2025-07-20
Mentre il mondo corre alla guerra l’Europa apparecchia il suo suicidio
L'esercito europeo (Ansa)
La Nato chiede ai cittadini di essere pronti per un conflitto totale con Mosca. L’opinione pubblica non fa nulla per scongiurare le tensioni. E in Occidente prevale l’ideologia dell’estinzione con aborto e coppie gay.Nell’ascoltare i continui e ossessivi richiami, di varia e più o meno autorevole provenienza, alla necessità di un immediato riarmo dei Paesi europei aderenti all’Ue ed alla Nato, in vista di quella che viene spacciata come la sicura intenzione della Russia, una volta liquidata la partita con l’Ucraina, di attaccare militarmente uno o più tra essi, quel che desta, anzitutto, sgomento è la sconcertante disinvoltura con la quale coloro stessi dai quali provengono quei richiami prospettano la quasi certezza che, nonostante il riarmo, l’attacco russo avvenga ugualmente e ci si debba, quindi, preparare comunque alla guerra. Fra i tanti, a puro titolo esemplificativo, può segnalarsi l’ammiraglio Rob Bauer, presidente del Comitato militare della Nato, il quale, in una conferenza stampa tenutasi all’inizio del 2024, ha, tra l’altro, affermato che «i civili devono prepararsi per una guerra totale con la Russia nei prossimi 20 anni. Dobbiamo renderci conto che vivere in pace non è un dato di fatto. Ed è per questo che ci stiamo preparando per un conflitto con la Russia». E, più recentemente, Mark Rutte, segretario generale della Nato, in occasione del vertice tenutosi all’Aja nel giugno scorso, è giunto addirittura a dire che, nell’ambito dell’Alleanza, tutti sono pronti a «combattere insieme e, se necessario, a soffrire e morire insieme». Ma non minore sgomento è destato dalla pressoché totale mancanza di quella che, a fronte dell’evocazione di tali prospettive, dovrebbe essere - e, in altri tempi, sarebbe stata - la decisa e naturale reazione negativa di gran parte della pubblica opinione. Chi scrive è in grado, purtroppo, grazie all’età, di ricordare distintamente i lunghi anni della Guerra fredda tra blocco occidentale, capitanato dagli Usa, e blocco sovietico. In quegli anni chi sosteneva, in Occidente, la necessità di forze militari adeguate a fronteggiare eventuali iniziative militari sovietiche, lo faceva dando per scontato che, a tale condizione, quelle iniziative non sarebbero state adottate e la pace sarebbe stata, quindi, assicurata. E solo in vista di tale finalità l’opinione pubblica europea - esclusa quella già pregiudizialmente contraria per ragioni ideologiche - accettava, più o meno di buon grado, i sacrifici richiesti per il mantenimento e, quando necessario, il rafforzamento di un apparato militare essenzialmente concepito in funzione antisovietica. La differenza, rispetto all’oggi, appare evidente. Ma quale può esserne la ragione? Una prima risposta potrebbe essere quella che l’attenuarsi, nel trascorrere delle generazioni, del ricordo, vivo o riflesso, di ciò che è stato, per l’Europa, l’ultimo conflitto mondiale renda meno ostica, in molti, l’accettazione dell’idea di una sua rinnovazione. Ma si tratterebbe di una risposta tutt’altro che esaustiva, specie considerando che - a parte quella che dovrebbe essere la naturale propensione della maggioranza degli esseri umani a non trovarsi in condizioni, comunque facilmente immaginabili, di pericolo e di sofferenza - alla mancanza del ricordo e dell’esperienza diretta di tali condizioni dovrebbe, almeno in parte, supplire la pressoché quotidiana rappresentazione, nei mezzi d’informazione, del loro verificarsi in varie parti del mondo, tra cui, in particolare, l’Ucraina. Si potrebbe allora ipotizzare - e sarebbe la migliore delle ipotesi - che gli stessi «profeti di sventura» non credano fino in fondo a quel che dicono e che analogo scetticismo, circa la validità delle loro profezie, sia presente almeno in quella parte dell’opinione pubblica che non mostra di attribuire loro importanza. Ma resterebbe allora difficile da spiegare, quanto ai «profeti di sventura», che interesse abbiano costoro a mostrarsi tali. Essendo, infatti, il loro riconoscibile interesse soltanto quello di far accettare all’opinione pubblica gli inevitabili sacrifici necessari per sostenere l’aumento delle spese militari, da essi perseguito per finalità che con la salvaguardia della pace non hanno, oggettivamente, nulla a che vedere, tutto dovrebbero fare tranne che ammettere anche la sola possibilità che, nonostante quei sacrifici, alla guerra si arrivi ugualmente. Quanto, poi, ai destinatari di quelle profezie, resterebbe ugualmente difficile da spiegare come esse possano apparire inattendibili a quella stessa opinione pubblica che, in maggioranza, mostra di recepire del tutto passivamente le altre profezie di sventura, in sé e per sé non dotate di maggiore credibilità delle prime, quotidianamente diffuse dagli organi d’informazione a proposito dei veri o presunti mutamenti climatici. Rimane allora la più remota, ma anche la più inquietante delle ipotesi. Quella, cioè, che a rendere accettabile l’idea di una guerra che segnerebbe l’irrimediabile fine dell’Europa sia la presenza, in buona parte della sua popolazione, di un oscuro e inconscio desiderio di auto annullamento e di morte. Quello stesso desiderio che, originato dai sensi di colpa di cui l’Europa è stata e si è essa stessa gravata, può riconoscersi al fondo di fenomeni quali l’indiscriminata accoglienza della massiccia immigrazione proveniente da Paesi extraeuropei; il pressoché illimitato riconoscimento del diritto all’aborto volontario, anche mediante uso della «pillola del giorno dopo», resa accessibile a chiunque senza neppure necessità di prescrizione medica; la pubblica esaltazione dei rapporti omosessuali a scapito di quelli che trovano la loro collocazione nella famiglia tradizionale; il preteso diritto di ciascuno di attribuirsi l’«identità sessuale» da lui capricciosamente preferita, in luogo di quella assegnatagli dalla natura; il pressoché incontrollabile dilagare della pornografia, anche minorile, e dell’uso di droghe. Fenomeni tutti, questi, ai quali, non certo a caso, si accompagna il pauroso declino della natalità che investe, in maggiore o minore misura, tutto l’Occidente. Al pari, quindi, della battaglia contro tali fenomeni, anche quella contro il progetto di riarmo si rivela come una battaglia per la vita contro l’istinto di morte che di quel progetto mostra di essere alla base e dal quale potrebbe derivare che, ad un certo punto, mancando - come è pressoché certo che mancherebbe - l’attacco russo che dovrebbe segnare l’inizio della danza macabra, sorgesse in qualcuno la diabolica tentazione di creare le condizioni perché ad essa si arrivi ugualmente, dandosi così luogo all’olocausto nel quale le pretese colpe dell’Europa troverebbero finalmente quella rapida e totale espiazione che, per le altre vie finora intraprese, potrebbe tardare o restare incompleta.
(Totaleu)
Lo ha dichiarato l'europarlamentare della Lega Roberto Vannacci durante un'intervista al Parlamento europeo di Bruxelles.