2024-07-14
Gli F-16 all’Ucraina con il contagocce: «Per la Nato aspetteremo 75 anni?»
Problemi di logistica e addestramento: la resistenza per ora avrà pochi jet. Anche secondo «Foreign Policy» l’Occidente è ambiguo. Dmytro Kuleba protesta. Mosca: «Se i missili Usa saranno in Europa, colpiremo le capitali».Agli ucraini non la si fa. Kiev ha intuito che il vertice Nato di Washington, al di là delle solenni dichiarazioni d’intenti, ha prodotto più fumo che arrosto. Ad esempio, per quel «processo irreversibile», che dovrebbe essere l’ingresso del Paese aggredito nell’Alleanza, non sono state fissate tempistiche certe. Se n’è lamentato, ieri, il ministro degli Esteri di Volodymyr Zelensky, Dmytro Kuleba, in un’intervista alla Cnn: «Abbiamo sentito messaggi molto rassicuranti negli ultimi giorni», ha commentato, «ma non possiamo aspettare 75 anni per celebrare l’adesione dell’Ucraina» alla Nato. Gli uomini che combattono per procura la nostra guerra contro Vladimir Putin hanno capito il giochetto. «Saremo completamente felici», ha precisato pertanto Kuleba, «solo quando la promessa sarà mantenuta».Tra gli impegni che l’Occidente sostiene di voler portare avanti c’è, intanto, quello di fornire alla resistenza gli F-16. Svolta rivoluzionaria? Sì e no. Secondo Bloomberg, questa estate i caccia inizieranno sì ad arrivare, ma molti meno di quelli che speravano gli ucraini: tra 15 e 24, rispetto ai 300 richiesti. Altre fonti citate dall’agenzia Usa, addirittura, parlano di soli sei esemplari in consegna al momento, più 20 entro la fine dell’anno.Il problema sarebbero le difficoltà a procurare pezzi di ricambio e la «barriera linguistica», che complica il compito degli addestratori di piloti. Ma sorge il sospetto che, tutto sommato, ad americani ed europei interessi più il segnale minaccioso inviato a Mosca che l’effettivo dispiegamento dei jet. I quali, in ogni caso, difficilmente garantiranno il dominio assoluto dei cieli. Come ha confermato, in un’intervista alla Stampa, il generale Philip Mark Breedlove, il ruolo dei velivoli non sarà apprezzato prima della primavera 2025. Gli alleati temono anche che le piste degli aeroporti ucraini siano inadatte e troppo esposte ai bombardamenti russi.Eh già: gli aerei saranno schierati sul territorio dell’Ucraina e non in infrastrutture di Paesi confinanti. Le cancellerie occidentali avranno preso sul serio l’ipotesi che Mosca provi a colpire gli hangar. E vogliono evitare incidenti per i quali possa essere invocato l’articolo 5 del Trattato Nato, con il coinvolgimento di tutti i membri in un confronto aperto con la Federazione.Alla vulnerabilità delle piste dovrebbero sopperire i nuovi invii di batterie Patriot e Sampt/T, cui sta contribuendo pure l’Italia. Secondo la Bild, infatti, i sistemi difensivi non potranno essere utilizzati sul fronte orientale, nelle aree di Kherson, Kharkiv, Zaporizhzhia o Donetsk, perché quelle regioni sono troppo vicine alle trincee. Saranno collocati a Dnipro e nella parte occidentale del Paese, a presidio delle basi degli F-16. Naturalmente, nemmeno la presenza di contraeree sarà garanzia assoluta di inviolabilità: la Russia ha dato dimostrazione di saper organizzare dei raid così intensi, da soverchiare le contromisure di Kiev.A questo punto, anche gli analisti più in linea con gli interessi strategici degli Stati Uniti devono riconoscere l’ambiguità della Nato: «Sta aiutando l’Ucraina a combattere», ha appena scritto Foreign Policy, «ma non a vincere». La prestigiosa rivista di geopolitica ha evidenziato gli esiti contraddittori del summit di Washington: gli sforzi profusi per far pervenire a Kiev le forniture belliche hanno impedito il crollo della nazione invasa, ma non consentiranno a Zelensky e soci di sconfiggere una volta per tutte Mosca. Nemmeno le ultime garanzie offerte dall’Alleanza risulteranno dirimenti, mentre - come ha riferito, qualche giorno fa, il Wall Street Journal - l’esercito di Putin sta raffinando le tecniche per neutralizzare gli armamenti più tecnologici, nonostante i progressi ucraini nell’uso dei droni.Agli osservatori attenti non sarà sfuggito un particolare. Venerdì, gli Usa hanno annunciato l’installazione di missili a cortissimo raggio a Vicenza, oltre al programma per dotare la Germania (e forse anche l’Italia) di testate ipersoniche nel 2026. La mossa ha suscitato l’ovvia reazione furibonda della Federazione, la quale, ieri, ha evocato ritorsioni sulle capitali europee. Ma proprio nelle ore di massima tensione verbale, i ministri della Difesa americano e russo si sono sentiti al telefono. Si è trattato del secondo colloquio nell’arco di poche settimane - anche questo incentrato, come il precedente, sulla necessità di evitare un’escalation. Mesi fa, il numero uno della Nato in Europa, il generale Chris Cavoli, aveva lanciato un allarme esattamente sul deterioramento dei canali di comunicazione con il Cremlino. Una situazione che accresceva il pericolo di un conflitto, magari persino nucleare, innescato da banali incomprensioni. Certo, come durante la Guerra fredda, il linguaggio delle grandi potenze usa l’alfabeto della diplomazia tanto quanto quello della deterrenza. Bastone e carota, per non distruggersi a vicenda.