2021-12-14
La legge nera sul suicidio assistito può fare la stessa fine del ddl Zan
Ieri ha esordito alla Camera il progetto di legge eutanasico e le analogie col bavaglio arcobaleno sono tante: tempi stretti, sinistra divisa e centrodestra compatto verso il no. Enrico Letta medita un’altra battaglia identitaria.I giudici della Corte suprema americana hanno lasciato in vigore la norma che vieta l’interruzione di gravidanza dopo sei settimane e hanno concesso uno spazio limitato per i ricorsi.Lo speciale contiene due articoli.È stata una discussione generale veloce, quella che ieri ha fatto esordire in aula alla Camera il progetto di legge sul suicidio assistito. Un passaggio pressoché formale, che è stato utile però a confermare lo spettro delle posizioni in campo e, di conseguenza, la ragionevole certezza di un iter tormentato e a rischio affossamento, come avvenuto per il ddl Zan al Senato. Tra qualche giorno, infatti, i deputati dovranno votare (in tempi di fiducia e di testi «prendere o lasciare» il termine esaminare pare esagerato) la legge di Bilancio in arrivo da Palazzo Madama, cosa che li terrà impegnati fino a fine anno, prima della pausa festiva. Dopodiché, come tutti sanno, il Parlamento sarà assorbito, per non si sa quanto tempo, dalle votazioni per il prossimo presidente della Repubblica. Se si mette in conto l’inevitabile e consueta pattuglia di decreti in scadenza e atti parlamentari che intasano normalmente il lavoro d’aula, è verosimile prevedere che sul suicidio assistito si comincerà a toccare palla non prima della bella stagione.È però nel merito del provvedimento in questione, nel percorso che ha seguito in commissione, nei numeri parlamentari e infine nelle posizioni espresse ancora ieri dalle forze politiche, che risiede la vera difficoltà nell’immaginare un percorso lineare e un’approvazione pacifica entro il termine della legislatura. Nell’emiciclo (semideserto come ogni lunedì) di Palazzo Montecitorio, il tenore degli interventi, improntato generalmente alla pacatezza e ai contenuti della legge, ha fatto comunque emergere una divisione interna al centrosinistra, che probabilmente orienterà le mosse dei leader di partito «giallorossi» verso un atteggiamento identitario e strumentale, volto piuttosto a tenere uniti i propri ranghi che a pervenire a un testo condiviso tra tutte le forze. Questo perché alcune affermazioni bellicose dei promotori del referendum sull’eutanasia, associate ai mal di pancia degli esponenti più radical del Pd, lasciano presagire - per fare un esempio - che il segretario dem Enrico Letta difficilmente potrà fare concessioni a chi oggi non sostiene il testo in aula, senza provocare uno smottamento tra quanti dei suoi sono tentati di saldarsi al fronte laicista capitanato da Marco Cappato. C’è chi, come la dem Giuditta Pini, ha fatto sapere di essere disposta a farsi carico di un pacchetto di emendamenti dell’associazione Luca Coscioni, i cui esponenti peraltro hanno già cominciato a brandire la futura consultazione popolare come un’efficace arma di condizionamento per il centrosinistra parlamentare. Il che, calato in uno scenario come quello del Senato, dove i fragili equilibri e i voti segreti rendono tutto aleatorio in mancanza di accordi trasparenti, potrebbe voler dire la replica di quanto accaduto con la legge sull’omofobia, che non ha visto la luce a causa della pervicacia giallorossa sul testo Zan.Ieri in aula i relatori Alfredo Bazoli (Pd) e Nicola Provenza (M5s) hanno insistito sulla necessità di approvare una legge sul fine vita, in virtù della sentenza sulla vicenda del suicidio assistito per Dj Fabo della Corte costituzionale che ha chiesto al Parlamento di colmare il vuoto legislativo. Dopo aver ripercorso l’iter in commissione e riassunto i contenuti dell’attuale testo (che, in estrema sintesi, consente la morte volontaria per i maggiorenni affetti da patologia irreversibile o per quelli tenuti in vita da trattamenti o macchinari che patiscono sofferenze intollerabili) i due relatori si sono detti ottimisti riguardo alla possibilità del dialogo e di un compromesso non al ribasso sulla nuova legge.La loro convinzione, però, è entrata immediatamente in attrito con quanto affermato dagli esponenti dei partiti di centrodestra che hanno preso la parola in aula: Roberto Bagnasco, di Forza Italia, ha sottolineato i «punti di profondo e insuperabile dissenso con le nostre richieste che, purtroppo, sono rimaste inascoltate», lasciando l’impianto della proposta attuale «profondamente eutanasico». Dalla Lega si è levata la voce di Anna Rita Tateo, che si è detta «insoddisfatta» della proposta di legge all’ordine del giorno e ha insistito sull’«imprescindibile diritto alla vita», mentre ha usato toni più diretti la deputata di Fratelli d’Italia Maria Carolina Varchi, premettendo che «la Corte costituzionale ha fornito alcune indicazioni, ma, in realtà, non ha imposto un vincolo, un binario su cui camminare senza deragliare, né avrebbe potuto farlo». L’esponente del partito di Giorgia Meloni ha messo poi in guardia da una deriva che, partendo da una legge come questa, rischia di portare «a una disponibilità del bene vita» e a una visione «nichilista che vorrebbe privilegiare la soluzione meno costosa a quella realmente da praticare nell’interesse dei cittadini». Lucia Annibali, ribadendo che Italia viva lascerà «libertà di coscienza» ai propri parlamentari, ha infine confermato quanto l’ipotesi del deja vu del ddl Zan sia concreta.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/eutanasia-aborto-legge-2656024485.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="la-corte-delude-gli-abortisti-in-texas" data-post-id="2656024485" data-published-at="1639482815" data-use-pagination="False"> La Corte delude gli abortisti in Texas Prosegue lo scontro sulla legge texana che vieta l’interruzione di gravidanza dopo le sei settimane di gestazione. A seguito del dibattimento tenutosi a inizio novembre, venerdì la Corte suprema degli Stati Uniti ha concesso alle cliniche che praticano l’aborto di proseguire il loro ricorso davanti alle corti federali inferiori. Una vittoria per il fronte abortista? Non esattamente. Innanzitutto il massimo organo giudiziario statunitense ha lasciato per ora in vigore la legge del Texas. In secondo luogo, i supremi giudici hanno, sì, riconosciuto la facoltà di proseguire con il ricorso, ma hanno anche introdotto delle significative restrizioni a tale facoltà. Il ricorso potrà infatti essere presentato soltanto contro determinati funzionari del Texas (quelli che presiedono alle licenze mediche, oltre al capo del locale dipartimento della Salute), ma non contro i giudici e i cancellieri delle corti statali, come invece era nell’intenzione delle cliniche. «I cancellieri servono per registrare i casi man mano che arrivano, non per partecipare come avversari a quelle controversie. I giudici esistono per risolvere le controversie sul significato di una legge o sulla sua conformità alle costituzioni federale e statali, non per essere delle parti in causa nel contenzioso», ha scritto il giudice Neil Gorsuch, riportando l’opinione della maggioranza dei togati. Non solo: la Corte suprema ha anche impedito ai ricorrenti di poter procedere legalmente contro il procuratore generale del Texas, Ken Paxton, e ha di fatto respinto separatamente un appello intentato dall’amministrazione Biden per cercare di bloccare la legge. Lo stesso presidente americano ha emesso un comunicato, definendosi «preoccupato» per la decisione del massimo organo giudiziario di mantenere in vigore la norma. Insomma, a livello complessivo, quanto stabilito dalla maggioranza della Corte suprema può essere sostanzialmente letto come una vittoria del fronte favorevole alla legge texana. Come detto, tale norma prevede il divieto di aborto dopo le sei settimane di gestazione. Un elemento, questo, che considerato in se stesso contraddice quanto prescritto dalle due sentenze della Corte suprema che hanno reso lecita l’interruzione di gravidanza negli Stati Uniti: parliamo di Roe v. Wade (del 1973) e di Planned Parenthood v. Casey (del 1992). Se la prima ha fatto dell’aborto una pratica costituzionalmente protetta, la seconda lo ha reso lecito esclusivamente entro le prime 24 settimane di gestazione. Ricordiamo, a tal proposito, che la stessa Corte suprema dovrà esprimersi entro giugno su un’altra legge che - approvata nel 2018 in Mississippi - vieta l’interruzione di gravidanza dopo le 15 settimane di gestazione. Ora, al di là del differente numero di settimane, le due norme - approvate entrambe da Stati a guida repubblicana - differiscono anche nel modo in cui si confrontano con le suddette sentenze della Corte suprema. Vediamo come. Il Mississippi punta a ribaltare i precedenti, sostenendo che le due sentenze in questione sono ormai datate e che l’aborto non è un diritto ravvisabile nel testo costituzionale. Ora, la sconfessione di un precedente è qualcosa di raro, ma non impossibile. Uno dei casi più celebri (e citato durante un dibattimento di due settimane fa) fu la sentenza Brown v. Board of education del 1954, che ribaltò un’altra sentenza del 1896 - Plessy v. Ferguson - la quale aveva reso lecito il segregazionismo razziale. Il Texas, dal canto suo, sta tentando una strategia di aggiramento: la sua legge incarica non i funzionari statali ma i privati cittadini di far causa contro chi eventualmente violi la norma stessa. Finora sono infatti state bocciate come in contraddizione con Roe v. Wade quelle leggi restrittive nei confronti dell’aborto che attribuivano ai funzionari statali il compito della loro applicazione.