
Europa e America discutono da settimane dell’idea di sequestrare gli asset russi e poi si stupiscono se il Cremlino reagisce, prendendo il controllo di fabbriche come Ariston. E a farne le spese alla fine sono le imprese, che con il conflitto non c’entrano nulla.Capisco l’indignazione delle aziende che si vedono nazionalizzare le proprie società in Russia. All’improvviso e con un semplice tratto di penna, Mosca fa sparire un asset patrimoniale importante, creando un buco nel bilancio del gruppo. È già successo con Ariston, ma domani potrebbe accadere ad altri. Tuttavia, mentre comprendo l’ira e l’allarme di un imprenditore per lo scippo subito, faccio fatica ad afferrare le ragioni della sorpresa e dello sdegno di alcuni politici. Davvero quando hanno appoggiato le sanzioni contro Putin e contro gli oligarchi al guinzaglio del Cremlino pensavano che la Russia avrebbe assistito immobile al sequestro dei propri beni e dei propri conti correnti? Davvero ci vogliono far credere di non aver immaginato che Mosca potesse reagire davanti all’esproprio mettendo in atto una qualche sorta di rappresaglia?Io, che pure non faccio il politico, lo avevo immaginato da un pezzo e anzi mi chiedevo come e quando i russi avrebbero risposto. Non serve infatti un cervello sopraffino per pensare che in guerra a un’azione corrisponde una reazione. Fin dall’inizio del conflitto mi è stato chiaro che Putin e i suoi non sarebbero stati con le mani in mano ad assistere alle iniziative occidentali. Se tu instauri un processo internazionale e spicchi un mandato di cattura contro il presidente russo per crimini di guerra, è altamente probabile che Mosca ribatta inventandosi una qualche accusa contro i leader occidentali e provi a perseguirli. Ma fin qui siamo a un botta e risposta che è più d’immagine che di sostanza: tu mi dai uno schiaffo e io replico con uno sgambetto, così facciamo pari. Diversa è la questione delle sanzioni. Quando Europa e America hanno decretato l’embargo verso alcuni prodotti della Federazione russa, tra i quali il petrolio e il gas, ovviamente Putin ha provato a sottrarsi alle misure, cercando di trovare altri canali e altri Paesi per far passare le sue forniture. Ma non solo: ha anche ribattuto introducendo altrettanti divieti di importazione di prodotti europei. «Tu blocchi il mio export per costringermi alla ritirata? E io stoppo l’importazione della tua merce, a partire dai prodotti agroalimentari». Nel mirino ovviamente è finito di tutto: dai mobili all’abbigliamento, dai formaggi al pesce. Uno stop che fa male alla Russia, ma certamente anche alle aziende per le quali il mercato della Federazione era importante. Tuttavia, fino a qualche settimana fa eravamo alle scaramucce, ai blocchi che peraltro potevano essere aggirati, come in gran parte sono stati elusi sia per quanto riguarda le esportazioni che per quanto attiene alle importazioni. Per far uscire qualche cosa dalla Russia era sufficiente imbarcarlo su una nave e spedirlo in Paesi che non aderivano alle sanzioni occidentali, come per esempio l’India, che infatti acquista e raffina il petrolio di Mosca per poi rivenderlo come cosa propria. Per gli acquisti di prodotti vietati invece, basta appoggiarsi alla Turchia o ai Paesi che confinano con la Federazione e il gioco è fatto, anche per tanti imprenditori italiani.Il discorso cambia ora che Europa e America vogliono mettere mano ai conti correnti sequestrati in giro per il mondo agli oligarchi e alle banche russe. L’idea è quella di usare i depositi per finanziare l’Ucraina e dunque proseguire la guerra. Anche se ufficialmente i beni verrebbero impiegati per la ricostruzione, è evidente che servono per acquistare cannoni e munizioni, perché è di questo che Kiev ha bisogno oggi, non tanto di rimettere in piedi ciò che le bombe di Putin hanno raso al suolo. Quindi non si tratta di congelare delle proprietà o dei fondi, bensì di usarli e fare ciò che non è mai stato fatto, ovvero attuare un esproprio sulla base delle decisioni di una parte. Lasciate perdere che la Russia sia l’aggressore e l’Ucraina l’aggredito. Nei fatti, una delle fazioni in gioco, cioè quella occidentale, decide di prendersi ciò che non è suo perché ritiene che Mosca debba pagare per ciò che ha fatto. Potete pensare che Putin assista tranquillo a un’operazione del genere, che peraltro rischia di scardinare alcune certezze internazionali in materia di transazioni finanziarie? Ovvio che no. «Se tu prendi questo a me, io prendo questo a te». E così cominciano le nazionalizzazioni, cioè espropri di aziende europee intesi come risarcimento di un presunto danno. Ovviamente l’Europa può strillare e minacciare altre sanzioni, ma queste sono le conseguenze di qualsiasi conflitto, che non si fermano a «tu hai tirato un missile e io replico con un razzo», vanno avanti senza esclusione di colpi, senza andare troppo per il sottile e senza rispetto dei diritti. Il problema semmai è fino a quando? Cioè fino a che punto si è disposti a sopportare tutto ciò. E quali saranno i danni anche per chi questo conflitto non lo ha voluto e non lo ha mai neppure appoggiato.
Maurizio Landini
Dopo i rinnovi da 140 euro lordi in media per 3,5 milioni di lavoratori della Pa, sono in partenza le trattative per il triennio 2025-27. Stanziate già le risorse: a inizio 2026 si può chiudere. Maurizio Landini è rimasto solo ad opporsi.
Sta per finire quella che tra il serio e il faceto nelle stanze di Palazzo Vidoni, ministero della Pa, è stata definita come la settimana delle firme. Lunedì è toccato ai 430.000 dipendenti di Comuni, Regioni e Province che grazie al rinnovo del contratto di categoria vedranno le buste paga gonfiarsi con più di 150 euro lordi al mese. Mercoledì è stata la volta dei lavoratori della scuola, 1 milione e 260.000 lavoratori (850.000 sono docenti) che oltre agli aumenti di cui sopra porteranno a casa arretrati da 1.640 euro per gli insegnanti e 1.400 euro per il personale Ata (amministrativi tecnici e ausiliari). E il giorno prima, in questo caso l’accordo era stato già siglato qualche mese fa, la Uil aveva deciso di sottoscrivere un altro contratto, quello delle funzioni centrali (chi presta opera nei ministeri o nell’Agenzia delle Entrate), circa 180.000 persone, per avere poi la possibilità di sedersi al tavolo dell’integrativo.
Giancarlo Giorgetti (Ansa)
Dopo aver predicato il rigore assoluto sulla spesa, ora l’opposizione attacca Giancarlo Giorgetti per una manovra «poco ambiziosa». Ma il ministro la riporta sulla terra: «Quadro internazionale incerto, abbiamo tutelato i redditi medi tenendo i conti in ordine».
Improvvisamente, dopo anni di governi dell’austerity, in cui stringere la cinghia era considerato buono e giusto, la sinistra scopre che il controllo del deficit, il calo dello spread e il minor costo del debito non sono un valore. Così la legge di Bilancio, orientata a un difficile equilibrio tra il superamento della procedura d’infrazione e la distribuzione delle scarse risorse disponibili nei punti nevralgici dell’economia puntando a far scendere il deficit sotto il 3% del Pil, è per l’opposizione una manovra «senza ambizioni». O una strategia per creare un tesoretto da spendere in armi o per la prossima manovra del 2027 quando in ballo ci saranno le elezioni, come rimarcato da Tino Magni di Avs.
Da sinistra, Antonio Laudati e Pasquale Striano. Sotto, Gianluca Savoini e Francesca Immacolata Chaouqui (Ansa)
Pasquale Striano e Antonio Laudati verso il processo. Assieme a tre cronisti di «Domani» risponderanno di accessi abusivi alle banche dati. Carroccio nel mirino: «attenzionati» tutti i protagonisti del Metropol, tranne uno: Gialuca Meranda.
Quando l’ex pm della Procura nazionale antimafia Antonio Laudati aveva sollevato la questione di competenza, chiedendo che l’inchiesta sulla presunta fabbrica dei dossier fosse trasferita da Perugia a Roma, probabilmente la riteneva una mossa destinata a spostare il baricentro del procedimento. Il fascicolo è infatti approdato a Piazzale Clodio, dove la pm Giulia Guccione e il procuratore aggiunto Giuseppe Falco hanno ricostruito la sequenza di accessi alle banche dati ai danni di esponenti di primo piano del mondo della politica, delle istituzioni e non solo. Il trasferimento del fascicolo, però, non ha fermato la corsa dell’inchiesta. E ieri è arrivato l’avviso di chiusura delle indagini preliminari.
Angelina Jolie a Kherson (foto dai social)
La star di Hollywood visita Kherson ma il bodyguard viene spedito al fronte, fino al contrordine finale. Mosca: «Decine di soldati nemici si sono arresi a Pokrovsk».
Che il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, trovi escamotage per mobilitare i cittadini ucraini è risaputo, ma il tentativo di costringere la guardia del corpo di una star hollywoodiana ad arruolarsi sembra la trama di un film. Invece è successo al bodyguard di Angelina Jolie: l’attrice, nota per il suo impegno nel contesto umanitario internazionale, si trovava a Kherson in una delle sue missioni.






