2022-10-27
La Ue con l’alibi del green alzerà ancora le bollette contro gas e non rinnovabili
L’Aea insiste: meno consumi, meno inquinamento. Cioè la fine delle filiere produttive. Il governo adesso comincia ad accorgersene. Si avvicina lo scontro con Bruxelles.L’influente agenzia europea dell’ambiente (Aea) ha diffuso ieri mattina il classico studio aggiornato alla fine dell’anno precedente sulle emissioni inquinanti degli Stati membri. Secondo i dati preliminari, nel 2021 le emissioni di gas serra sono aumentate del 5% rispetto al 2020. Le emissioni, tuttavia, rimangono del 6% inferiori al livello pre pandemia del 2019. Il rapporto conferma con dati ufficiali il raggiungimento dei target 2020 Ue per le emissioni, le energie rinnovabili e l’efficienza. Ma mentre per i primi due aspetti il progresso è arrivato in modo graduale, il traguardo del 20% di risparmi energetici non sarebbe stato possibile senza il brusco calo dei consumi dovuti alla pandemia del 2020. Le diminuzioni più marcate del consumo finale di energia si osservano nei Paesi che hanno attraversato più crisi dal 2009 in poi. Tradotto, solo nelle nazioni in crisi profonda o che più hanno subito il lockdown pandemico si sono registrate le maggiori contrazioni di emissioni di CO2. In Grecia, Italia, Portogallo e Spagna, i cali sono stati rispettivamente del 31%, 25, 21 e 25% tra il 2005 e il 2020. Italia e Spagna sono le economie più grandi «che hanno centrato tutti gli obiettivi 2020». Il verbo centrare lo riportiamo paro paro perché è così utilizzato in senso positivo. E qui sta tutto l’inquietante problema legato alla transizione ecologica, così come Bruxelles la sta immaginando. La strategia è continuamente ribadita. Meno consumi, meno inquinamento. Transizione ecologica a favore delle rinnovabili a costo di uccidere intere filiere produttive. L’effetto sarà sicuramente quello di spingere la filiera elettrica, avvicinare l’Europa alla Cina e sicuramente abbattere l’inflazione congelando i consumi. Tutto ciò significa maggiore povertà. Eppure, con grande coerenza, ieri l’Aea ha ribadito il concetto. Per l’Ue occorre raddoppiare gli impegni sul taglio delle emissioni e quindi bollette ancor più alte per disincentivare la filiera del gas e delle altre non rinnovabili. I vertici di Bruxelles non nascondo più l’obiettivo e nemmeno la strada che intendono percorrere. Tanto che la filiera parte dall’Ue e arriva fino alle istituzioni nazionali. Il 20 ottobre Bankitalia ha rilasciato un report che indica nel riscaldamento climatico la causa dei mali da qui fino al 2100 del Pil nostrano ed europeo e offre anche la ricetta per curarli: bisogna accelerare nell’innovazione tecnologica e recuperare terreno nella produzione di brevetti «green». Il verde tinteggiato dai tecnici è della stessa tonalità di quello usato la settimana precedente dal direttore generale di Bankitalia, Federico Signorini, che ritiene corretto l’aumento del costo dell’energia per continuare il processo di conversione al green. Del resto, questo impoverimento servirà alle istituzioni e alle Banche centrali a sgonfiare l’enorme massa di debito e al tempo stesso a riposizionare investimenti e obbligazioni su un comparto che garantirà molti più margini in futuro. Al contrario lascerà un sacco di cadaveri tra le filiere produttive. Il tema di fondo sta tutto qui. Non è poco. Anzi è un enorme bivio che al nuovo governo toccherà scavallare. Le prime mosse di Giorgia Meloni sull’autostrada dell’energia raccontano una continuità di scelte con le mosse del precedente governo. Non a caso ha scelto di affiancare al nuovo ministro della sovranità energetica, Gilberto Pichetto Fratin, la figura - come consulente - di Roberto Cingolani, ex titolare della Transizione ecologica. Andare in continuità vuol dire proseguire sul price cap e su scelte condivise dall’Ue che hanno fino ad ora fatto perdere al Paese sette mesi. Senza riuscire a portare a casa alcun risultato. Seguire le mosse di Cingolani significa anche accettare le indicazioni che l’Aea ieri ha diffuso ai quattro venti. Ieri pomeriggio invece la Meloni, parlando al Senato, ha fatto un discorso molto ragionevole. Transizione ecologica è accettabile solo se implica una sostenibilità per la società e per le aziende. Transizione ecologica è accettabile solo se non uccide la nostra filiera produttiva. Transizione ecologica solo se compatibile con la sovranità nazionale, sia in tema energetico (sviluppare estrazione nei nostri mari e sostenere il nucleare) ma anche in tema di approvvigionamento. «Non possiamo accettare di passare dalla dipendenza energetica dalla Russia a quella sulle materie prime e quindi dalla Cina», ha aggiunto a Palazzo Madama rispondendo all’opposizione. Bene la puntualizzazione. Ma ciò significa che se la strada è questa e non la continuità con Mario Draghi prima o poi la linea del nuovo governo dovrà andare in conflitto con Bruxelles. Non basta rivendicare le trivelle e le attività nazionali e il disaccoppiamento del prezzo dell’energia proveniente dalle rinnovabile rispetto a quello proveniente dal gas, perché per noi la fetta del sole e dell’eolica vale solo il 30% del fabbisogno. Servirà nel suo complesso rivedere il Green new deal. Esattamente come l’inflazione e la compressione sulla filiera delle materie prime impongono una revisione finanziaria del Pnrr. Roma dovrà chiedere lo stop del mercato degli Ets sulle emissioni di CO2. L’Ue continua a tassare chi inquina anche se si trova costretto a farlo. Perché obbligato a tornare al carbone. Ci auguriamo, in linea con le dichiarazioni di ieri, che la strada sia quella dell’innovazione tecnologica e dello sviluppo dei rapporti con l’Africa e non della compressione dei consumi. Altrimenti la transizione sarà tutt’altro che sostenibile.
Edoardo Raspelli (Getty Images)
Nel riquadro: Mauro Micillo, responsabile Divisione IMI Corporate & Investment Banking di Intesa Sanpaolo (Getty Images)
L'ex procuratore di Pavia Mario Venditti (Ansa)