2025-02-01
Eolico e solare flop. Berlino è costretta a importare energia anche dall’Italia
La Germania è diventata dipendente dal clima e spesso ricorre alle reti dei vicini. Stop alle gare sulle rinnovabili in Danimarca.Con le proprie esportazioni, l’Italia aiuta la Germania a contenere il caro-energia. Sì, perché la Germania, nonostante tutta la potenza eolica e fotovoltaica installata, ha sempre più frequentemente bisogno di importare energia dai Paesi interconnessi per supplire alla mancanza di produzione in alcuni momenti. Quali? Quelli in cui non c’è sole e non c’è vento: in alcuni giorni, infatti, ed in alcune ore, neppure la capacità di riserva è sufficiente a soddisfare la richiesta di energia dalla rete. In quei momenti, la Germania è costretta ad importare molta energia dai Paesi collegati con le reti transfrontaliere. Questo sta succedendo sempre più spesso, e strutturalmente la Germania sta diventando un Paese importatore netto di energia, mentre fino a pochi mesi fa era un esportatore netto. Dopo avere spento le centrali nucleari, in particolare, ed avere aumentato a dismisura la capacità installata a base di impianti eolici e fotovoltaici, l’equilibrio della rete elettrica tedesca è sempre più dipendente dalle condizioni meteorologiche.In inverno, in particolare, quando la produzione fotovoltaica è bassa, il sistema elettrico tedesco punta molto sull’energia eolica. Ma situazioni di scarso vento non sono infrequenti, e dunque in quei momenti, mentre la domanda di energia sale in corrispondenza del picco dei consumi pomeridiani, la produzione nazionale tedesca non basta.I prezzi dunque schizzano alle stelle, come si è verificato il 12 dicembre scorso e più recentemente il 20 gennaio. In quella giornata, il prezzo dell’ora 18 ha raggiunto i 583 euro/MWh, prezzo che ha contribuito ad alzare tutti i prezzi dei paesi interconnessi fino ad avere ripercussioni nel sistema elettrico britannico, dove il prezzo ha superato i 670 euro/MWh. Il 12 dicembre i prezzi erano arrivati a 936 euro e come conseguenza avevano trascinato al rialzo i prezzi di Svezia, Danimarca e Norvegia. A seguito di quell’evento, il governo svedese annunciò che aveva intenzione di sospendere il progetto di un nuovo cavo di interconnessione tra Svezia e Germania: «La Germania sistemi prima il suo sistema elettrico», aveva detto nell’occasione la vicepremier svedese Ebba Busch.Il 20 gennaio in Germania la produzione eolica in alcune ore è stata inferiore ai 2.000 MW, mentre la capacità complessiva disponibile è pari a oltre 73.000 MW. I prezzi alti hanno attirato produzione da altri Paesi interconnessi, dunque, tra cui anche l’Italia, che con la Zona Nord è interconnessa con Francia, Svizzera e Austria, a loro volta collegate con la Germania. L’Italia in quella data ha fornito oltre 4.000 MW in esportazione in alcune ore, con prezzi più bassi, contribuendo quindi a contenere i prezzi anche in Germania. Nella zona Nord italiana si concentra produzione termoelettrica a gas, dunque in questo caso abbiamo assistito al soccorso del tanto vituperato gas naturale nei confronti delle virtuose (ma assenti) fonti rinnovabili. Senza l’energia italiana, i prezzi in Germania sarebbero stati ancora più alti e forse (forse) non vi sarebbe stata abbastanza energia.Il che fa capire che riempire un sistema elettrico di fonti rinnovabili senza dotarsi di un adeguato stock di capacità di riserva azionabile con poco preavviso è un assurdo, oltre che un pericolo. Ma è quello che ha fatto la Germania: adesso, senza adeguati accumuli (in Germania ci sono circa 12.000 MW di accumuli, che è molto poco, sufficienti per poche ore di funzionamento), il sistema elettrico tedesco è costretto a chiedere molta energia dall’estero. Dalla Francia, in particolare, e quando il nucleare francese non è sufficiente a coprire il fabbisogno, anche da tutti i Paesi interconnessi, Italia compresa. La Germania è diventata importatore netto di energia elettrica.Quando ci vengono declamati i numeri della virtuosa Germania, dove l’energia prodotta da fonte rinnovabile è più della metà della produzione nazionale, si dimentica sempre di dire che l’energia è la potenza nel tempo, non è un prodotto indistinto. Anziché parlare di quantità bisognerebbe parlare di profilo. Ma la propaganda green ovviamente omette questo dettaglio. Le importazioni, in un sistema dove la sicurezza dell’approvvigionamento è a rischio e dove i prezzi diventano molto volatili per via della imprevedibilità delle fonti rinnovabili, diventano quindi una questione di sicurezza. Per avere un flusso adeguato di importazioni servono le reti di interconnessione. Quando si parla di «prezzo unico europeo» come obiettivo per ridurre i prezzi dell’energia occorre riflettere sul fatto che questo si può ottenere solo con enormi investimenti in reti transfrontaliere. Neppure a livello nazionale esistono prezzi unici, figuriamoci a livello europeo. Ci vogliono molti anni, molti miliardi e molto rame. Cominciando ora, forse tra 20 anni si potrebbe vedere qualche effetto. Nel frattempo, giunge la notizia che la Danimarca bloccherà tutte le gare d’appalto per l’eolico offshore in corso, poiché l'attuale quadro normativo in cui non vengono offerti sussidi non funziona nelle attuali condizioni di mercato. Ancora una volta, si dimostra che senza sussidi la transizione green non procede. E quando procede, ha comunque bisogno del tanto disprezzato gas naturale.
Nicolas Maduro e Hugo Chavez nel 2012. Maduro è stato ministro degli Esteri dal 2006 al 2013 (Ansa)
Un disegno che ricostruisce i 16 mulini in serie del sito industriale di Barbegal, nel Sud della Francia (Getty Images)
Situato a circa 8 km a nord di Arelate (odierna Arles), il sito archeologico di Barbegal ha riportato alla luce una fabbrica per la macinazione del grano che, secondo gli studiosi, era in grado di servire una popolazione di circa 25.000 persone. Ma la vera meraviglia è la tecnica applicata allo stabilimento, dove le macine erano mosse da 16 mulini ad acqua in serie. Il sito di Barbegal, costruito si ritiene attorno al 2° secolo dC, si trova ai piedi di una collina rocciosa piuttosto ripida, con un gradiente del 30% circa. Le grandi ruote erano disposte all’esterno degli edifici di fabbrica centrali, 8 per lato. Erano alimentate da due acquedotti che convergevano in un canale la cui portata era regolata da chiuse che permettevano di controllare il flusso idraulico.
Gli studi sui resti degli edifici, i cui muri perimetrali sono oggi ben visibili, hanno stabilito che l’impianto ha funzionato per almeno un secolo. La datazione è stata resa possibile dall’analisi dei resti delle ruote e dei canali di legno che portavano l’acqua alle pale. Anche questi ultimi erano stati perfettamente studiati, con la possibilità di regolarne l’inclinazione per ottimizzare la forza idraulica sulle ruote. La fabbrica era lunga 61 metri e larga 20, con una scala di passaggio tra un mulino e l’altro che la attraversava nel mezzo. Secondo le ipotesi a cui gli archeologi sono giunti studiando i resti dei mulini, il complesso di Barbegal avrebbe funzionato ciclicamente, con un’interruzione tra la fine dell’estate e l’autunno. Il fatto che questo periodo coincidesse con le partenze delle navi mercantili, ha fatto ritenere possibile che la produzione dei 16 mulini fosse dedicata alle derrate alimentari per i naviganti, che in quel periodo rifornivano le navi con scorte di pane a lunga conservazione per affrontare i lunghi mesi della navigazione commerciale.
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Viktor Orbán durante la visita a Roma dove ha incontrato Giorgia Meloni (Ansa)
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