2021-10-30
Guerra alla Polonia per attaccare la destra
Mateusz Morawiecki e Ursula Von Der Leyen (Getty Images)
Nel 2005 il Tribunale di Varsavia aveva già stabilito la superiorità della Costituzione sui trattati europei. E lo stesso principio vale in Italia. Però la nuova sentenza ha provocato un terremoto: l'obiettivo non è ristabilire la legalità, ma cacciare i partiti sgraditi.Nello scontro in atto fra l'Unione europea e la Polonia l'accusa principale che viene mossa a quest'ultima, stando alla vulgata che recepisce acriticamente la tesi espressa dal presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e alla quale apparentemente aderisce la maggior parte degli esponenti e degli osservatori politici, italiani ed esteri, è quella di aver voluto affermare un principio che minerebbe alla base il fondamento stesso dell'Unione: quello, cioè, enunciato dal Tribunale costituzionale polacco il 7 ottobre di quest'anno, secondo cui le norme contenute nella Costituzione dovrebbero avere la prevalenza, in caso di contrasto, su quelle contenute nei Trattati europei. Il che - si dice o si lascia intendere - sarebbe in totale contraddizione con quanto unanimemente ritenuto e praticato in tutti gli altri Paesi aderenti all'Unione a cominciare, per quanto ci riguarda, dall'Italia.Le cose, però, non stanno affatto in questi termini. A dimostrarlo (lasciando da parte, per non allargare troppo il discorso, gli altri Paesi e volendo, quindi, limitarci al nostro), basterebbe ricordare che la Corte costituzionale, con la sentenza numero 348/2007, ha affermato che la parziale cessione di sovranità alla quale l'Italia ha acconsentito con l'adesione ai Trattati comunitari trova però un limite costituito proprio dalla «intangibilità dei principi e dei diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione». Al che può aggiungersi che analogo orientamento, in epoca precedente, era già stato espresso con la sentenza numero 183/1973, per la quale era da escludere che le limitazioni di sovranità conseguenti all'adesione al Trattato di Roma, istitutivo della Cee, potessero «comunque comportare per gli organi della Cee un inammissibile potere di violare i principi fondamentali del nostro ordinamento costituzionale, o i diritti inalienabili della persona umana». E sulla stessa linea si era poi collocata anche la sentenza numero 170/1984.Vero è che, nel raffronto fra tali pronunce e quella del Tribunale costituzionale polacco, quest'ultima si caratterizza, oltre che per il fatto di essere stata promossa dal governo, anche per lo specifico riferimento a taluni articoli del Trattato sull'Unione europea, dei quali si afferma la incompatibilità con la Costituzione polacca (con la precisazione, peraltro, che si tratterebbe di una incompatibilità non assoluta ma solo «nella misura in cui» i primi venissero interpretati in modo da dar luogo a determinate conseguenze lesive, in particolare, dell'assetto costituzionale del sistema giudiziario, quale voluto dal potere legislativo). Si tratta, però, di caratterizzazioni che lasciano intatta la collocabilità della pronuncia in questione sulla linea del medesimo principio affermato, come si è visto, anche dalla Corte costituzionale italiana con le pronunce sopra menzionate; linea che, peraltro, coincide con quella espressa, in passato, dallo stesso Tribunale costituzionale polacco con la sentenza dell'11 maggio 2005 sul trattato di adesione della Polonia all'Unione europea, in cui (come si riporta in un pregevole articolo del professor Curti Gialdino comparso il 20 ottobre sulla rivista Federalismi.it) si metteva in luce come in nessun caso la prevalenza da riconoscersi alle regole di diritto internazionale che, con l'adesione, la Polonia si impegnava a osservare, «potesse estendersi alla Costituzione, che restava il diritto supremo della Repubblica». Ed è lo stesso professor Curti Gialdino a riconoscere onestamente, pur mostrandosi egli del tutto a favore della posizione assunta dall'Unione europea, che la sentenza del 7 ottobre del Tribunale costituzionale, si pone, su questo punto, «in stretta linea di continuità» con quella del 2005. C'è da chiedersi, allora, perché solo la sentenza del 7 ottobre abbia suscitato scandalo e allarme al punto tale da indurre il Parlamento europeo ad adottare, nei giorni scorsi (come ampiamente riferito dagli organi di informazione) una risoluzione con la quale, in sintesi, si chiede alla Commissione e al Consiglio di attivarsi non solo per promuovere una procedura di infrazione nei confronti della Polonia ma anche e soprattutto per impedire che quest'ultima possa beneficiare delle provvidenze economiche previste dal Pnrr fino a quando non siano state eliminate le asserite violazioni ai principi dello «Stato di diritto» riscontrabili, in particolare, secondo lo stesso Parlamento, nelle norme riguardanti la composizione e il ruolo del Tribunale costituzionale, il funzionamento della sezione disciplinare della Corte suprema, l'ordinamento del Consiglio nazionale della magistratura e quello degli uffici della Procura di Stato; norme che - si sostiene - minerebbero il basilare principio dell'indipendenza della funzione giudiziaria dal potere politico che costituisce uno dei «valori» riconosciuti e tutelati dall'Unione europea. La risposta al suddetto interrogativo la si trova facilmente considerando che il principio enunciato nella sentenza del 7 ottobre, pur non essendo nuovo, ha potuto assumere, nell'attuale contesto politico, l'apparenza di una provocazione e offrire così al Parlamento europeo il pretesto per sollecitare l'impiego, nei confronti della Polonia, di un' «arma risolutiva» tale da costringerla alla resa nella guerra che contro di essa è stata intrapresa dall'Unione europea a far tempo dalla affermazione, avvenuta nelle elezioni del 2015 e ripetuta in quelle del 2019, dell'attuale maggioranza politica, imperniata sul partito Diritto e giustizia e sul premier Mateusz Morawiecki, ritenuto di estrema destra; maggioranza alla quale si è via via addebitato di aver attentato, oltre che all'indipendenza della magistratura, anche alla libertà dei mezzi d'informazione, come pure di aver adottato politiche discriminatorie in materia sessuale e, da ultimo (come si legge nella precedente risoluzione del Parlamento europeo in data 16 settembre 2021), di aver sostenuto anche quelli che vengono definiti «attacchi ai diritti delle donne in Polonia»; ciò con esplicito riferimento alla sentenza del Tribunale costituzionale (definito come «illegittimo») che, come è noto, ha dichiarato incostituzionale la legge polacca in materia di interruzione volontaria di gravidanza nella parte in cui consentiva che a essa si facesse ricorso in caso di accertata malformazione del feto.L' «arma risolutiva» di cui si è detto dovrebbe essere, nelle aspettative del Parlamento, quella costituita dal Regolamento europeo numero 2092, furbescamente adottato, alla chetichella («tomo tomo cacchio cacchio», per dirla con il principe De Curtis, in arte Totò) il 16 dicembre 2020 e con il quale è stato stabilito che il Consiglio, su proposta della Commissione europea, senza necessità di far ricorso alla Corte di giustizia, possa sospendere l'approvazione o l'esecuzione di programmi di finanziamento da parte dell'Unione in favore di uno Stato membro, quando ritenga che in esso si dia luogo a una «violazione dei principi dello Stato di diritto»; violazione che può essere costituita, in particolare, anche da non meglio precisate «minacce all'indipendenza della magistratura». E all'evidente scopo di rafforzare la posizione contrattuale della Commissione nei confronti della controparte polacca è stata addirittura promossa, ultimamente, la messa in scena di un ricorso del Parlamento alla Corte di giustizia contro la stessa Commissione, addebitandosi a quest'ultima la «mancata attivazione del meccanismo di condizionalità» previsto dal suddetto Regolamento.Conoscendo però la proverbiale tenacia dei polacchi nella coraggiosa difesa di quelli che essi ritengono, a ragione o a torto, i diritti della loro nazione, non è detto che l'arma risolutiva apprestata dall'Unione europea si riveli effettivamente tale. Proprio quest'anno ricorre il centenario del Trattato di Riga che sancì i risultati della clamorosa e inaspettata vittoria ottenuta l'anno prima dall'esercito polacco, sotto la guida del maresciallo Józef Pilsudski, contro le forze soverchianti della Russia sovietica, intenzionata a riportare la Polonia alla condizione di provincia dell'impero russo che essa aveva al tempo degli zar. Fu un miracolo, ma a volte i miracoli si ripetono. Chi vivrà vedrà. Pietro Dubolino, Presidente di sezione a riposo della Corte di Cassazione
Pedro Sánchez (Getty Images)
Alpini e Legionari francesi si addestrano all'uso di un drone (Esercito Italiano)
Oltre 100 militari si sono addestrati per 72 ore continuative nell'area montana compresa tra Artesina, Prato Nevoso e Frabosa, nel Cuneese.
Obiettivo dell'esercitazione l'accrescimento della capacità di operare congiuntamente e di svolgere attività tattiche specifiche dell'arma Genio in ambiente montano e in contesto di combattimento.
In particolare, i guastatori alpini del 32° e i genieri della Legione hanno operato per tre giorni in quota, sul filo dei 2000 metri, a temperature sotto lo zero termico, mettendo alla prova le proprie capacità di vivere, muoversi e combattere in montagna.
La «Joint Sapper» ha dato la possibilità ai militari italiani e francesi di condividere tecniche, tattiche e procedure, incrementando il livello di interoperabilità nel quadro della cooperazione internazionale, nella quale si inserisce la brigata da montagna italo-francese designata con l'acronimo inglese NSBNBC (Not Standing Bi-National Brigade Command).
La NSBNBC è un'unità multinazionale, non permanente ma subito impiegabile, basata sulla Brigata alpina Taurinense e sulla 27^ Brigata di fanteria da montagna francese, le cui componenti dell'arma Genio sono rispettivamente costituite dal 32° Reggimento di Fossano e dal 2° Régiment étranger du Génie.
È uno strumento flessibile, mobile, modulare ed espandibile, che può svolgere missioni in ambito Nazioni Unite, NATO e Unione Europea, potendo costituire anche la forza di schieramento iniziale di un contingente più ampio.
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A Dimmi La Verità Stefania Bardelli, leader del Team Vannacci di Varese, fa chiarezza sul rapporto con la Lega e sulle candidature alle elezioni degli esponenti dei team.