di pandemia addio ai fan meeting: i propri beniamini si incontrano in chat

Un tempo c'erano i fan meeting. Oggi ci sono le app, simili a Whatsapp, in cui si può chattare con il proprio idol preferito. È il caso di Bubble, una piattaforma creata dalla JYPE, una delle agenzie di intrattenimento coreane più famose che consente, attraverso la sottoscrizione di un abbonamento, di poter entrare in contatto in chat con gli idol dell'etichetta.
Il costo del servizio oscilla tra i 3.99 e 25.49 dollari e varia in base al numero di ticket che ti acquistano e al gruppo che si sceglie. Tra i servizi che vengono offerti c'è quello del messaggio di buongiorno, inviato ogni mattina dall'idol prescelto, personalizzato con il proprio nome, gli auguri di compleanno, dediche speciali e la possibilità di chattare e ottenere risposte nella propria lingua.
Qualcosa di simile più a un gioco è invece Universe, un'app in cui vengono inseriti anche in questo caso a pagamento, contenuti audio, video e fotografici sul mondo del k-pop. Tra gli artisti presenti, e più richiesti, c'è anche il giovanissimo Cha Eun-woo, attore e membro della boy band Astro.
A rimanere l'app più di successo è però Weverse, creata dalla ex Big Hit Entertainment e casa dei BTS, dei TXT e degli Enhypen. L'app, oggi ospita molteplici attori e cantanti ed è vista come il punto di riferimento per chi vuole rimanere in contatto con i propri beniamini anche in tempi di lockdown. Weverse funziona come una bacheca digitale in cui tutti, previa iscrizione gratuita, possono lasciare messaggi, ottenere reazioni e commenti da utenti da tutto il mondo e sperare di essere notati dal proprio cantante o attore preferito.
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Justin Bieber, i BTS e Taylor Swift sono solo alcuni degli artisti il cui successo universale sfrutta i gruppi di appassionati. La vendita di gadget, album e incontri virtuali è divenuta la principale fonte di guadagno per il mondo dello spettacolo.Bubble, Universe, Weverse. Sono le app più richieste per tenere un filo diretto con cantanti e attori. Pagando una somma mensile si può addirittura ricevere il buongiorno personalizzato ogni mattina. Lo speciale comprende due articoli.«Senza fan non c'è guadagno». È questo il motto alla base della fan economy, una sfaccettatura dell'economia che studia le rendite di attori, cantanti e influencer, in base alle vendite di prodotti che portano il loro nome o marchio e generate principalmente dalle loro fan base. Il concetto di per sé è semplicissimo ed esiste da sempre ma con l'avvento del Covid-19 e l'interruzione forzata delle esperienze dal vivo, sta assumendo un valore nuovo. Nata come un fenomeno sfruttato da alcuni cantanti come Madonna o Michael Jackson, la fan economy negli ultimi anni si è imposta fino a diventare, nel 2020, una delle principali fonti di guadagno per gli artisti di tutto il mondo. Il concetto è semplice: l'artista oltre a promuovere il suo nuovo prodotto (un album, un singolo musicale, un nuovo film o una serie tv di cui fa parte) crea prodotti e gadget in grado di coprire varie fasce di prezzo (di solito dai 10 euro fino ai 100) ed esperienze (oggi virtuali) collegate al lancio del nuovo progetto. Attraverso i social network e una fitta rete di promozione, composta dai media classici ma soprattutto dai contatti con i fan base master (ovvero chi gestisce internamente l'organizzazione dei gruppi di fan, ndr.) crea il cosiddetto hype ovvero la voglia di avere a tutti i costi quel prodotto per supportare la celebrity preferita. Si crea così una rete fittissima che da una parte fidelizza ancora di più il gruppo di fan e dall'altra genera guadagno.Nel 2018, in tempi in cui una pandemia globale era un'eventualità più che remota, un idol cinese Fan Chengcheng decise di aprire un servizio a pagamento per i suoi fan utilizzando la piattaforma social Weibo. Pagando circa 10 euro ogni sei mesi, i fan avrebbero avuto accesso a immagini esclusive, in altissima definizione. L'unica richiesta dell'idol cinese era quella di non condividere le foto al di fuori della piattaforma con chi non aveva pagato il servizio. Una richiesta semplicissima che, in una notte, ha generato un guadagno di circa 1.000 euro.A comprendere il potere delle fandom, come generalmente ci si riferisce ai gruppi di fan più numerosi, sono soprattutto gli artisti di nuova generazione. Taylor Swift, Justin Bieber, BTS (e con loro tutti i gruppi e artisti coreani) hanno ben chiaro che per alzare le vendite devono proporre qualcosa che ai fan sembri unico e raro. O accattivante. Ecco dunque che Taylor Swift, per prima, ha lanciato la formula degli album prodotti in più versioni, tutte diverse tra loro, al cui interno si possono trovare gadget sempre diversi. A random. Una strategia, questa, utilizzata anche dai BTS che oltre a produrre più versioni dello stesso cd possono avvalersi del fatto che, all'interno del cofanetto, si può trovare una tra otto card fotografiche diverse (7 membri + una di gruppo). Il gioco vale la candela: perché in questo modo si spingono i fan da tutto il mondo ad acquistare non solo tutte le copie degli album, ma anche più di una, tutto pur di aumentare le possibilità di scovare la propria foto preferita. Con buona pace dei propri risparmi che sono i primi a subire da questa "fame" di collezionismo esplosa ancor di più con la pandemia.Proprio la k-pop band coreana dei Bangtan Sonyeondan è uno dei modelli a cui oggi si guarda con più interesse quando si parla di fan economy. Nel 2020 il gruppo, composto a sette membri, era ai blocchi di partenza con un tour pronto a infrangere tutti i record a livello di sold out e vendite correlate. Poi è arrivato il Covid. La chiusura degli stadi. La sospensione di tutte le attività. Nonostante il danno, la società di intrattenimento dietro i BTS, la Big Hit Entertainment, ora Hybe, ha riportato profitti record nel bel mezzo di una pandemia globale. «Abbiamo creato entrate con le vendite degli album, lo streaming, i concerti online, il merch e i contenuti video» ha spiegato il presidente e amministratore delegato della società, Bang Si-Hyuk, che ha ribadito come «Nonostante le difficoltà, ci siamo concentrati su ciò che abbiamo sempre apprezzato: i fan e i contenuti».La vera forza della fan economy, e al tempo stesso il suo punto debole, è la capacità dell'artista di far sentire il fan parte della propria vita. Se su questo aspetto le Kardashian hanno costruito un vero e proprio impero, Justin Bieber e Logan Paul sono due esempi lampanti di come l'oversharing, ovvero il riempire di contenuti i propri fan sui social media, sia una delle tecniche migliori per fidelizzare i propri supporter. Drew e Maverick, i brand rispettivamente di Bieber e Paul, sono oggi tra i marchi social più richiesti e gettonati. Quello che pubblicano va sold out nel giro di pochi minuti. E poco importa che si viva dall'altra parte del mondo e le spese di spedizione - e l'annesso rischio di dazi doganali - siano elevatissimi: pur di avere la felpa o i calzini indossati dai propri idol tutto è concesso. Semplice, veloce, come inviare un post su Instagram, come ha ammesso candidamente lo stesso Logan Paul affermando che «con il mio brand riesco a fare milioni senza fare nulla»Parlando di numeri, uno studio condotto da iPrice ha sottolineato come, nel 2020, un fan abbia speso in media 1.000 euro circa per supportare il proprio beniamino acquistando biglietti per concerti o fan meet virtuali, ma soprattutto merchandise ufficiale. Con un'eccezione: i fan del k-pop spendono in media circa 200 euro in più, gli Army (la fandom dei BTS) ne spende invece fino a 500 in più della media. Guardando più attentamente ai numeri, se nel caso degli influencer a vendere sono soprattutto le membership ai fan club ufficiali e il merchandise, per quanto riguarda i musicisti occidentali gli album - fisici e digitali - restano ancora oggi il primo canale di guadagno con il 70% del budget annuale destinato all'acquisto di una o più copie. Diverso è invece l'approccio con le band orientali: i fan delle Blackpink, uno dei gruppi femminili coreani più famosi, prediligono spendere per oggetti indossati dalle proprie beniamine (30%) o per il merch ufficiale del gruppo (56%). Lo stesso ragionamento vale per i BTS. Uno dei membri, il più piccolo del gruppo, è stato rinominato il sold out boy per la capacita di mandare esaurito ogni tipo di prodotto nel giro di poche ore. Nell'ultimo periodo, è toccato nell'ordine a un braccialetto simile ai rosari buddisti, creato da un'associazione benefica e a delle bustine di kombucha. In entrambi i casi i prodotti sono andati esauriti in tutto il mondo, e da una notte all'altra le piccole aziende si sono ritrovate sommerse da richieste di ordini da ogni angolo del pianeta. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="True" data-href="https://www.laverita.info/fan-economy-2651375061.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="in-tempi-di-pandemia-addio-ai-fan-meeting-i-propri-beniamini-si-incontrano-in-chat" data-post-id="2651375061" data-published-at="1617802823" data-use-pagination="False"> In tempi di pandemia addio ai fan meeting: i propri beniamini si incontrano in chat Un tempo c'erano i fan meeting. Oggi ci sono le app, simili a Whatsapp, in cui si può chattare con il proprio idol preferito. È il caso di Bubble, una piattaforma creata dalla JYPE, una delle agenzie di intrattenimento coreane più famose che consente, attraverso la sottoscrizione di un abbonamento, di poter entrare in contatto in chat con gli idol dell'etichetta. Il costo del servizio oscilla tra i 3.99 e 25.49 dollari e varia in base al numero di ticket che ti acquistano e al gruppo che si sceglie. Tra i servizi che vengono offerti c'è quello del messaggio di buongiorno, inviato ogni mattina dall'idol prescelto, personalizzato con il proprio nome, gli auguri di compleanno, dediche speciali e la possibilità di chattare e ottenere risposte nella propria lingua. Qualcosa di simile più a un gioco è invece Universe, un'app in cui vengono inseriti anche in questo caso a pagamento, contenuti audio, video e fotografici sul mondo del k-pop. Tra gli artisti presenti, e più richiesti, c'è anche il giovanissimo Cha Eun-woo, attore e membro della boy band Astro. A rimanere l'app più di successo è però Weverse, creata dalla ex Big Hit Entertainment e casa dei BTS, dei TXT e degli Enhypen. L'app, oggi ospita molteplici attori e cantanti ed è vista come il punto di riferimento per chi vuole rimanere in contatto con i propri beniamini anche in tempi di lockdown. Weverse funziona come una bacheca digitale in cui tutti, previa iscrizione gratuita, possono lasciare messaggi, ottenere reazioni e commenti da utenti da tutto il mondo e sperare di essere notati dal proprio cantante o attore preferito.
(Apple Tv)
Non è affatto detto che sia così perché, dietro l’obiettivo di rovesciare le formule della fantascienza, si nasconde l’ambizione di una riflessione sul rapporto tra benessere collettivo e libertà individuale, tra felicità globale e identità personale. Il tutto proposto con grande cura formale, ottime musiche e qualche lungaggine autoriale. Possibili, lontani, riferimenti: Lost, per i prologhi spiazzanti e i flashback, Truman Show, per la solitudine e l’apparenza stranianti, Black Mirror, per la cornice distopica. Ma la mano dell’ideatore è inconfondibile.
Ci troviamo ad Albuquerque, la città del New Mexico già teatro dei precedenti plot di Gilligan, ma stavolta la vicenda è tutt’altra. Siamo in un futuro progredito e un certo rigore si è già radicato nella quotidianità. Per esempio, l’avviamento delle auto di ultima generazione è collegato alla prova di sobrietà del palloncino: se si è stati al pub, l’auto non parte. Individuato da un gruppo di astronomi, un virus Rna proveniente dallo spazio, trasmesso in laboratorio da un topo e contagiato tramite baci e alimenti, rende gli esseri umani felici, gentili e samaritani con il prossimo. Le persone agiscono come un’unica mente collettiva, ma non a causa di un’invasione aliena, tipo L’invasione degli ultracorpi, bensì per il fatto che «noi siamo noi», garantisce un politico che parla dalla Casa Bianca, anche se non è il presidente. «Gli scienziati hanno creato in laboratorio una specie di virus, più precisamente una colla mentale capace di tenerci legati tutti insieme». In questo mondo, non esiste il dolore, non si registrano reati, le prigioni sono vuote, le strade non sono mai congestionate, regna la pace. Tutto è perfetto e patinato, perché la contraddizione non esiste. Debellata, dietro una maschera suadente. La colla mentale dispone alla benevolenza e alla correttezza le persone. Che però non possono scegliere, ma agire solo in base a un «imperativo genetico». Soltanto 12 persone in tutto il Pianeta sono immuni al contagio. Ma mentre undici sembrano disposte a recepirlo, l’unica che si ribella è Carol Sturka (Reha Seehorn), una scrittrice di romanzi per casalinghe sentimentali. Cinica, diffidente, omosex e discretamente testarda, malgrado vicini, conoscenti e certi soccorritori ribadiscano le loro buone intenzioni - «vogliamo solo renderti felice» - lei non vuole assimilarsi ed essere rieducata dal virus dei buoni. I quali, ogni volta che lei respinge bruscamente le loro attenzioni, restano paralizzati in strane convulsioni, alimentando i suoi sensi di colpa. Il prezzo della libertà è una solitudine sterminata, addolcita dal fatto che, componendo un numero di telefono, può vedere esaudito ogni desiderio: cibi speciali, cene su terrazze panoramiche, giornate alle terme, Rolls Royce fiammanti. Quando si imbatte in qualche complicazione è immediatamente soccorsa da Zosia (Karolina Wydra), volto seducente della mente collettiva, o da un drone, tempestivo nel recapitarle a domicilio la più bizzarra delle richieste. A Carol è anche consentito di interagire con gli altri umani esenti dal contagio. Che però non condividono il suo progetto di ribellione alla felicità coatta: tocca a noi riparare il mondo. «Perché? La situazione sembra ideale, non ci sono guerre, viviamo tranquilli», ribatte un viveur che sfrutta ogni lusso e privilegio concesso dalla mente collettiva.
L’idea di questa serie risale a circa otto o nove anni fa, ha raccontato Gilligan in un’intervista. «In quel periodo io e Peter Gould (il suo principale collaboratore, ndr.) avevamo iniziato a lavorare a Better Call Saul e ci divertivamo parecchio. Durante le pause pranzo avevo l’abitudine di vagare nei dintorni dell’ufficio immaginando un personaggio maschile con cui tutti erano gentili. Tutti lo amavano e non importa quanto lui potesse essere scortese, tutti continuavano a trattarlo bene». Poi, nella ricerca del perché di questa inspiegabile gentilezza, la storia si è arricchita e al posto di un protagonista maschile si è imposta la figura della scrittrice interpretata da Reha Seehorn, già nel cast di Better Call Saul. Su di lei, a lungo sola in scena, si regge lo sviluppo del racconto. A un certo punto, provata dalla solitudine, ma senza voler smettere d’indagare anche perché incoraggiata dalle prime inquietanti scoperte, Carol cambia strategia, smorzando la sua ostilità…
Il titolo della serie deriva da «E pluribus unum», cioè «da molti, uno», antico motto degli Stati Uniti, proposto il 4 luglio 1776 per simboleggiare l’unione delle prime 13 colonie in una sola nazione. Gilligan ha trasferito la suggestione di quel motto a una dimensione esistenziale e filosofica, inscenando una sorta di apocalisse dolce per riflettere sulla problematica convivenza tra singolo e collettività. Per questo, in origine, Plur1bus era scritto con l’1 al posto della «i».
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Emmanuel Macron (Ansa)
La sola istanza che ha una parvenza di rappresentanza è il Palamento europeo. Così il Mercosur, il mega accordo commerciale con Brasile, Argentina, Uruguay e Paraguay, più annessi, che deve creare un’area di libero scambio da 700 milioni di persone che Ursula von der Leyen vuole a ogni costo per evitare che Javier Milei faccia totalmente rotta su Donald Trump, che il Brasile si leghi con la Cina e che l’Europa dimostri la sua totale ininfluenza, rischia di crollare e di portarsi dietro, novello Sansone, i filistei dell’eurocrazia.
Il Mercosur ieri ha fatto due passi indietro. Il Parlamento europeo con ampia maggioranza (431 voti a favore Pd in prima fila, 161 contrari e 70 astensioni, Ecr-Fratelli d’Italia fra questi, i lepenisti e la Lega hanno votato contro) ha messo la Commissione con le spalle al muro. Il Mercosur è accettabile solo se ci sono controlli stringenti sui requisiti ambientali, di benessere animale, di salubrità, di rispetto etico e di sicurezza alimentare dei prodotti importati (è la clausola di reciprocità), se c’è una clausola di salvaguardia sulle importazioni di prodotti sensibili tra cui pollame o carne bovina. Se l’import aumenta del 5% su una media triennale si torna ai dazi. Le indagini devono essere fatte al massimo in tre mesi e la sospensione delle agevolazioni deve essere immediata. Tutti argomenti che la Von der Leyen mai ha inserito nell’accordo. Ma sono comunque sotto il minimo sindacale richiesto da Polonia, Ungheria e Romania che sono contrarie da sempre e richiesto ora dalla Francia che ha detto: «Così com’è l’accordo non è accattabile».
Sono le stesse perplessità dell’Italia. Oggi la Commissione dovrebbe incontrare il Consiglio europeo per avviare la trattativa e andare, come vuole Von der Leyen, alla firma definitiva prima della fine dell’anno. La baronessa aveva già prenotato il volo per Rio per domani, ma l’hanno bloccata all’imbarco! Perché Parigi chiede la sospensione della trattativa. La ragione è che gli agricoltori francesi stanno bloccando il Paese: ieri le quattro principali autostrade sono state tenute in ostaggio da trattori che sono tornati a scaricare il letame sulle prefetture. Il primo ministro Sébastien Lecornu ha tenuto un vertice sul Mercosur incassando un no deciso da Jean-Luc Mélenchon, da Marine Le Pen ma anche dai repubblicani di Bruno Retailleau che è anche ministro dell’interno.
Domani, peraltro, a Bruxelles sono attesi almeno diecimila agricoltori- la Coldiretti è la prima a sostenere questa manifestazione - che con un migliaio di trattori assedieranno Bruxelles. L’Italia riflette, ma è invitata a fare minoranza di blocco dalla Polonia; la Francia vuole una mano per il rinvio. Certo che il Mercosur divide: la Coldiretti ha rimproverato il presidente di Federalimentare Paolo Mascarino che invece vuole l’accordo (anche l’Unione italiana vini spinge) di tradire la causa italiana. Chi invece vuole il Mercosur a ogni costo sono la Germania che deve vendere le auto che non smercia più (grazie al Green deal), la Danimarca che ha la presidenza di turno e vuole lucrare sull’import, l’Olanda che difende i suoi interessi commerciali e finanziari.
C’è un’evidente frattura tra l’Europa che fa agricoltura e quella che vuole usare l’agricoltura come merce di scambio. Le prossime ore potrebbero essere decisive non solo per l’accordo - comunque deve passare per la ratifica finale dall’Eurocamera - ma per i destini dell’Ue.
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Ursula von der Leyen (Ansa)
Questo allentamento delle norme consente che nuove auto con motore a combustione interna possano ancora essere immatricolate nell’Ue anche dopo il 2035. Non sono previste date successive in cui si arrivi al 100% di riduzione delle emissioni. Il presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, ha naturalmente magnificato il ripensamento della Commissione, affermando che «mentre la tecnologia trasforma rapidamente la mobilità e la geopolitica rimodella la competizione globale, l’Europa rimane in prima linea nella transizione globale verso un’economia pulita». Ursula 2025 sconfessa Ursula 2022, ma sono dettagli. A questo si aggiunge la dichiarazione del vicepresidente esecutivo Stéphane Séjourné, che ha definito il pacchetto «un’ancora di salvezza per l’industria automobilistica europea». Peccato che, in conferenza stampa, a nessuno sia venuto in mente di chiedere a Séjourné perché si sia arrivati alla necessità di un’ancora di salvezza per l’industria automobilistica europea. Ma sono altri dettagli.
L’autorizzazione a proseguire con i motori a combustione (inclusi ibridi plug-in, mild hybrid e veicoli con autonomia estesa) è subordinata a condizioni stringenti, perché le emissioni di CO2 residue, quel 10%, dovranno essere compensate. I meccanismi di compensazione sono due: 1) utilizzo di e-fuel e biocarburanti fino a un massimo del 3%; 2) acciaio verde fino al 7% delle emissioni. Il commissario Wopke Hoekstra ha spiegato infatti che la flessibilità è concessa a patto che sia «compensata con acciaio a basse emissioni di carbonio e l’uso di combustibili sostenibili per abbattere le emissioni».
Mentre Bruxelles celebra questa minima flessibilità come una vittoria per l’industria, il mondo reale offre un quadro ben più drammatico. Ieri Volkswagen ha ufficialmente chiuso la sua prima fabbrica tedesca, la Gläserne Manufaktur di Dresda, che produceva esclusivamente veicoli elettrici (prima la e-Golf e poi la ID.3). Le ragioni? Il rallentamento delle vendite di auto elettriche. La fabbrica sarà riconvertita in un centro di innovazione, lasciando 230 dipendenti in attesa di ricollocamento. Dall’altra parte dell’Atlantico, la Ford Motor Co. ha annunciato che registrerà una svalutazione di 19,5 miliardi di dollari legata al suo business dei veicoli elettrici. L’azienda ha perso 13 miliardi nel suo settore Ev dal 2023, perdendo circa 50.000 dollari per ogni veicolo elettrico venduto l’anno scorso. Ford sta ora virando verso ibridi e veicoli a benzina, eliminando il pick-up elettrico F-150 Lightning.
La crisi dell’auto europea non si risolve certo con questa trovata dell’ultima ora. Nonostante gli sforzi e i supercrediti di CO2 per le piccole auto elettriche made in Eu, la domanda di veicoli elettrici è debole. Questa nuova apertura, ottenuta a fatica, non sarà sufficiente a salvare il settore automobilistico europeo di fronte alla concorrenza cinese e al disinteresse dei consumatori. Sarebbe stata più opportuna un’eliminazione radicale e definitiva dell’obbligo di zero emissioni per il 2035, abbracciando una vera neutralità tecnologica (che includa ad esempio i motori a combustione ad alta efficienza di cui parlava anche il cancelliere tedesco Friedrich Merz). «La Commissione oggi fa un passo avanti verso la razionalità, verso il mercato, verso i consumatori ma servirà tanto altro per salvare il settore. Soprattutto servirà una Commissione che non chiuda gli occhi davanti all’evidenza», ha affermato l’assessore allo Sviluppo economico di Regione Lombardia Guido Guidesi, anche presidente dell’Automotive Regions Alliance. La principale federazione automobilistica tedesca, la Vda, ha detto invece che la nuova linea di Bruxelles ha il merito di riconoscere «l’apertura tecnologica», ma è «piena di così tanti ostacoli che rischia di essere inefficace nella pratica». Resta il problema della leggerezza con cui a Bruxelles si passa dalla definizione di regole assurde e impraticabili al loro annacquamento, dopo che danni enormi sono stati fatti all’industria e all’economia. Peraltro, la correzione di rotta non è affatto un liberi tutti. La riduzione del 100% delle emissioni andrà comunque perseguita al 90% con le auto elettriche. «Abbiamo valutato che questa riduzione del 10% degli obiettivi di CO2, dal 100% al 90%, consentirà flessibilità al mercato e che circa il 30-35% delle auto al 2035 saranno non elettriche, ma con tecnologie diverse, come motori a combustione interna, ibridi plug-in o con range extender» ha detto il commissario europeo ai Trasporti Apostolos Tzizikostas in conferenza stampa. Può darsi che sarà così, ma il commissario greco si è dimenticato di dire che quasi certamente si tratterà di auto cinesi.
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(Totaleu)
Lo ha dichiarato l'europarlamentare di Fratelli d'Italia durante un'intervista a margine dell’evento «Con coraggio e libertà», dedicato alla figura del giornalista e reporter di guerra Almerigo Grilz.