2023-01-10
Vaccini, Facebook censurava le notizie vere
Nuovi documenti svelano le pressioni della Casa Bianca affinché il social eliminasse informazioni scomode sui farmaci a mRna. Un dirigente: «Rimuoveremo i contenuti veritieri ma allarmanti». Gli uomini di Joe Biden sorvegliavano anche Whatsapp e Youtube. Ormai, la notizia sarebbe se un social non avesse censurato le informazioni scomode sulla pandemia. Dopo i Twitter files, arriva la conferma che anche Facebook s’è piegato alle indebite pressioni della Casa Bianca. E non per rimuovere post palesemente falsi e fuorvianti, bensì per cassare «contenuti spesso veri», che potevano essere presentati in modo «sensazionalistico, allarmistico, o scioccante». A simili condizioni, condividere un articolo sulle miocarditi postvaccino poteva bastare per finire tra le grinfie degli inquisitori di Mark Zuckerberg. Ecco cosa significa «postverità»: la veridicità di una notizia non è più sufficiente per poterla trasmettere liberamente. Non se essa disturba i manovratori. L’episodio di quelli che, per analogia, potremmo battezzare i Facebook files, nasce dai documenti pubblicati il 6 gennaio, nell’ambito del processo Missouri vs Biden, che vede coinvolti i procuratori generali dell’omonimo Stato e della Louisiana, oltre a quattro ricorrenti rappresentanti dalla New civil liberties alliance. Tutti schierati contro presunte violazioni della libertà d’espressione da parte dell’amministrazione democratica statunitense. Le carte, il cui oggetto è stato descritto dal Wall Street Journal, riguardano alcuni scambi di email tra Rob Flaherty, direttore dei media digitali alla Casa Bianca, e un dirigente del social di Zuckerberg, il cui nome non è stato però reso noto. Ne emergono le pesanti e minacciose pressioni dell’esecutivo, affinché Facebook intervenisse sui post riguardanti l’efficacia e la sicurezza dei vaccini. Il 14 marzo 2021, il funzionario governativo scriveva al dipendente della piattaforma, linkando un articolo del Washington Post dedicato alla «diffusione di idee che contribuiscono all’esitazione vaccinale» su Facebook. «Credo ci sia un’incomprensione», cercava di giustificarsi il dirigente, che però veniva subito rimesso in riga: «Siamo seriamente preoccupati dal fatto che il vostro servizio sia uno degli elementi chiave che spingono l’esitazione vaccinale. Vogliamo sapere», tuonava Flaherty, manco fosse la Casa Bianca a stabilire cosa può e non può comparire sulle bacheche Web, «che ci state lavorando, vogliamo sapere come possiamo aiutarvi e vogliamo sapere che non state facendo il gioco delle tre carte». A buon intenditor, poche parole. Anche se, di parole, l’uomo di Joe Biden ne ha spese parecchie, nei giorni e nei mesi a seguire.Già il 21 marzo, Facebook chinava il capo. In una mail, il misterioso dirigente illustrava i cambiamenti di policy per «eliminare la disinformazione sui vaccini» e «ridurre la viralità di contenuti che scoraggiano la vaccinazione», ma che non comprendevano forme di «misinformazione perseguibile». Tutto nello stesso calderone. E infatti, la missiva specificava che questo materiale era composto da «contenuto spesso vero», benché trattato in una maniera tale da allarmare il pubblico. Facebook si impegnava dunque a «rimuovere questi gruppi, pagine e account, quando promuovono in modo sproporzionato» i vituperati proclami choc. Roba da manuale di autocrazia.Le attenzioni della Casa Bianca, comunque, non si limitavano a Facebook. A un certo punto, Flaherty aveva chiesto cosa stesse facendo Meta per «limitare la diffusione di contenuti virali» su Whatsapp, app di messaggistica di sua proprietà, molto usata «nelle comunità di immigrati e in quelle di colore». Le meno propense a porgere il braccio: evidentemente, nessuno doveva venire a conoscenza dei potenziali effetti avversi dei farmaci a mRna. Alla faccia della trasparenza delle autorità e della buona fede nell’esercizio del potere. Nello stesso periodo, il funzionario aveva contattato anche Google: Youtube, controllato dalla Big tech californiana, avrebbe indotto le persone a dubitare delle punture. Il 9 aprile 2021, Flaherty tornava alla carica, chiedendo al rappresentante di Zuckerberg «quali azioni e cambiamenti state realizzando per assicurarvi che non stiate rendendo l’esitazione vaccinale del nostro Paese ancora peggiore». A Washington sembravano non averne mai abbastanza. E lamentavano che «l’algoritmo», in grado di privilegiare «notizie di qualità» nel «contesto elettorale» (quali? Quelle che piacevano a Biden e soci?), fosse stato sviluppato tardivamente e poi accantonato. «Voglio qualche garanzia, basata sui dati, che non stiate facendo la stessa cosa qui». La replica dal quartier generale della piattaforma online ricorda il telegramma «Obbedisco», spedito da Giuseppe Garibaldi al generale Alfonso La Marmora: «Capito», rispondeva lapidariamente il funzionario tartassato da Flaherty. Il quale, cinque giorni dopo, stizzito, chiedeva conto del perché «il post più visto sui vaccini» fosse quello dell’anchorman conservatore di Fox, Tucker Carlson, «che dice che non funzionano». Nonostante Facebook si fosse risolto a sbianchettare persino le notizie attendibili, alla fine il funzionario di Biden aveva redatto un rapporto interno, rimproverando al social di «svolgere un ruolo rilevante nella diffusione della misinformazione sui vaccini Covid». E in merito ai tentativi della piattaforma di rivendicare la sua solerzia censoria, il 10 maggio 2021, il Torquemada a stelle e strisce sbottava: «Difficile prenderne qualcuno sul serio». Le ferite inferte alla democrazia e al libero pensiero, invece, andrebbero prese molto, molto sul serio.