2019-04-11
Eutanasia d’una giovane donna soltanto perché era depressa
Alessandra Giordano, 47 anni, è morta nella clinica scelta da Dj Fabo. La Procura di Catania ha cercato di sequestrare l'eredità per evitare che la Dignitas (già pagata ben 6.200 euro) possa avanzare pretese. «Si guarisce anche nei casi cronici». Il presidente della Società italiana di psichiatria Enrico Zanalda: «Il 50% dei pazienti reagisce subito. Per gli altri esistono cure innovative. Rivolgetevi agli esperti, non ai medici di famiglia». Lo speciale comprende due articoli. Un biglietto di sola andata. Da Catania a Zurigo, per andare incontro al suicidio assistito. Alessandra Giordano, insegnante di Paternò, dintorni del capoluogo siciliano, è morta lo scorso 27 marzo a Forch, anonimo paesino svizzero. In una casetta blu cobalto, per l'esattezza: la clinica Dignitas, quella che ha già praticato l'eutanasia a Dj Fabo. Sul decesso di Alessandra, 47 anni, adesso indaga la Procura di Catania per istigazione al suicidio. Un'inchiesta clamorosa, di cui La Verità è in grado di svelare ogni dettaglio, nata dalla denuncia degli sgomenti familiari della donna. Adesso invocano giustizia. Temono che la sorella, depressa con disturbi psicotici, sia stata «assecondata». E abbia addirittura fatto testamento a favore della clinica. Tanto che i magistrati catanesi sono arrivati a chiedere il sequestro preventivo dei beni dell'insegnante. Che i giudici del tribunale etneo hanno però deciso di non convalidare. La battuta d'arresto non ha fermato le indagini. Nei prossimi giorni partirà una rogatoria internazionale. I pm chiedono accordi, contratti, clausole. Quella morte poteva essere evitata? E, soprattutto, è stata indotta? Un'attività investigativa destinata a scontrarsi con un muro di gomma. In Svizzera il suicidio assistito è legale. E lo diventa anche per i cittadini italiani in trasferta. Come Alessandra. Catania, aeroporto di Fontanarossa, 25 marzo 2019. Lei cerca l'imbarco del volo per Zurigo. Un conoscente la vede. Si salutano. L'uomo, racconta il quotidiano La Sicilia, manda un messaggio a Barbara, la sorella della donna. È contento di aver visto Alessandra, che sapeva malata, in partenza verso nuove avventure. Non immagina, invece, che quel viaggio è la fine della corsa. Il suo sms allarma la famiglia dell'insegnante. Già a gennaio 2019 erano riusciti a farla desistere dai propositi suicidi. Anche qualche mese prima s'era messa in testa di raggiungere la struttura svizzera. Ora sembra tornata su quei passi. Vuole farla finita. Senza chiedere permesso. All'insaputa di tutti. Il timore diventa certezza nel giro di poche ore. Alessandra al telefono non risponde. Centinaia di chiamate squillano a vuoto. Viene allertato il ministero degli Esteri. Nel frattempo, è inviato alla Dignitas un messaggio: «Fermatevi, nostra sorella è offuscata dalla depressione». Allegano i certificati medici: non è una malata terminale, non ha patologie irreversibili, si sente solo avvinta dal male oscuro. Nessuna risposta. Anche le telefonate alla clinica, ricordano adesso, sono vane. Una cinta invalicabile. Il 26 marzo 2019 i familiari di Alessandra si precipitano quindi dai carabinieri di Paternò. Presentano una querela per istigazione al suicidio. Al maresciallo che raccoglie la loro disperata denuncia, riferiscono: alla sorella, un anno prima, era stata diagnosticata una grave depressione. «Che però» fanno mettere a verbale «non crediamo possa giustificare la Dignitas a elargire l'eutanasia assistita». Aggiungono: «Una lettera del 28 agosto 2018, con oggetto “Luce verde provvisoria", comunicava che un medico con cui collaborano era disposto a prescriverle la ricetta. La decisione definitiva poteva essere presa solo dopo due visite mediche personali». Davanti all'attonito maresciallo, i parenti di Alessandra si spingono oltre. Sospettano che «sia stata assecondata da terzi a utilizzare questa pratica legalizzata in Svizzera». E chiedono di fare tutto il possibile per rintracciare la congiunta. Il giorno seguente Barbara e Massimiliano Giordano, sorella e fratello della quarantesettenne scomparsa, partono per Zurigo. Su indicazione della Farnesina, si rivolgono alla polizia cantonale dell'aeroporto. «È andata alla Dignitas per suicidarsi». Le autorità elvetiche si mostrano disponibili. Gli dicono di stare tranquilli: «Aspettate qui. Ci pensiamo noi». Gli agenti telefonano alla Dignitas. Ma la clinica non conferma, assicurano i Giordano, il ricovero di Alessandra. Poco dopo, però, sarebbe stata proprio lei a chiamare la sorella: «Ho scelto di morire» è il suo laconico addio. «Dovete accettare la mia scelta». Ed è la stessa Dignitas, più tardi, ad annunciare la «dolce morte» alla polizia. Atterrati a Catania, i familiari tornano dai carabinieri di Paternò. Vogliono integrare la loro querela. I contorni del loro dramma, purtroppo, ora sono più chiari. Grazie anche ad alcuni documenti rivenuti. La sorella, fanno mettere a verbale, ha scelto la morte volontaria alla Dignitas, «con cui era entrata in contatto nei giorni precedenti». Il 15 marzo 2019 aveva inviato un bonifico alla clinica di 7.000 franchi svizzeri: poco più di 6.200 euro. Nella denuncia si spiega: l'insegnante siciliana, «persona che soffriva di disturbi connessi alla depressione» era diventata socia dell'associazione Dignitas, «che l'avrebbe tutelata nei suoi interessi legali e non». La famiglia, quindi, teme che Alessandra abbia poco consapevolmente dato disposizioni testamentarie a favore della struttura elvetica. E dubitano anche dell'«autenticità della sottoscrizione». La donna possiede un appartamento e un conto corrente in una banca di Paternò: «Sulle quali potrebbero essere soddisfatte eventuali richieste patrimoniali da parte della clinica o terzi». Le dichiarazioni mettono in moto la magistratura catanese. Il 29 marzo 2019 la Procura chiede il sequestro preventivo urgente del conto corrente e della casa di Alessandra. I magistrati argomentano: «Ai familiari recatisi presso la clinica svizzera non è stata rilasciata alcuna documentazione a firma della persona offesa». Dunque: «Appare altamente probabile che la donna abbia assunto obbligazioni a favore degli stessi autori del reato». Ovvero, «i legali rappresentanti della clinica in cui ha trovato la morte». I magistrati etnei, sulla base degli atti sequestrati, scagliano pesanti accuse: «Il proposito suicida della Giordano è stato determinato o comunque rafforzato dai responsabili della clinica». E ancora: «Il rispetto delle procedure di legge sembra quantomeno dubbio». Anche perché, scrivono i pm, la depressione non «appare abbia potuto determinare le conseguenze previste per poter accedere al suicidio assistito: ossia patologie incurabili, handicap intollerabili o dolori insopportabili». L'8 aprile 2019 il gip di Catania non convalida però il sequestro. La scelta di Alessandra, argomentano i giudici, è stata libera e consapevole. L'insegnante non era in uno stato di «infermità o deficienza psichica». Un medico, collaboratore della Dignitas, l'ha visitata e incontrata. I certificati clinici sono stati acquisiti. E, in una lettera del 28 agosto 2018, la struttura svizzera spiegava alla donna che la luce verde provvisoria «potrebbe portare a un miglioramento della sua situazione e forse indurla a decidere di continuare a vivere». Insomma, concludono i giudici, «non si ravvisa il fumus del reato contestato». Ergo: sequestro non convalidato. Ma i pm non demordono. Chiederanno una rogatoria internazionale. Che, visti i precedenti, sarà ignorata. I segreti della morte di Alessandra resteranno al sicuro. Tra le mura di una casetta color cobalto alle porte di Zurigo. <div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/eutanasia-in-svizzera-per-unitaliana-soffriva-soltanto-di-depressione-2634261016.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="si-guarisce-anche-nei-casi-cronici" data-post-id="2634261016" data-published-at="1758146721" data-use-pagination="False"> «Si guarisce anche nei casi cronici» Enrico Zanalda, direttore del dipartimento di salute mentale dell'Azienda sanitaria locale Torino 3 e presidente della Società italiana di psichiatria (Sip), non ha dubbi: «La depressione è curabile. Nel 50% dei casi si guarisce in tempi rapidi». E negli altri? «Se il paziente non risponde al primo trattamento, bisogna valutare strategie di potenziamento con farmaci o con supporti psicoterapeutici, rivedendo la diagnosi. Anche per evitare la ricaduta, perché la depressione è una malattia episodica». Nei casi gravi come bisogna agire? «Sempre con trattamento farmacologico, fin tanto che il paziente non migliora». Molti si limitano a seguire le prescrizioni del medico di base, senza rivolgersi a uno specialista. «Infatti, di solito noi vediamo depressi che hanno risposto parzialmente a cure scelte dal loro medico. Purtroppo non sempre i medici di famiglia sanno dare indicazioni corrette su come si devono usare gli antidepressivi secondo le linee guida. Solo le persone molto giovani, di 16 o 18 anni, vengono indirizzate direttamente dallo psichiatra perché presentano situazioni molto complesse e delicate». È possibile guarire dalla depressione cronica? «In tempi più o meno lunghi dalla depressione si esce sempre. Magari c'è bisogno di rivolgersi a centri specializzati, per esempio in caso di patologie mediche concomitanti. Procedure e innovazioni terapeutiche, oggi disponibili nei dipartimenti di salute mentale, consentono la guarigione».
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