2025-03-23
«Levare fondi alla Pac per il riarmo è follia. L’Ue non può esistere senza l’agricoltura»
Ettore Prandini (Imagoeconomica)
Il presidente di Coldiretti Ettore Prandini: «La priorità dell’Europa deve essere la sicurezza alimentare, tutelata in primis da chi coltiva la terra».Ha riportato, sospinto e sostenuto da 20.000 aziende agricole scese in piazza a Parma, un importante successo convertendo l’Efsa - l’ente europeo che autorizza la messa in commercio degli alimenti - alla massima prudenza sui cibi sintetici; ieri Sergio Mattarella gli ha dato una mano sui dazi e insieme con gli agricoltori americani ha scritto una lettera a Donald Trump per denunciare che la guerra commerciale è un danno di qua e di là dall’Atlantico. Ettore Prandini, presidente di Coldiretti, si muove con un orizzonte internazionale. Del resto buona parte dei destini agricoli si decidono a Bruxelles «ed è lì - specifica d’acchito - che ci dobbiamo battere; abbiamo una prima scadenza esiziale: difendere la Pac e riaffermare che i contributi devono andare soltanto a chi lavora la terra». Comincia domani a Roma, in piazza della Repubblica voluta dal ministro per la sovranità alimentare Francesco Lollobrigida, la tre giorni di «Agricoltura È» per ricordare che i trattati di Roma sono partiti proprio dai campi. «Non c’è Europa senza agricoltura, va ribadito. Noi siamo eredi di quell’insegnamento di Benedetto da Norcia - l’Europa l’ha voluto a patrono, ma spesso se lo dimentica -che ha ricostituito le comunità attorno all’agricoltura per sostentare il corpo e l’anima».Presidente Prandini, si sussurra che Ursula von der Leyen voglia attingere ai fondi della Pac per il Readiness 2030. Che ne pensa?«È improponibile. Io penso e con me lo pensano tutti gli agricoltori europei che di fronte a questi scenari globali dobbiamo sostenere principalmente chi vive di agricoltura. I fondi della Pac dovrebbero essere aumentati, non diminuiti, e devono essere indirizzati solo agli agricoltori che investono e vivono di agricoltura. Non è più sopportabile che si diano soldi a chi fa altro nella vita solo perché possiede della terra. Aggiungo che quando si parla di sicurezza per prima cosa si dovrebbe parlare di sicurezza alimentare».Potrebbe mancare il cibo?«Quando abbiamo posto il tema della sovranità alimentare, che è stato fatto proprio dal nostro governo, c’è stata un’antipatica strumentalizzazione. Poi l’Europa lo ho fatto diventare un suo tema, ma bisogna sostenerla economicamente anche per sviluppare la ricerca che ci permetta di aumentare la produttività interna. Gli Usa e la Cina investono in sicurezza alimentare dieci volte quello che investe l’Europa. Penso, ad esempio, ai bacini di accumulo delle risorse idriche. Se in Lombardia con il 30% delle terre irrigue noi produciamo l’80% del Pil agricolo sarà il caso di chiedersi se possiamo aumentare questa produzione. Quando parla di ricerca parlo della Tea che noi di Coldiretti abbiamo portato al centro dell’attenzione. Significa, senza interventi sul genoma, avere piante resistenti. Penso all’agricoltura 4.0, quella di precisione».Anche i cibi fatti in laboratorio sono scienza e voi siete contrari. Vi hanno addirittura dato degli oscurantisti…«Nell’interlocuzione con l’Efsa abbiamo dimostrato che è necessaria la massima cautela quando si parla di alimentazione. Ed è altresì dimostrato che non ci può essere cibo senza agricoltura. L’attacco alla dieta mediterranea e la contemporanea diffusione di cibi ultraprocessati che sono all’origine dell’obesità infantile sono la dimostrazione di come in Europa si sia fatta strada l’idea che si può fare a meno dell’agricoltura. Sarebbe invece necessario fare una massiccia campagna di educazione alimentare nelle scuole. Noi lo abbiamo fatto. Così come mi piacerebbe che si facesse una giornata dedicata all’agricoltura in cui i ragazzi vengono a vedere cosa facciamo. A cominciare dagli istituti tecnici agrari. Abbiamo bisogno di formazione e di consapevolezza agricola, a cominciare dal dialogo con i consumatori. Quanto al fatto che noi siamo ostili alla ricerca ho appena dimostrato che è l’esatto contrario».Però Bruxelles col Farm to Fork è parsa andare in tutt’altra direzione…«Per fortuna Frans Timmermans ha cessato di operare a Bruxelles. L’ho detto in altre occasioni: l’Europa con l’agricoltura rischia di fare lo stesso errore che ha fatto con l’automotive. Hanno distrutto un settore in cui avevamo la leadership. I cibi fatti in laboratorio sono la fotocopia di quello che è successo con le auto. Vogliono fare dei prodotti indistinti che necessitano di antibiotici, di estrogeni, di ormoni, di sostanze chimiche. Tutta roba che nelle filiere tradizionali non ci sarà mai. Significa un attacco ai nostri primati con le Dop, con un sistema agroalimentare che vale 620 miliardi, 4 milioni di occupati, 70 miliardi di export. Per questo chiediamo un’Europa diversa capace di tornare a fare scelte lungimiranti. Ragionare di cibo, di democrazia alimentare, significa scongiurare il rischio che finisca nelle mani di pochi oligarchi». Dunque chiedete un’Europa diversa alla viglia di «Agricoltura È»?«Lo chiediamo con fermezza. Si pensi al paradosso del vino: si vuole introdurre, al di là delle super accise, l’etichetta con la dicitura: nuoce gravemente alla salute. Ci sono migliaia di studi medici, e noi collaboriamo e ci affidiamo alla scienza medica, che dicono il contrario. Certo l’abuso è sempre nocivo, ma l’abuso di tutto fa male. Perché non si parla delle migliaia di casi di ragazzi che vengono ricoverati con la tachicardia perché abusano di bevande eccitanti o dell’abuso degli antidepressivi? I colossi della nutrizione, che tra l’altro fanno con i farmaci ciò che fanno col cibo, a Bruxelles con le loro le lobby contano e pesano e talvolta lo fanno in maniera distorta. L’Europa che vogliamo è invece quella dove conta la politica e che fa l’ interesse dei cittadini. E che affermi altri due principi: l’etichetta di origine e la reciprocità sui prodotti. Non è possibile che una passata di pomodoro diventi europea con l’ultima trasformazione semplicemente aggiungendo acqua al concentrato cinese, non è possibile che entrino in Ue prodotti che non hanno gli stessi standard di qualità e di salubrità dei nostri. L’Europa che vogliamo ha come atto fondativo l’agricoltura».
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