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2022-07-04
Estate con le ali spezzate. Sulle vacanze l’incubo del disastro aereo
Ansa
Voli cancellati, aeroporti nel caos, lunghe file ai check-in, attese di ore per recuperare le valige, ritardi a prova di pazienza salomonica. Benvenuti dell’odissea dell’estate 2022. Proprio ora che la stagione delle vacanze entra nel vivo, che l’allentamento delle restrizioni aveva fatto sperare nel ritorno alla normalità, ecco che i nodi del trasporto aereo vengono al pettine.
La ripresa del turismo è andata oltre le più rosee aspettative delle compagnie e ora che ci sono le condizioni per mettere a bilancio numeri da record, mancano piloti, controllori di volo, operatori aeroportuali. Non solo. A paralizzare i cieli ci sono pure gli scioperi selvaggi. Quello che doveva essere un ritorno alla normalità è invece caratterizzato dall’avvio di una stagione di conflittualità sindacale senza precedenti che va a colpire proprio quei vettori che hanno la domanda più alta, ovvero le low cost. Si potrebbe dire che i problemi del trasporto turistico, covati sotto la cenere, stanno venendo in superficie nel momento in cui il traffico è esploso.
Punto numero uno: la mancanza di personale negli aeroporti e sugli aerei. Cosa è accaduto? Seguendo la logica del massimo risparmio e non potendo applicare gli ammortizzatori sociali, la gran parte degli scali, messa in ginocchio dal crollo del traffico durante la pandemia, ha programmato un drastico taglio del personale. Stessa cosa hanno fatto le compagnie aeree. Ma come sono stati veloci a licenziare o a prepensionare il personale più avanti negli anni, non lo sono stati altrettanto a riassumere appena il vento delle prenotazioni è cambiato.
Così mentre gli scali si riempiono e sulle piattaforme web piovono le prenotazioni in anticipo rispetto all’alta stagione, l’imponente macchina di gestione del turismo aereo è andata in tilt.
Secondo quanto riportato dal Financial Times che ha avuto accesso a un documento dell’associazione di compagnie aeree Airlines for Europa, i problemi dureranno a lungo, per «gran parte dell’estate». Quindi non è un fatto transitorio. Alcune compagnie hanno addirittura diminuito i posti nei vettori. EasyJet, già a maggio, aveva eliminato l’ultima fila degli A319 per ridurre il personale aereo per ogni volo da quattro a tre. Il numero dei passeggeri scende così da 156 a 150 ed è rispettata la regola che a bordo ci deve essere almeno un membro del personale ogni 50 passeggeri.
Le compagnie sono alle prese con la difficoltà di rimpiazzare le unità tagliate durante la pandemia. Chi è stato licenziato, nel frattempo ha trovato un’altra collocazione e le scuole di formazione per piloti e assistenti di volo, non sono un bacino al quale attingere. Durante il lockdown si sono fermate e non hanno sfornato quelle unità ora indispensabili per colmare i buchi. Le cancellazioni e i ritardi stellari si spiegano con i 2 milioni di addetti in meno con cui il mondo del trasporto aereo si trova a dover fare i conti. Lufthansa ha annunciato che a luglio cancellerà 900 voli, British Airways ha tagliato i suoi voli del 10%. Anche gli aeroporti sono stati costretti a ridimensionare l’attività. L’hub londinese di Gatwick ha ridotto del 10% i voli in tabellone per luglio e agosto e lo stesso ha fatto lo scalo olandese do Amsterdam Schiphol. Numerosi collegamenti sono saltati anche a Londra Heatrow e su Parigi Charles De Gaulle.
I disagi sono amplificati inoltre dall’esternalizzazione di molte mansioni, appaltate a fornitori di servizi esterni che non riescono a compensare la mancanza di personale. Così chi è riuscito a prendere un volo pur con ritardi, all’arrivo deve vedersela con lunghe file e attese interminabili ai nastri per i bagagli.
C’è poi l’incognita degli scioperi. Le compagnie, soprattutto le low cost, travolte dall’aumento del traffico, hanno messo sotto pressione gli organici ridotti all’osso dalla pandemia. La situazione, da tempo sul filo del rasoio, con l’accusa alle proprietà di applicare condizioni più attente ai costi e meno alle condizioni del lavoro, è esplosa. Il personale di Ryanair, dopo la proclamazione dello sciopero in Belgio, ha annunciato analoghe iniziative in Spagna, Portogallo e Italia per luglio e agosto.
Il sindacato spagnolo ha piazzato nove giorni di stop, spalmati su tutto luglio, per il personale di cabina di Easy jet, come protesta per il mancato accordo sul contratto collettivo. Sono coinvolti 450 dipendenti con base a Barcellona, Malaga e Palma di Maiorca. Sabato scorso uno sciopero ha mandato in affanno gli scali parigini di Charles de Gaulle e Orly dove mancano 4mila addetti.
La situazione è grave anche negli Stati Uniti dove il settore aereo ha perso circa 100mila lavoratori durante la pandemia. Le compagnie, nonostante il pressing dei sindacati, non stanno accelerando nella copertura degli organici perché temono la recrudescenza del virus. Secondo alcuni analisti per il ritorno alla normalità serviranno almeno 18 mesi.
Cosa sta succedendo in Italia? Siccome gli hub in Francia, Uk, Germania e Belgio non riescono più a sostenere i volumi di traffico, Eurocontrol sta spostando le rotte a Sud, con maggiori attraversamenti del suolo italiano. La situazione nei nostri aeroporti è meno grave rispetto al resto d’Europa. «A differenza degli scali europei, gli aeroporti italiani stanno gestendo bene il flusso dei passeggeri in crescita, questo anche grazie al nostro sistema di ammortizzatori sociali che ha permesso di tutelare i livelli occupazionali e, non appena ce ne sono state le condizioni, di far rientrare i lavoratori» spiega il presidente di Assaeroporti, Carlo Borgomeo.
L’altra faccia di questa odissea estiva è l’aumento dei prezzi dei biglietti. Le compagnie aeree mentre sono lente a rimpiazzare il personale mancante, sono state velocissime a scaricare sull’utenza i maggiori costi dei carburanti. Secondo Assoutenti i voli internazionali sono rincarati del 103,3% e quelli nazionali del 21,4%.
Gli addetti ai lavori spiegano che il fenomeno è dovuto non solo all’aumento dei carburanti a seguito della guerra in Ucraina. Le compagnie sono tornate a volare dopo essere rimaste ferme per due anni e questo ha portato a rincari in tutto il settore. Normalmente le tariffe estive vengono pianificate a marzo ma la situazione si è aggravata e non era possibile alcuna stima sull’impatto della guerra.
Viaggiare a queste condizioni, diventa un atto di coraggio più che un piacere.
«Le compagnie hanno sbagliato le previsioni»
Nemmeno l’Enac (Ente nazionale per l’aviazione civile) ne può più dei disagi creati dalle low cost che stanno creando problemi negli aeroporti. In un incontro ha richiamato le compagnie al rispetto degli «obblighi previsti dal regolamento comunitario nel caso di cancellazioni e ritardi, assicurando una trasparente e tempestiva informazione ai passeggeri ed una pronta e efficace assistenza, in caso di disservizi, soprattutto nei confronti di coloro con disabilità e ridotta mobilità». L’Ente ha anche sollecitato un intervento con «concrete azioni mitigative necessarie a ridurre e evitare ulteriori disservizi in relazione al crescente traffico atteso per la stagione estiva». Come dire che i passeggeri non possono diventare ostaggi delle low cost che all’ultimo momento annullano o spostano i voli senza badare alle ricadute sull’utenza. E senza preoccuparsi di mandare in tilt gli scali. «Gli hub italiani non hanno problemi di personale. I disagi sono di importazione», afferma il presidente Enac, Pierluigi Di Palma. «Gli interventi del governo durante la pandemia con aiuti al settore per 800 milioni e la cassa integrazione, hanno consentito la continuità e messo il nostro sistema nelle condizioni di farsi trovare pronto per la ripartenza».
Ciò che invece non è accaduto negli aeroporti europei.
«In Europa il personale è stato ridotto e ora che il traffico aereo è esploso non ci sono le forze per gestirlo. Rimpiazzare chi è stato mandato via non è facile. Ogni nuovo assunto richiede un periodo di formazione. In Italia gli aeroporti sono rimasti presidiati in modo adeguato. Noi avevamo previsto che, come è accaduto dopo l’attentato alle Torri Gemelle quando c’è stato un crollo degli spostamenti che poi sono ripresi velocemente, così dopo la pandemia ci sarebbe stata una rapida risalita del traffico. Tutti gli analisti del settore in Europa invece indicavano la ripresa non prima del 2028. Queste stime sbagliate hanno condizionato la programmazione e determinato la situazione di sofferenza che ora si è creata».
Gli aeroporti però subiscono le cancellazioni delle compagnie aeree. Come vi regolate?
«Sui ritardi e gli annullamenti decisi dai vettori, non possiamo farci nulla. Stiamo intervenendo per facilitare la vita ai passeggeri che arrivano di notte e non trovano i treni per andare in città. Il gestore aeroportuale si fa carico di garantire i servizi di collegamento, chiamando taxi e Ncc che ci può esserci un flusso di arrivi fuori dell’orario previsto».
Quale è la situazione del traffico negli aeroporti?
«Assistiamo a una fidelizzazione del turismo italiano che ha riscoperto il Mezzogiorno. Palermo, Catania, Napoli e gli scali della Puglia, hanno numeri, su base mensile, superiori al 2019. Palermo, nonostante le difficoltà legate ai lavori infrastrutturali in corso, ha segnato a maggio un incremento degli arrivi del 7% e a giugno del 4% rispetto al pre Covid. Grande movimento anche su Linate, Malpensa e Fiumicino. I disagi sono di importazione, vengono dalle low cost. È un’estate che può presentare alcune difficoltà ma in Italia meno che in Europa. Sto facendo il giro per gli scali monitorando la situazione per dare una risposta alle criticità. Se un aereo arriva in ritardo e contestualmente ne atterra un altro programmato, ci sono due aerei da servire. Si crea un picco inaspettato. Quindi le difficoltà vanno messe in conto ma grandi situazioni di criticità non ce ne sono, come organizzazione aeroportuale. Rispetto ai vettori possiamo poco. Abbiamo chiesto il rispetto del regolamento comunitario nell’informare prontamente i passeggeri».
«Passare da Alitalia a Ita è stato un regalo per le low cost»
«Il passaggio da Alitalia a Ita è stato un regalo per le low cost che hanno occupato subito quote di mercato. Ora la ex compagnia di bandiera è ridotta ad un ruolo così marginale che mi chiedo che interesse possa avere ancora qualcuno a comprarla». Ugo Arrigo, docente di economia politica all’università di Milano Bicocca ed esperto di trasporti, guarda con grande scetticismo all’esito della trattativa sulla cessione di Ita e sul suo futuro. «Ci sono alcuni punti oscuri. I potenziali acquirenti hanno chiesto come la compagnia ha reagito all’aumento dei costi energetici. Vogliono giustamente sapere quanto del maggior costo energetico, è stato recuperato con il fatturato. Hanno chiesto di avere accesso ai dati riservati per capire lo stato di salute reale del vettore. Finora però tutto è avvolto nella nebbia. Una cosa un po’ singolare, considerando che stiamo parlando di un’operazione che, seppur in svendita, riguarda una compagnia aerea con un passato importante».
L’azienda, secondo gli ultimi dati pubblici, continua a perdere circa 2 milioni di euro al giorno. Ma non è come in passato, colpa dei trattamenti d’oro di piloti e personale di bordo. Questa volta non si può mettere sul banco degli imputati il personale. La nuova compagnia ha pochi dipendenti, con trattamenti economici e benefit all’osso e ha una cinquantina di aerei per non fare il passo più lungo della gamba. Come mai con una struttura così snella non riesce a risalire la china? Interrogativo senza risposta.
Il Tesoro, che detiene il 100% di Ita, ha dato alla dirigenza tempo fino al 7-8 luglio, al massimo, per concludere l’operazione di acquisizione con la cordata italo-tedesca o con quella franco-americana. Da una parte Msc e Lufthansa, che valutano la compagnia di bandiera 1 miliardo, dall’altra il fondo Certares assieme a Delta Airlines, Air France e Klm che prezzano Ita tra i 650 e gli 850 milioni di euro. Gli acquirenti dovrebbero rilevare l’80% delle quote mentre al Mef resterebbe il 20% ma pare che il Tesoro voglia ritirarsi progressivamente. Una volta individuata la cordata, vanno messi a punto i dettagli per ufficializzare la cessione entro dicembre.
Nel frattempo tra metamorfosi della vecchia Alitalia e ricerca di un partner, cosa accade sul mercato?
«Il mercato non è stato fermo, anzi. Se guardiamo all’offerta delle low cost, ci accorgiamo che è aumentata del 50% rispetto al pre Covid. Questo significa che Ryanair, Easyjet, Wizzair, hanno occupato gli spazi lasciati liberi da Alitalia. L’eventuale accordo con una delle due cordate, ammesso che si raggiunga, cosa di cui dubito molto, porterà altre trasformazioni sui cieli italiani».
Un vantaggio o una penalizzazione?
«Ita ha ormai un ruolo così marginale sul mercato italiano e su quello internazionale che la cordata acquirente non andrà certo a investire sul nostro Paese dove le quote se le sono già spartite le low cost ed è molto difficile recuperare il terreno perso».
Quindi Ita a cosa può servire all’acquirente?
«Serve semplicemente ad alimentare il proprio hub oltre le nostre frontiere, cioè Francoforte, Parigi, Monaco. In sostanza gli scali di Ita servono per far confluire il traffico verso il Nord. Quanto alle rotte di lungo raggio, gli intercontinentali, non resteranno voli diretti ma si faranno scali negli aeroporti europei».
Quali conseguenze per chi viaggia?
«Meno collegamenti diretti e biglietti più cari. I passeggeri che si spostano sul nazionale e in Europa, è probabile che nel medio termine possano avere dei vantaggi con le low cost in espansione. Ma è un vantaggio destinato a durare poco. Non appena la domanda si intensifica i prezzi cominciano a salire e allora chi viaggia e vuole risparmiare, dovrà prenotare con largo anticipo o muoversi fuori dell’alta stagione. Ita, che già sulle tratte nazionali fa poco, in un prossimo futuro farà ancora meno. L’interesse dei nuovi proprietari sarà solo l’interconnessione degli scali italiani con quelli europei di loro controllo. Per Ita poi sta emergendo anche un problema di immagine».
Problema di immagine in che senso?
«Nel senso dell’affidabilità. Il punto di vantaggio rispetto alle low cost era l’efficienza, il servizio impeccabile, la sicurezza. Questo nel passato. Ora abbiamo il caso del pilota che si addormenta e non risponde alla torre di controllo, facendo scattare l’allerta nello spazio aereo francese e l’incidente all’aeroporto di New York con un velivolo che ha urtato un Air France mentre stava rullando. Dalle recensioni riportate sul sito Trustpilot, emerge che su 67 commenti nella pagina dedicata a Ita, l’82% ha valutato scarso il servizio, il 9% mediocre e solo il 9% eccezionale».
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Turisti costretti a destreggiarsi tra collegamenti saltati e rincari dei biglietti superiori al 100%. In Europa, tra luglio e agosto, rischiano di essere cancellati oltre 140.000 voli, rovinando le ferie a 1,8 milioni di passeggeri che potrebbero restare a terra.Il presidente Enac Pierluigi Di Palma: «Noi eravamo pronti alla rapida risalita del traffico, i disagi sono di importazione».L’esperto di trasporti Ugo Arrigo: «La lunga crisi ha fatto perdere quote di mercato prese da altri. Difficile trovare nuovi investitori».Lo speciale contiene tre articoliVoli cancellati, aeroporti nel caos, lunghe file ai check-in, attese di ore per recuperare le valige, ritardi a prova di pazienza salomonica. Benvenuti dell’odissea dell’estate 2022. Proprio ora che la stagione delle vacanze entra nel vivo, che l’allentamento delle restrizioni aveva fatto sperare nel ritorno alla normalità, ecco che i nodi del trasporto aereo vengono al pettine.La ripresa del turismo è andata oltre le più rosee aspettative delle compagnie e ora che ci sono le condizioni per mettere a bilancio numeri da record, mancano piloti, controllori di volo, operatori aeroportuali. Non solo. A paralizzare i cieli ci sono pure gli scioperi selvaggi. Quello che doveva essere un ritorno alla normalità è invece caratterizzato dall’avvio di una stagione di conflittualità sindacale senza precedenti che va a colpire proprio quei vettori che hanno la domanda più alta, ovvero le low cost. Si potrebbe dire che i problemi del trasporto turistico, covati sotto la cenere, stanno venendo in superficie nel momento in cui il traffico è esploso. Punto numero uno: la mancanza di personale negli aeroporti e sugli aerei. Cosa è accaduto? Seguendo la logica del massimo risparmio e non potendo applicare gli ammortizzatori sociali, la gran parte degli scali, messa in ginocchio dal crollo del traffico durante la pandemia, ha programmato un drastico taglio del personale. Stessa cosa hanno fatto le compagnie aeree. Ma come sono stati veloci a licenziare o a prepensionare il personale più avanti negli anni, non lo sono stati altrettanto a riassumere appena il vento delle prenotazioni è cambiato. Così mentre gli scali si riempiono e sulle piattaforme web piovono le prenotazioni in anticipo rispetto all’alta stagione, l’imponente macchina di gestione del turismo aereo è andata in tilt. Secondo quanto riportato dal Financial Times che ha avuto accesso a un documento dell’associazione di compagnie aeree Airlines for Europa, i problemi dureranno a lungo, per «gran parte dell’estate». Quindi non è un fatto transitorio. Alcune compagnie hanno addirittura diminuito i posti nei vettori. EasyJet, già a maggio, aveva eliminato l’ultima fila degli A319 per ridurre il personale aereo per ogni volo da quattro a tre. Il numero dei passeggeri scende così da 156 a 150 ed è rispettata la regola che a bordo ci deve essere almeno un membro del personale ogni 50 passeggeri. Le compagnie sono alle prese con la difficoltà di rimpiazzare le unità tagliate durante la pandemia. Chi è stato licenziato, nel frattempo ha trovato un’altra collocazione e le scuole di formazione per piloti e assistenti di volo, non sono un bacino al quale attingere. Durante il lockdown si sono fermate e non hanno sfornato quelle unità ora indispensabili per colmare i buchi. Le cancellazioni e i ritardi stellari si spiegano con i 2 milioni di addetti in meno con cui il mondo del trasporto aereo si trova a dover fare i conti. Lufthansa ha annunciato che a luglio cancellerà 900 voli, British Airways ha tagliato i suoi voli del 10%. Anche gli aeroporti sono stati costretti a ridimensionare l’attività. L’hub londinese di Gatwick ha ridotto del 10% i voli in tabellone per luglio e agosto e lo stesso ha fatto lo scalo olandese do Amsterdam Schiphol. Numerosi collegamenti sono saltati anche a Londra Heatrow e su Parigi Charles De Gaulle. I disagi sono amplificati inoltre dall’esternalizzazione di molte mansioni, appaltate a fornitori di servizi esterni che non riescono a compensare la mancanza di personale. Così chi è riuscito a prendere un volo pur con ritardi, all’arrivo deve vedersela con lunghe file e attese interminabili ai nastri per i bagagli.C’è poi l’incognita degli scioperi. Le compagnie, soprattutto le low cost, travolte dall’aumento del traffico, hanno messo sotto pressione gli organici ridotti all’osso dalla pandemia. La situazione, da tempo sul filo del rasoio, con l’accusa alle proprietà di applicare condizioni più attente ai costi e meno alle condizioni del lavoro, è esplosa. Il personale di Ryanair, dopo la proclamazione dello sciopero in Belgio, ha annunciato analoghe iniziative in Spagna, Portogallo e Italia per luglio e agosto.Il sindacato spagnolo ha piazzato nove giorni di stop, spalmati su tutto luglio, per il personale di cabina di Easy jet, come protesta per il mancato accordo sul contratto collettivo. Sono coinvolti 450 dipendenti con base a Barcellona, Malaga e Palma di Maiorca. Sabato scorso uno sciopero ha mandato in affanno gli scali parigini di Charles de Gaulle e Orly dove mancano 4mila addetti.La situazione è grave anche negli Stati Uniti dove il settore aereo ha perso circa 100mila lavoratori durante la pandemia. Le compagnie, nonostante il pressing dei sindacati, non stanno accelerando nella copertura degli organici perché temono la recrudescenza del virus. Secondo alcuni analisti per il ritorno alla normalità serviranno almeno 18 mesi. Cosa sta succedendo in Italia? Siccome gli hub in Francia, Uk, Germania e Belgio non riescono più a sostenere i volumi di traffico, Eurocontrol sta spostando le rotte a Sud, con maggiori attraversamenti del suolo italiano. La situazione nei nostri aeroporti è meno grave rispetto al resto d’Europa. «A differenza degli scali europei, gli aeroporti italiani stanno gestendo bene il flusso dei passeggeri in crescita, questo anche grazie al nostro sistema di ammortizzatori sociali che ha permesso di tutelare i livelli occupazionali e, non appena ce ne sono state le condizioni, di far rientrare i lavoratori» spiega il presidente di Assaeroporti, Carlo Borgomeo.L’altra faccia di questa odissea estiva è l’aumento dei prezzi dei biglietti. Le compagnie aeree mentre sono lente a rimpiazzare il personale mancante, sono state velocissime a scaricare sull’utenza i maggiori costi dei carburanti. Secondo Assoutenti i voli internazionali sono rincarati del 103,3% e quelli nazionali del 21,4%.Gli addetti ai lavori spiegano che il fenomeno è dovuto non solo all’aumento dei carburanti a seguito della guerra in Ucraina. Le compagnie sono tornate a volare dopo essere rimaste ferme per due anni e questo ha portato a rincari in tutto il settore. 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I disagi sono di importazione», afferma il presidente Enac, Pierluigi Di Palma. «Gli interventi del governo durante la pandemia con aiuti al settore per 800 milioni e la cassa integrazione, hanno consentito la continuità e messo il nostro sistema nelle condizioni di farsi trovare pronto per la ripartenza». Ciò che invece non è accaduto negli aeroporti europei. «In Europa il personale è stato ridotto e ora che il traffico aereo è esploso non ci sono le forze per gestirlo. Rimpiazzare chi è stato mandato via non è facile. Ogni nuovo assunto richiede un periodo di formazione. In Italia gli aeroporti sono rimasti presidiati in modo adeguato. Noi avevamo previsto che, come è accaduto dopo l’attentato alle Torri Gemelle quando c’è stato un crollo degli spostamenti che poi sono ripresi velocemente, così dopo la pandemia ci sarebbe stata una rapida risalita del traffico. Tutti gli analisti del settore in Europa invece indicavano la ripresa non prima del 2028. Queste stime sbagliate hanno condizionato la programmazione e determinato la situazione di sofferenza che ora si è creata». Gli aeroporti però subiscono le cancellazioni delle compagnie aeree. Come vi regolate? «Sui ritardi e gli annullamenti decisi dai vettori, non possiamo farci nulla. Stiamo intervenendo per facilitare la vita ai passeggeri che arrivano di notte e non trovano i treni per andare in città. Il gestore aeroportuale si fa carico di garantire i servizi di collegamento, chiamando taxi e Ncc che ci può esserci un flusso di arrivi fuori dell’orario previsto». Quale è la situazione del traffico negli aeroporti? «Assistiamo a una fidelizzazione del turismo italiano che ha riscoperto il Mezzogiorno. Palermo, Catania, Napoli e gli scali della Puglia, hanno numeri, su base mensile, superiori al 2019. Palermo, nonostante le difficoltà legate ai lavori infrastrutturali in corso, ha segnato a maggio un incremento degli arrivi del 7% e a giugno del 4% rispetto al pre Covid. Grande movimento anche su Linate, Malpensa e Fiumicino. I disagi sono di importazione, vengono dalle low cost. È un’estate che può presentare alcune difficoltà ma in Italia meno che in Europa. Sto facendo il giro per gli scali monitorando la situazione per dare una risposta alle criticità. Se un aereo arriva in ritardo e contestualmente ne atterra un altro programmato, ci sono due aerei da servire. Si crea un picco inaspettato. Quindi le difficoltà vanno messe in conto ma grandi situazioni di criticità non ce ne sono, come organizzazione aeroportuale. Rispetto ai vettori possiamo poco. 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Ugo Arrigo, docente di economia politica all’università di Milano Bicocca ed esperto di trasporti, guarda con grande scetticismo all’esito della trattativa sulla cessione di Ita e sul suo futuro. «Ci sono alcuni punti oscuri. I potenziali acquirenti hanno chiesto come la compagnia ha reagito all’aumento dei costi energetici. Vogliono giustamente sapere quanto del maggior costo energetico, è stato recuperato con il fatturato. Hanno chiesto di avere accesso ai dati riservati per capire lo stato di salute reale del vettore. Finora però tutto è avvolto nella nebbia. Una cosa un po’ singolare, considerando che stiamo parlando di un’operazione che, seppur in svendita, riguarda una compagnia aerea con un passato importante». L’azienda, secondo gli ultimi dati pubblici, continua a perdere circa 2 milioni di euro al giorno. Ma non è come in passato, colpa dei trattamenti d’oro di piloti e personale di bordo. Questa volta non si può mettere sul banco degli imputati il personale. La nuova compagnia ha pochi dipendenti, con trattamenti economici e benefit all’osso e ha una cinquantina di aerei per non fare il passo più lungo della gamba. Come mai con una struttura così snella non riesce a risalire la china? Interrogativo senza risposta. Il Tesoro, che detiene il 100% di Ita, ha dato alla dirigenza tempo fino al 7-8 luglio, al massimo, per concludere l’operazione di acquisizione con la cordata italo-tedesca o con quella franco-americana. Da una parte Msc e Lufthansa, che valutano la compagnia di bandiera 1 miliardo, dall’altra il fondo Certares assieme a Delta Airlines, Air France e Klm che prezzano Ita tra i 650 e gli 850 milioni di euro. Gli acquirenti dovrebbero rilevare l’80% delle quote mentre al Mef resterebbe il 20% ma pare che il Tesoro voglia ritirarsi progressivamente. Una volta individuata la cordata, vanno messi a punto i dettagli per ufficializzare la cessione entro dicembre. Nel frattempo tra metamorfosi della vecchia Alitalia e ricerca di un partner, cosa accade sul mercato? «Il mercato non è stato fermo, anzi. Se guardiamo all’offerta delle low cost, ci accorgiamo che è aumentata del 50% rispetto al pre Covid. Questo significa che Ryanair, Easyjet, Wizzair, hanno occupato gli spazi lasciati liberi da Alitalia. L’eventuale accordo con una delle due cordate, ammesso che si raggiunga, cosa di cui dubito molto, porterà altre trasformazioni sui cieli italiani». Un vantaggio o una penalizzazione? «Ita ha ormai un ruolo così marginale sul mercato italiano e su quello internazionale che la cordata acquirente non andrà certo a investire sul nostro Paese dove le quote se le sono già spartite le low cost ed è molto difficile recuperare il terreno perso». Quindi Ita a cosa può servire all’acquirente? «Serve semplicemente ad alimentare il proprio hub oltre le nostre frontiere, cioè Francoforte, Parigi, Monaco. In sostanza gli scali di Ita servono per far confluire il traffico verso il Nord. Quanto alle rotte di lungo raggio, gli intercontinentali, non resteranno voli diretti ma si faranno scali negli aeroporti europei». Quali conseguenze per chi viaggia? «Meno collegamenti diretti e biglietti più cari. I passeggeri che si spostano sul nazionale e in Europa, è probabile che nel medio termine possano avere dei vantaggi con le low cost in espansione. Ma è un vantaggio destinato a durare poco. Non appena la domanda si intensifica i prezzi cominciano a salire e allora chi viaggia e vuole risparmiare, dovrà prenotare con largo anticipo o muoversi fuori dell’alta stagione. Ita, che già sulle tratte nazionali fa poco, in un prossimo futuro farà ancora meno. L’interesse dei nuovi proprietari sarà solo l’interconnessione degli scali italiani con quelli europei di loro controllo. Per Ita poi sta emergendo anche un problema di immagine». Problema di immagine in che senso? «Nel senso dell’affidabilità. Il punto di vantaggio rispetto alle low cost era l’efficienza, il servizio impeccabile, la sicurezza. Questo nel passato. Ora abbiamo il caso del pilota che si addormenta e non risponde alla torre di controllo, facendo scattare l’allerta nello spazio aereo francese e l’incidente all’aeroporto di New York con un velivolo che ha urtato un Air France mentre stava rullando. Dalle recensioni riportate sul sito Trustpilot, emerge che su 67 commenti nella pagina dedicata a Ita, l’82% ha valutato scarso il servizio, il 9% mediocre e solo il 9% eccezionale».
Da sinistra: Bruno Migale, Ezio Simonelli, Vittorio Pisani, Luigi De Siervo, Diego Parente e Maurizio Improta
Questa mattina la Lega Serie A ha ricevuto il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, insieme ad altri vertici della Polizia, per un incontro dedicato alla sicurezza negli stadi e alla gestione dell’ordine pubblico. Obiettivo comune: sviluppare strumenti e iniziative per un calcio più sicuro, inclusivo e rispettoso.
Oggi, negli uffici milanesi della Lega Calcio Serie A, il mondo del calcio professionistico ha ospitato le istituzioni di pubblica sicurezza per un confronto diretto e costruttivo.
Il capo della Polizia, prefetto Vittorio Pisani, accompagnato da alcune delle figure chiave del dipartimento - il questore di Milano Bruno Migale, il dirigente generale di P.S. prefetto Diego Parente e il presidente dell’Osservatorio nazionale sulle manifestazioni sportive Maurizio Improta - ha incontrato i vertici della Lega, guidati dal presidente Ezio Simonelli, dall’amministratore delegato Luigi De Siervo e dall’head of competitions Andrea Butti.
Al centro dell’incontro, durato circa un’ora, temi di grande rilevanza per il calcio italiano: la sicurezza negli stadi e la gestione dell’ordine pubblico durante le partite di Serie A. Secondo quanto emerso, si è trattato di un momento di dialogo concreto, volto a rafforzare la collaborazione tra istituzioni e club, con l’obiettivo di rendere le competizioni sportive sempre più sicure per tifosi, giocatori e operatori.
Il confronto ha permesso di condividere esperienze, criticità e prospettive future, aprendo la strada a un percorso comune per sviluppare strumenti e iniziative capaci di garantire un ambiente rispettoso e inclusivo. La volontà di entrambe le parti è chiara: non solo prevenire episodi di violenza o disordine, ma anche favorire la cultura del rispetto, elemento indispensabile per la crescita del calcio italiano e per la tutela dei tifosi.
«L’incontro di oggi rappresenta un passo importante nella collaborazione tra Lega e Forze dell’Ordine», si sottolinea nella nota ufficiale diffusa al termine della visita dalla Lega Serie A. L’intenzione condivisa è quella di creare un dialogo costante, capace di tradursi in azioni concrete, procedure aggiornate e interventi mirati negli stadi di tutta Italia.
In un contesto sportivo sempre più complesso, dove la passione dei tifosi può trasformarsi rapidamente in tensione, il dialogo tra Lega e Polizia appare strategico. La sfida, spiegano i partecipanti, è costruire una rete di sicurezza che sia preventiva, reattiva e sostenibile, tutelando chi partecipa agli eventi senza compromettere l’atmosfera che caratterizza il calcio italiano.
L’appuntamento di Milano conferma come la sicurezza negli stadi non sia solo un tema operativo, ma un valore condiviso: la Serie A e le forze dell’ordine intendono camminare insieme, passo dopo passo, verso un calcio sempre più sicuro, inclusivo e rispettoso.
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Due bambini svaniti nel nulla. Mamma e papà non hanno potuto fargli neppure gli auguri di compleanno, qualche giorno fa, quando i due fratellini hanno compiuto 5 e 9 anni in comunità. Eppure una telefonata non si nega neanche al peggior delinquente. Dunque perché a questi genitori viene negato il diritto di vedere e sentire i loro figli? Qual è la grave colpa che avrebbero commesso visto che i bimbi stavano bene?
Un allontanamento che oggi mostra troppi lati oscuri. A partire dal modo in cui quel 16 ottobre i bimbi sono stati portati via con la forza, tra le urla strazianti. Alle ore 11.10, come denunciano le telecamere di sorveglianza della casa, i genitori vengono attirati fuori al cancello da due carabinieri. Alle 11.29 spuntano dal bosco una decina di agenti, armati di tutto punto e col giubbotto antiproiettile. E mentre gridano «Pigliali, pigliali tutti!» fanno irruzione nella casa, dove si trovano, da soli, i bambini. I due fratellini vengono portati fuori dagli agenti, il più piccolo messo a sedere, sulle scale, col pigiamino e senza scarpe. E solo quindici minuti dopo, alle 11,43, come registrano le telecamere, arrivano le assistenti sociali che portano via i bambini tra le urla disperate.
Una procedura al di fuori di ogni regola. Che però ottiene l’appoggio della giudice Nadia Todeschini, del Tribunale dei minori di Firenze. Come riferisce un ispettore ripreso dalle telecamere di sorveglianza della casa: «Ho telefonato alla giudice e le ho detto: “Dottoressa, l’operazione è andata bene. I bambini sono con i carabinieri. E adesso sono arrivati gli assistenti sociali”. E la giudice ha risposto: “Non so come ringraziarvi!”».
Dunque, chi ha dato l’ordine di agire in questo modo? E che trauma è stato inferto a questi bambini? Giriamo la domanda a Marina Terragni, Garante per l’infanzia e l’adolescenza. «Per la nostra Costituzione un bambino non può essere prelevato con la forza», conferma, «per di più se non è in borghese. Ci sono delle sentenze della Cassazione. Queste modalità non sono conformi allo Stato di diritto. Se il bambino non vuole andare, i servizi sociali si debbono fermare. Purtroppo ci stiamo abituando a qualcosa che è fuori legge».
Proviamo a chiedere spiegazioni ai servizi sociali dell’unione Montana dei comuni Valtiberina, ma l’accoglienza non è delle migliori. Prima minacciano di chiamare i carabinieri. Poi, la più giovane ci chiude la porta in faccia con un calcio. È Veronica Savignani, che quella mattina, come mostrano le telecamere, afferra il bimbo come un pacco. E mentre lui scalcia e grida disperato - «Aiuto! Lasciatemi andare» - lei lo rimprovera: «Ma perché urli?». Dopo un po’ i toni cambiano. Esce a parlarci Sara Spaterna. C’era anche lei quel giorno, con la collega Roberta Agostini, per portare via i bambini. Ma l’unica cosa di cui si preoccupa è che «è stata rovinata la sua immagine». E alle nostre domande ripete come una cantilena: «Non posso rispondere». Anche la responsabile dei servizi, Francesca Meazzini, contattata al telefono, si trincera dietro un «non posso dirle nulla».
Al Tribunale dei Minoridi Firenze, invece, parte lo scarica barile. La presidente, Silvia Chiarantini, dice che «l’allontanamento è avvenuto secondo le regole di legge». E ci conferma che i genitori possono vedere i figli in incontri protetti. E allora perché da due mesi a mamma e papà non è stata concessa neppure una telefonata? E chi pagherà per il trauma fatto a questi bambini?
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Il premier: «Il governo ci ha creduto fin dall’inizio, impulso decisivo per nuovi traguardi».
«Il governo ha creduto fin dall’inizio in questa sfida e ha fatto la sua parte per raggiungere questo traguardo. Ringrazio i ministri Lollobrigida e Giuli che hanno seguito il dossier, ma è stata una partita che non abbiamo giocato da soli: abbiamo vinto questa sfida insieme al popolo italiano. Questo riconoscimento imprimerà al sistema Italia un impulso decisivo per raggiungere nuovi traguardi».
Lo ha detto la premier Giorgia Meloni in un videomessaggio celebrando l’entrata della cucina italiana nei patrimoni culturali immateriali dell’umanità. È la prima cucina al mondo a essere riconosciuta nella sua interezza. A deliberarlo, all’unanimità, è stato il Comitato intergovernativo dell’Unesco, riunito a New Delhi, in India.
Ansa
I vaccini a Rna messaggero contro il Covid favoriscono e velocizzano, se a dosi ripetute, la crescita di piccoli tumori già presenti nell’organismo e velocizzano la crescita di metastasi. È quanto emerge dalla letteratura scientifica e, in particolare, dagli esperimenti fatti in vitro sulle cellule e quelli sui topi, così come viene esposto nello studio pubblicato lo scorso 2 dicembre sulla rivista Mdpi da Ciro Isidoro, biologo, medico, patologo e oncologo sperimentale, nonché professore ordinario di patologia generale all’Università del Piemonte orientale di Novara. Lo studio è una review, ovvero una sintesi critica dei lavori scientifici pubblicati finora sull’argomento, e le conclusioni a cui arriva sono assai preoccupanti. Dai dati scientifici emerge che sia il vaccino a mRna contro il Covid sia lo stesso virus possono favorire la crescita di tumori e metastasi già esistenti. Inoltre, alla luce dei dati clinici a disposizione, emerge sempre più chiaramente che a questo rischio di tumori e metastasi «accelerati» appaiono più esposti i vaccinati con più dosi. Fa notare Isidoro: «Proprio a causa delle ripetute vaccinazioni i vaccinati sono più soggetti a contagiarsi e dunque - sebbene sia vero che il vaccino li protegge, ma temporaneamente, dal Covid grave - queste persone si ritrovano nella condizione di poter subire contemporaneamente i rischi oncologici provocati da vaccino e virus naturale messi insieme».
Sono diversi i meccanismi cellulari attraverso cui il vaccino può velocizzare l’andamento del cancro analizzati negli studi citati nella review di Isidoro, intitolata «Sars-Cov2 e vaccini anti-Covid-19 a mRna: Esiste un plausibile legame meccanicistico con il cancro?». Tra questi studi, alcuni rilevano che, in conseguenza della vaccinazione anti-Covid a mRna - e anche in conseguenza del Covid -, «si riduce Ace 2», enzima convertitore di una molecola chiamata angiotensina II, favorendo il permanere di questa molecola che favorisce a sua volta la proliferazione dei tumori. Altri dati analizzati nella review dimostrano inoltre che sia il virus che i vaccini di nuova generazione portano ad attivazione di geni e dunque all’attivazione di cellule tumorali. Altri dati ancora mostrano come sia il virus che il vaccino inibiscano l’espressione di proteine che proteggono dalle mutazioni del Dna.
Insomma, il vaccino anti-Covid, così come il virus, interferisce nei meccanismi cellulari di protezione dal cancro esponendo a maggiori rischi chi ha già una predisposizione genetica alla formazione di cellule tumorali e i malati oncologici con tumori dormienti, spiega Isidoro, facendo notare come i vaccinati con tre o più dosi si sono rivelati più esposti al contagio «perché il sistema immunitario in qualche modo viene ingannato e si adatta alla spike e dunque rende queste persone più suscettibili ad infettarsi».
Nella review anche alcune conferme agli esperimenti in vitro che arrivano dal mondo reale, come uno studio retrospettivo basato su un’ampia coorte di individui non vaccinati (595.007) e vaccinati (2.380.028) a Seul, che ha rilevato un’associazione tra vaccinazione e aumento del rischio di cancro alla tiroide, allo stomaco, al colon-retto, al polmone, al seno e alla prostata. «Questi dati se considerati nel loro insieme», spiega Isidoro, «convergono alla stessa conclusione: dovrebbero suscitare sospetti e stimolare una discussione nella comunità scientifica».
D’altra parte, anche Katalin Karikó, la biochimica vincitrice nel 2023 del Nobel per la Medicina proprio in virtù dei suoi studi sull’Rna applicati ai vaccini anti Covid, aveva parlato di questi possibili effetti collaterali di «acceleratore di tumori già esistenti». In particolare, in un’intervista rilasciata a Die Welt lo scorso gennaio, la ricercatrice ungherese aveva riferito della conversazione con una donna sulla quale, due giorni dopo l’inoculazione, era comparso «un grosso nodulo al seno». La signora aveva attribuito l’insorgenza del cancro al vaccino, mentre la scienziata lo escludeva ma tuttavia forniva una spiegazione del fenomeno: «Il cancro c’era già», spiegava Karikó, «e la vaccinazione ha dato una spinta in più al sistema immunitario, così che le cellule di difesa immunitaria si sono precipitate in gran numero sul nemico», sostenendo, infine, che il vaccino avrebbe consentito alla malcapitata di «scoprire più velocemente il cancro», affermazione che ha lasciato e ancor di più oggi lascia - alla luce di questo studio di Isidoro - irrisolti tanti interrogativi, soprattutto di fronte all’incremento in numero dei cosiddetti turbo-cancri e alla riattivazione di metastasi in malati oncologici, tutti eventi che si sono manifestati post vaccinazione anti- Covid e non hanno trovato altro tipo di plausibilità biologica diversa da una possibile correlazione con i preparati a mRna.
«Marginale il gabinetto di Speranza»
Mentre eravamo chiusi in casa durante il lockdown, il più lungo di tutti i Paesi occidentali, ognuno di noi era certo in cuor suo che i decisori che apparecchiavano ogni giorno alle 18 il tragico rito della lettura dei contagi e dei decessi sapessero ciò che stavano facendo. In realtà, al netto di un accettabile margine di impreparazione vista l’emergenza del tutto nuova, nelle tante stanze dei bottoni che il governo Pd-M5S di allora, guidato da Giuseppe Conte, aveva istituito, andavano tutti in ordine sparso. E l’audizione in commissione Covid del proctologo del San Raffaele Pierpaolo Sileri, allora viceministro alla Salute in quota 5 stelle, ha reso ancor più tangibile il livello d’improvvisazione e sciatteria di chi allora prese le decisioni e oggi è impegnato in tripli salti carpiati pur di rinnegarne la paternità. È il caso, ad esempio, del senatore Francesco Boccia del Pd, che ieri è intervenuto con zelante sollecitudine rivolgendo a Sileri alcune domande che son suonate più come ingannevoli asseverazioni. Una per tutte: «Io penso che il gabinetto del ministero della salute (guidato da Roberto Speranza, ndr) fosse assolutamente marginale, decidevano Protezione civile e coordinamento dei ministri». Il senso dell’intervento di Boccia non è difficile da cogliere: minimizzare le responsabilità del primo imputato della malagestione pandemica, Speranza, collega di partito di Boccia, e rovesciare gli oneri ora sul Cts, ora sulla Protezione civile, eventualmente sul governo ma in senso collegiale. «Puoi chiarire questi aspetti così li mettiamo a verbale?», ha chiesto Boccia a Sileri. L’ex sottosegretario alla salute, però, non ha dato la risposta desiderata: «Il mio ruolo era marginale», ha dichiarato Sileri, impegnato a sua volta a liberarsi del peso degli errori e delle omissioni in nome di un malcelato «io non c’ero, e se c’ero dormivo», «il Cts faceva la valutazione scientifica e la dava alla politica. Era il governo che poi decideva». Quello stesso governo dove Speranza, per forza di cose, allora era il componente più rilevante. Sileri ha dichiarato di essere stato isolato dai funzionari del ministero: «Alle riunioni non credo aver preso parte se non una volta» e «i Dpcm li ricevevo direttamente in aula, non ne avevo nemmeno una copia». Che questo racconto sia funzionale all’obiettivo di scaricare le responsabilità su altri, è un dato di fatto, ma l’immagine che ne esce è quella di decisori «inadeguati e tragicomici», come ebbe già ad ammettere l’altro sottosegretario Sandra Zampa (Pd).Anche sull’adozione dell’antiscientifica «terapia» a base di paracetamolo (Tachipirina) e vigile attesa, Sileri ha dichiarato di essere totalmente estraneo alla decisione: «Non so chi ha redatto la circolare del 30 novembre 2020 che dava agli antinfiammatori un ruolo marginale, ne ho scoperto l’esistenza soltanto dopo che era già uscita». Certo, ha ammesso, a novembre poteva essere dato maggiore spazio ai Fans perché «da marzo avevamo capito che non erano poi così malvagi». Bontà sua. Per Alice Buonguerrieri (Fdi) «è la conferma che la gestione del Covid affogasse nella confusione più assoluta». Boccia è tornato all’attacco anche sul piano pandemico: «Alcuni virologi hanno ribadito che era scientificamente impossibile averlo su Sars Cov-2, confermi?». «L'impatto era inatteso, ma ovviamente avere un piano pandemico aggiornato avrebbe fatto grosse differenze», ha replicato Sileri, che nel corso dell’audizione ha anche preso le distanze dalle misure suggerite dall’Oms che «aveva un grosso peso politico da parte dalla Cina». «I burocrati nominati da Speranza sono stati lasciati spadroneggiare per coprire le scelte errate dei vertici politici», è il commento di Antonella Zedda, vicepresidente dei senatori di Fratelli d’Italia, alla «chicca» emersa in commissione: un messaggio di fuoco che l’allora capo di gabinetto del ministero Goffredo Zaccardi indirizzò a Sileri («Stai buono o tiro fuori i dossier che ho nel cassetto», avrebbe scritto).In che mani siamo stati.
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