Dopo un importante intervento di restauro e riqualificazione, Palazzo dei Diamanti di Ferrara riapre al pubblico con una straordinaria mostra (sino al 19 giugno 2023) dedicata a due protagonisti del Rinascimento italiano: Ercole de’ Roberti e Lorenzo Costa. In un percorso espositivo di oltre 100 opere, ai due maestri ferraresi si affiancano lavori di Mantegna e Perugino, Cosmè Tura e Marco Zoppo. E di altri «compagni di viaggio» contemporanei.
Dopo un importante intervento di restauro e riqualificazione, Palazzo dei Diamanti di Ferrara riapre al pubblico con una straordinaria mostra (sino al 19 giugno 2023) dedicata a due protagonisti del Rinascimento italiano: Ercole de’ Roberti e Lorenzo Costa. In un percorso espositivo di oltre 100 opere, ai due maestri ferraresi si affiancano lavori di Mantegna e Perugino, Cosmè Tura e Marco Zoppo. E di altri «compagni di viaggio» contemporanei.Ferrara, la città estense la cui bellezza, silente e misteriosa, ha ispirato le tele di De Chirico, non ha perso nulla del suo fascino antico. Tutto, dall’imponente castello a quattro torri che la domina, a Palazzo Schifanoia (custode dei celebri affreschi del Salone dei Mesi), passando per la Palazzina Marfisa, Palazzo dei Diamanti e la sua Cattedrale - che porta i segni di tutte le epoche storiche attraversate dalla città – ci parla dei fasti del suo glorioso passato rinascimentale, quando era la sfarzosa capitale della potente dinastia degli Este e una delle più prestigiose e famose corti d’Europa. I suoi signori (a cominciare da Ercole I d’Este (1431-1435) e dal suo figlio Alfonso I (1467-1534), marito della famosa Lucrezia Borgia), non solo erano scaltri politici e abili diplomatici, ma anche mecenati illuminati, che portarono nella loro città le personalità artistiche più influenti dell’epoca, da Tiziano Vecellio a Giovanni Bellini, da Dosso Dossi ad Andrea Mantegna, senza dimenticare - passando « dall’ars pittorica a quella poetica » - Pietro Bembo, Matteo Maria Boiardo e , soprattutto, Ludovico Ariosto , che ad un influente membro di casa estense, il cardinale Ippolito d’Este, dedicò il suo Orlando Furioso. Grandi mecenati gli estensi quindi, ma fra tante figure maschili, a spiccare c’è anche una donna bella e intelligente, Isabella, figlia di Ercole I d’Este e moglie di Francesco II Gonzaga, una sorta di influencer ante litteram, che dettava le mode, influenzava la politica e collezionava opere d’arte. «Isabella liberale e magnanima », diceva di lei l’Ariosto, mentre il novelliere Matteo Bandello la descriveva come la «suprema tra le donne». Suprema come Ferrara prima della decadenza. Suprema come la Ferrara del ‘500.La mostra L’esposizione allestita nelle rinnovate sale di Palazzo dei Diamanti - curata da Vittorio Sgarbi e Michele Danieli, articolata in dieci sezioni e ricca di oltre 100 opere provenienti da musei e collezioni di tutto il mondo – è la prima tappa di un progetto più ampio (intitolato Rinascimento a Ferrara 1471-1598 da Borso ad Alfonso II d’Este) ed offre al pubblico un’occasione unica per scoprire l’arte di due grandi interpreti del Rinascimento italiano, e ferrarese in particolare: Ercole de’ Roberti e Lorenzo Costa.Dotato di grande talento compositivo ed espressività emotiva, Ercole de’ Roberti (Ferrara, c. 1450 –1496), il più giovane e intelligente tra gli artisti che parteciparono al clima culturale di Palazzo Schifanoia, lavorò a più riprese a Bologna, ma non vi è dubbio che è a Ferrara che trovò l’ambiente più adatto in cui esprimersi, soprattutto durante l’ultimo decennio della sua vita, trascorso alle dipendenze della corte estense, unito da un legame che andava oltre il semplice rapporto professionale . A lui, che tanto contribuì alla grandezza di Ferrara, è dedicata una delle sezioni più importanti della mostra, che offre allo sguardo del visitatore oltre venti opere, di gran lunga il numero maggiore mai riunito. Si parte dai luminosi ritratti di Giovanni II Bentivoglio e della moglie Ginevra Sforza (provenienti da Washington) e si arriva, attraverso un percorso che va dagli esordi alla piena maturità, alle quattro tavole di rara raffinatezza custodite alla National Gallery di Londra, che per questa « mostra-evento » lasciano per la prima volta tutte assieme il museo inglese.Se grande spazio, all’interno del percorso espositivo, è giustamente dato al de’Roberti, non meno ricco è il corpus di lavori di Lorenzo Costa (Ferrara, 1460 – Mantova, 1535), vero erede di Ercole, che opera a Ferrara in un periodo di grande fermento artistico e culturale, quando Leonardo è all’apice del successo milanese e una pala del Perugino arriva a Cremona. Tra le quindici opere del Costa esposte a Palazzo dei Diamanti, da segnalare i quattro pannelli della serie delle Storie degli Argonauti (sui quali la critica ha tanto dibattuto, incerta se attribuirli a Lorenzo o a Ercole ), una serena Sacra Famiglia, l’imponente Ritratto di cardinale e l’ultima sua opera conosciuta, la meravigliosa Madonna e santi della chiesa di Sant’Andrea a Mantova.Prologo ideale della mostra Palazzo Schifanoia (dove il giovane Ercole de’ Roberti esordisce nel Salone dei Mesi realizzando il mese di Settembre) e le sale della Pinacoteca Nazionale, al piano nobile di Palazzo dei Diamanti, dove - per l’occasione - un itinerario tematico approfondisce il contesto artistico in cui de’ Roberti e Costa operano. Una mostra davvero imperdibile, alla (ri)scoperta di un’epoca di fasti e di una città che ancora ne porta i nobili segni.
Il sindaco di Milano Giuseppe Sala (Imagoeconomica)
La direttiva Ue consente di sforare 18 volte i limiti: le misure di Sala non servono.
Quarantaquattro giorni di aria tossica dall’inizio dell’anno. È il nuovo bilancio dell’emergenza smog nel capoluogo lombardo: un numero che mostra come la città sia quasi arrivata, già a novembre, ai livelli di tutto il 2024, quando i giorni di superamento del limite di legge per le polveri sottili erano stati 68 in totale. Se il trend dovesse proseguire, Milano chiuderebbe l’anno con un bilancio peggiore rispetto al precedente. La media delle concentrazioni di Pm10 - le particelle più pericolose per la salute - è passata da 29 a 30 microgrammi per metro cubo d’aria, confermando un’inversione di tendenza dopo anni di lento calo.
Bill Gates (Ansa)
Solo pochi fanatici si ostinano a sostenere le strategie che ci hanno impoverito senza risultati sull’ambiente. Però le politiche green restano. E gli 838 milioni versati dall’Italia nel 2023 sono diventati 3,5 miliardi nel 2024.
A segnare il cambiamento di rotta, qualche giorno fa, è stato Bill Gates, niente meno. In vista della Cop30, il grande meeting internazionale sul clima, ha presentato un memorandum che suggerisce - se non un ridimensionamento di tutto il discorso green - almeno un cambio di strategia. «Il cambiamento climatico è un problema serio, ma non segnerà la fine della civiltà», ha detto Gates. «L’innovazione scientifica lo arginerà, ed è giunto il momento di una svolta strategica nella lotta globale al cambiamento climatico: dal limitare l’aumento delle temperature alla lotta alla povertà e alla prevenzione delle malattie». L’uscita ha prodotto una serie di reazioni irritate soprattutto fra i sostenitori dell’Apocalisse verde, però ha anche in qualche modo liberato tutti coloro che mal sopportavano i fanatismi sul riscaldamento globale ma non avevano il fegato di ammetterlo. Uscito allo scoperto Gates, ora tutti possono finalmente ammettere che il modo in cui si è discusso e soprattutto si è agito riguardo alla «crisi climatica» è sbagliato e dannoso.
Elly Schlein (Ansa)
Avete presente Massimo D’Alema quando confessò di voler vedere Silvio Berlusconi chiedere l’elemosina in via del Corso? Non era solo desiderare che fosse ridotto sul lastrico un avversario politico, ma c’era anche l’avversione nei confronti di chi aveva fatto i soldi.
Beh, in un trentennio sono cambia ti i protagonisti, ma la sinistra non è cambiata e continua a odiare la ricchezza che non sia la propria. Così adesso, sepolto il Cavaliere, se la prende con il ceto medio, i nuovi ricchi, a cui sogna di togliere gli sgravi decisi dal governo Meloni. Da anni si parla dell’appiattimento reddituale di quella che un tempo era la classe intermedia, ma è bastato che l’esecutivo parlasse di concedere aiuti a chi guadagna 50.000 euro lordi l’anno perché dal Pd alla Cgil alzassero le barricate. E dire che poche settimane fa la pubblicazione di un’analisi delle denunce dei redditi aveva portato a conclusioni a dir poco sor prendenti. Dei 42,6 milioni di dichiaranti, 31 milioni si fanno carico del 23,13 dell’Irpef, mentre gli altri 11,6 milioni pagano il resto, ovvero il 76,87 per cento.
In sintesi, il 43 per cento degli italiani non paga l’imposta, mentre chi guadagna più di 60.000 euro lordi l’anno paga per due. Di fronte a questi numeri qualsiasi persona di buon senso capirebbe che è necessario alleggerire la pressione fiscale sul ceto medio, evitando di tartassarlo. Qualsiasi, ma non i vertici della sinistra. Pd, Avs e Cgil dunque si agitano compatti contro gli sgravi previsti dal la finanziaria, sostenendo che il taglio dell’Irpef è un regalo ai più ricchi. Premesso che per i redditi alti, cioè quello 0,2 per cento che in Italia dichiara più di 200.000 euro lordi l’anno, non ci sarà alcun vantaggio, gli altri, quelli che non sono in bolletta e guadagnano più di 2.000 euro netti al mese, pare davvero difficile considerarli ricchi. Certo, non so no ridotti alla canna del gas, ma nelle città (e quasi sempre le persone con maggiori entrate vivono nei capoluoghi) si fa fatica ad arrivare a fine mese con uno stipendio che per metà e forse più se ne va per l’affitto. Negli ultimi anni le finanziarie del governo Meloni hanno favorito le fasce di reddito basse e medie. Ora è la volta di chi guadagna un po’di più, ma non molto di più, e che ha visto in questi anni il proprio potere d’acquisto eroso dall’inflazione. Ma a sinistra non se la prendono solo con i redditi oltre i 50.000 euro. Vogliono anche colpire il patrimonio e così rispolverano una tassa che punisca le grandi ricchezze e le proprietà immobiliari. Premesso che le due cose non vanno di pari passo: si può anche possedere un appartamento del valore di un paio di milioni ma, avendolo ereditato dai geni tori, non avere i soldi per ristrutturarlo e dunque nemmeno per pagare ogni anno una tassa.
Dunque, possedere un alloggio in centro, dove si vive, non sempre è indice di patrimonio da ricchi. E poi chi ha una seconda casa paga già u n’imposta sul valore immobiliare detenuto ed è l’I mu, che nel 2024 ha consentito allo Stato di incassare l’astronomica cifra di 17 miliardi di euro, il livello più alto raggiunto negli ultimi cinque anni. Milionari e miliardari, quelli veri e non immaginati dai compagni, certo non hanno il problema di pagare una tassa sui palazzi che possiedono, ma non hanno neppure alcuna difficoltà a ingaggiare i migliori fiscali sti per sottrarsi alle pretese del fisco e, nel caso in cui neppure i professionisti sia no in grado di metterli al riparo dall’Agenzia delle entrate, possono sempre traslocare, spostando i propri soldi altrove. Come è noto, la finanza non ha confini e l’apertura dei mercati consente di portare le proprie attività dove è più conveniente. Quando proprio il Pd, all’e poca guidato da Matteo Renzi, decise di introdurre una flat tax per i Paperoni stranieri, migliaia di nababbi presero la residenza da noi. E se domani l’imposta venisse abolita probabilmente andrebbero altrove, seguiti quasi certamente dai ricconi italiani. Del resto, la Svizzera è vicina e, come insegna Carlo De Benedetti, è sempre pronta ad accogliere chi emigra con le tasche piene di soldi. Inoltre uno studio ha recentemente documentato che l’introduzione negli Usa di una patrimoniale per ogni dollaro incassato farebbe calare il Pil di 1 euro e 20 centesimi, con una perdita secca del 20 per cento. Risultato, la nuova lotta di classe di Elly Schlein e compagni rischia di colpire solo il ceto medio, cancellando gli sgravi fiscali e inasprendo le imposte patrimoniali. Quando Mario Monti, con al fianco la professoressa dalla lacrima facile, fece i compiti a casa per conto di Sarkozy e Merkel , l’Italia entrò in de pressione, ma oggi una patrimoniale potrebbe essere il colpo di grazia.
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Il toro iconico di Wall Street a New York (iStock)
Democratici spaccati sul via libera alla ripresa delle attività Usa. E i mercati ringraziano. In evidenza Piazza Affari: + 2,28%.
Il più lungo shutdown della storia americana - oltre 40 giorni - si sta avviando a conclusione. O almeno così sembra. Domenica sera, il Senato statunitense ha approvato, con 60 voti a favore e 40 contrari, una mozione procedurale volta a spianare la strada a un accordo di compromesso che, se confermato, dovrebbe prorogare il finanziamento delle agenzie governative fino al 30 gennaio. A schierarsi con i repubblicani sono stati sette senatori dem e un indipendente affiliato all’Asinello. In base all’intesa, verranno riattivati vari programmi sociali (tra cui l’assistenza alimentare per le persone a basso reddito), saranno bloccati i licenziamenti del personale federale e saranno garantiti gli arretrati ai dipendenti che erano stati lasciati a casa a causa del congelamento delle agenzie governative. Resta tuttavia sul tavolo il nodo dei sussidi previsti ai sensi dell’Obamacare. L’accordo prevede infatti che se ne discuterà a dicembre, ma non garantisce che la loro estensione sarà approvata: un’estensione che, ricordiamolo, era considerata un punto cruciale per gran parte del Partito democratico.







