2020-12-31
Etiope e simbolo dell’integrazione massacrata da un pastore ghanese
La «regina delle capre felici» del Trentino uccisa a martellate e stuprata per uno stipendio non pagato al collaboratore. I legionari del pensiero unico avevano subito bollato l'omicidio come questione razziale.La scena del crimine è la camera da letto, al secondo piano di un edificio di proprietà comunale, che comprende anche la canonica del paese, in località Plankerhoff di Frassilongo, Comune trentino di 350 anime. Il movente: uno stipendio non pagato. Uccisa a martellate e stuprata mentre era ancora agonizzante dalla persona che voleva aiutare, il suo dipendente ghanese. È finita nel peggiore dei modi la storia di Agitu Ideo Gudeta, classe 1978, l'etiope fuggita da Addis Abeba per rifugiarsi in Trentino, dove aveva conseguito una laurea in sociologia e mediaticamente era conosciuta con un soprannome: «La regina delle capre felici». Adams Suleimani, 32 anni, di professione pastore, dipendente di Gudeta, ha confessato, raccontando di aver preso un martello trovato in casa, di aver colpito la donna più volte, di averla parzialmente spogliata per compiere l'abuso sessuale mentre era agonizzante. E ha infine ammesso di aver capito che Gudeta era morta solo mentre usciva dalla stanza. A quel punto ha portato con sé il martello, lasciandolo in cantina dove è stato trovato dai carabinieri, e con una freddezza agghiacciante si è cambiato la giacca indossata al momento dell'omicidio. Ora cerca una giustificazione e versa lacrime di coccodrillo: «Non mi aveva pagato un mese di lavoro, ho perso la testa. Ma non volevo ucciderla. Sono pentito, vorrei tornare indietro. Mai, mai rifarei quello che ho fatto». Il ghanese ha esordito così al suo primo colloquio con il suo difensore, l'avvocato Fulvio Carlin, pochi minuti dopo il suo arresto, avvenuto l'altra notte.«Quella di Adams Suleimani è una personalità estremamente fragile che, estrapolata da un contesto di estrema difficoltà, non è mai riuscita a integrarsi con il tessuto sociale italiano», spiega l'avvocato, all'ingresso dell'istituto penitenziario di Trento, dopo l'interrogatorio terminato alle 3 della notte scorsa. «Anche il lavoro svolto qui in Italia», valuta il legale, «credo non gli abbia consentito di venire a contatto con un gran numero di persone per orari e difficoltà. L'occupazione in stalla, con gli animali, in una azienda agricola, comporta che si rimanga isolati da quello che è il canonico contesto sociale. Sono stato chiamato dopo il suo arresto e al mio arrivo aveva già reso spontanee dichiarazioni. Ha ammesso da subito le proprie responsabilità acconsentendo di sottoporsi all'interrogatorio per rendere così ufficiale quanto detto ai carabinieri». La confessione è stata un colpo di fortuna. Visto che il ghanese era stato convocato solo come persona informata sui fatti e gli investigatori si erano fiondati su un vicino di casa che un paio di anni fa aveva urlato contro Gudeta «brutta negra, devi morire». Per quelle offese e minacce era stato condannato a nove mesi di carcere. E senza la confessione di Suleimani, pur avendo fornito un alibi, probabilmente sarebbe stato il primo sospettato. Nel piccolo paese teatro del delitto, Frassilongo in Valle dei Mocheni, tra le montagne del Trentino, già si gridava all'omicidio con finalità di odio razziale. «Qualcuno», conferma la consigliera provinciale leghista Alessia Ambrosi, «aveva provato subito a cercare una presunta motivazione razziale alla base dell'orribile gesto». La delusione per la vulgata che aveva puntato tutto sul cittadino trentino deve essere stata tanta quando sui siti web della stampa locale sono cominciate a comparire le prime notizie sulla confessione del dipendente ghanese. «Gudeta», spiega Ambrosi, «era diventata simbolo di buona integrazione e di impegno femminile». Tanto da essere stata chiamata, nel 2017, da Emma Bonino come testimonial di una campagna per l'8 marzo. Il presidente della Provincia Maurizio Fugatti, che guida una giunta di centrodestra, ha fatto arrivare le sue condoglianze alla comunità trentina che l'aveva accolta. E ha commentato: «Questo omicidio ha sconvolto il Trentino, siamo di fronte alla pazzia umana che può arrivare a commettere simili gesti atroci».Gudeta era fuggita dal suo Paese dopo essere stata più volte minacciata a causa del suo impegno contro l'accaparramento delle terre da parte delle multinazionali e aveva cercato un futuro in Trentino. Lì aveva avviato la sua azienda agricola La capra felice. Poi, in piena epidemia da Coronavirus, aveva aperto anche una bottega nel centro di Trento.L'altra mattina Gudeta doveva incontrare un geometra per progettare l'ampliamento dell'azienda agricola. Il dipendente con lo stipendio arretrato, però, probabilmente non l'ha presa bene. E, incurante dell'esistenza dei Tribunali e delle istituzioni a tutela dei lavoratori, ha pensato di farsi giustizia da solo. A martellate. La confessione del ghanese, valutano in Procura (l'inchiesta è stata affidata al pm Giovanni Benelli), troverebbe ampie conferme nella ricostruzione fatta dagli investigatori e riassunta ai magistrati in una prima informativa. L'unico aspetto che viene ritenuto ancora da approfondire è la violenza sessuale. Durante l'ispezione cadaverica effettuata dal medico legale subito dopo la morte non sarebbero stati rilevati segni evidenti di uno stupro. Per questo la Procura attende l'esito dell'autopsia prima di contestare al pastore ghanese, oltre al reato di omicidio volontario, anche quello di violenza sessuale.