2021-12-22
Energia grazie alla fusione. Entro il 2025 operativo il progetto sperimentale
Cfs, di cui il Cane a sei zampe è maggiore azionista, è al lavoro sull’impianto Sparc. L’atomo è essenziale per garantire elettricità sicura con zero emissioni.Il progetto Hynet di cattura della CO2, sviluppato dal gruppo con delle imprese locali, riceve finanziamenti a fondo perduto dal governo inglese e sarà operativo fra tre anni.Lo speciale contiene due articoli.Il settore dell’energia è responsabile di quasi tre quarti delle emissioni globali di anidride carbonica. Per centrare gli obiettivi sul clima fissati dagli accordi di Parigi è necessaria, dunque, una trasformazione radicale dei sistemi energetici che sostengono le nostre economie, passando da un mix centrato sui combustibili fossili a uno a basse emissioni di carbonio, basato principalmente sulle fonti rinnovabili. Limitarsi a investire sulle rinnovabili potrebbe però non essere sufficiente a garantire un approvvigionamento energetico stabile, sicuro e a prezzi accessibili. Come conciliare, dunque, la sfida della transizione con quella del benessere e dello sviluppo? Il nostro più potente alleato è la tecnologia, quella disponibile già oggi e quella che verrà. svoltaDi recente la ricerca ha aperto infatti la strada verso una tecnologia rincorsa dagli scienziati da oltre mezzo secolo: la fusione nucleare. La svolta è arrivata lo scorso settembre, quando Cfs (Commonwealth fusion systems), società spin out del Massachusetts institute of technology di cui Eni è il maggiore azionista, ha messo a punto e testato un superconduttore che assicurerà il confinamento del plasma nel processo di fusione magnetica, avvicinando il momento in cui questa tecnologia potrà essere impiegata in impianti dimostrativi. La fusione magnetica, che riproduce il processo che avviene nelle stelle, rappresenta un vero e proprio game changer del panorama energetico mondiale perché, una volta applicata a livello industriale, consentirà di ottenere energia pulita, virtualmente inesauribile e sicura. Basti pensare che un grammo di combustibile per la fusione contiene l’energia equivalente a quella di oltre 60 barili di petrolio senza che questo comporti nessun tipo di emissioni di gas serra. Sul fronte impianti, la fusione a confinamento magnetico contribuirà a realizzare centrali molto più piccole e compatte, semplici ma allo stesso tempo efficienti. Piccole centrali saranno più facili da distribuire sul territorio e più comode da connettere alla rete elettrica riducendo quindi di molto il problema di creare nuove infrastrutture dedicate per il trasporto energetico. Entro il 2025 Cfs costruirà Sparc, il primo impianto sperimentale a produzione netta di energia e in seguito la roadmap prevede la costruzione di Arc, il primo impianto capace di immettere energia da fusione nella rete elettrica, disponibile, secondo le previsioni, nel prossimo decennio. «Il risultato straordinario ottenuto durante il test dimostra ancora una volta l’importanza strategica delle nostre partnership di ricerca nel settore energetico e consolida il nostro contributo allo sviluppo di tecnologie game changer», ha commentato l’amministratore delegato di Eni Claudio Descalzi.In un’ottica di innovazione profonda, che possa condurre nel medio termine a disporre di una forma di energia sicura e pulita, Eni ha avviato da tempo un programma che prevede impegni su più fronti. Oltre alla partecipazione in Cfs, il Cane a sei zampe collabora direttamente con il Mit a un programma scientifico, denominato Lift (Laboratory for innovation in fusion technology), volto ad accelerare l’individuazione di soluzioni in termini di materiali, tecnologie superconduttive, fisica e controllo del plasma. Eni partecipa insieme a Enea, inoltre al progetto internazionale Dtt (Divertor tokamak test), sviluppato all’interno del programma Eurofusion. Tale progetto prevede la realizzazione di un tokamak per studiare soluzioni al problema dei carichi termici all’interno della camera a vuoto. Nella fusione a confinamento magnetico, il plasma caldo è racchiuso in una camera a vuoto a forma di ciambella, chiamata per l’appunto tokamak: il plasma è generato, sostenuto e confinato grazie all’alto campo magnetico prodotti da superconduttori. Lo scopo primario del campo magnetico è evitare la deriva delle particelle del plasma verso le pareti del recipiente.Il tokamakUn altro progetto internazionale di ricerca sulla fusione nucleare, a cui contribuisce anche l’Ue, è Iter (International thermonuclear experimental reactor). Il progetto nasce da un accordo del 2006 da sette partner: Cina, Euratom (rappresentata dalla Commissione europea), India, Giappone, Corea del Sud, Russia e Stati Uniti e punta a sviluppare un reattore gigante che dovrebbe produrre dieci volte più energia di fusione rispetto all'energia termica immessa nel plasma.I lavori di costruzione sono iniziati nel 2007 a Cadarache, nel Sud della Francia, in un sito di 42 ettari che ospita oggi il tokamak, diversi edifici, infrastrutture e impianti di alimentazione. Nel 2020 è cominciata la fase di assemblaggio del tokamak, che durerà cinque anni. Nel 2025, Iter dovrebbe creare il suo primo plasma super riscaldato, per poi raggiungere la piena potenza entro il 2035, al fine di dimostrare che è possibile produrre più energia di quanta non ne venga utilizzata per il processo.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/eni-energia-fusione-2656091720.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="londra-si-affida-a-eni-per-la-ccs" data-post-id="2656091720" data-published-at="1640190213" data-use-pagination="False"> Londra si affida a Eni per la Ccs Il 12% delle emissioni di gas serra da qui al 2050 dovrà essere abbattuto grazie al contributo della Ccs (Carbon capture and storage). Questo è lo scenario disegnato dall’International energy agency (Iea) nel suo Net zero emissions. Si tratta infatti del processo tecnologico più efficace ed efficiente per tempi di realizzazione e costi in grado di decarbonizzare le industrie «hard to abate» (siderurgia, cementifici, carta e del vetro, eccetera). Questi settori risultano particolarmente complessi da decarbonizzare soprattutto a causa delle caratteristiche dei processi industriali che emettono anidride carbonica non solo per soddisfare il fabbisogno energetico, ma anche attraverso le trasformazioni fisico chimiche del processo stesso. Per fare un esempio, nell’industria del cemento i due terzi delle emissioni derivano dalla trasformazione del calcare in calce. Secondo Iea la Ccs è in grado di contribuire a ridurre le emissioni altrimenti non abbattibili con altre tecnologie, sostenere il rapido aumento della produzione di idrogeno a basse emissioni e, in prospettiva, rimuovere parte della CO2 dall’atmosfera. Ed è per questo che il Regno Unito ha puntato su Eni per decarbonizzare la sua industria selezionando nel Nord Ovest dell’Inghilterra il progetto di Hynet, in cui Eni è capofila di un consorzio con industrie locali, tra i due progetti prioritari di Ccs che per primi riceveranno finanziamenti governativi a fondo perduto nell’ambito di un piano più ampio gestito dal Department for business, energy & industrial strategy (Beis) per supportare la realizzazione oltre Manica di almeno quattro hub di Ccs entro il 2030. Hynet sarà il primo progetto Ccs operativo in Uk con partenza prevista entro il 2025 e una capacità di stoccaggio 4,5 milioni di tonnellate l’anno nella prima fase che sarà incrementato dal 2030 per stoccare fino a 10 milioni di tonnellate/anno di CO2. Eni si occuperà di trasportare e stoccare il diossido di carbonio catturato e per farlo utilizzerà i propri giacimenti di gas esauriti a circa 30 chilometri dalla costa nella Baia di Liverpool. «Il governo del Regno Unito ha riconosciuto l’importanza del contributo che il progetto Hynet può apportare alla decarbonizzazione di una parte significativa delle attività nel Paese», ha spiegato Claudio Descalzi, ad di Eni. La Ccs è un processo maturo e ben conosciuto che viene utilizzato sin dagli anni Settanta. La CO2 non è né esplosiva né infiammabile e quindi il suo trasporto è semplice da gestire. Per quanto riguarda lo stoccaggio vale lo stesso discorso: i giacimenti esauriti hanno contenuto per milioni di anni il gas naturale senza fuoriuscite e sono quindi i siti ideali per contenere l’anidride carbonica che viene iniettata in sicurezza e con un monitoraggio costante. Dal punto di vista dei costi, per il settore industriale la Ccs risulta la soluzione di decarbonizzazione più vantaggiosa, come dimostrato dalla recente gara in Olanda dove la Ccs è riuscita ad aggiudicarsi il 50% circa dei fondi disponibili per tutte le soluzioni tecnologie in competizione. Infatti bisogna calcolare non soltanto i costi di realizzazione e di esercizio, ma anche il fatto che permette di non pagare la Carbon tax. In uno scenario in cui il costo delle emissioni è triplicato in un anno e sembra non arrestarsi, è ragionevole credere che investire nella cattura e nello stoccaggio del carbonio converrà sempre più. In Italia nel 2019 i settori «hard to abate» hanno emesso circa 67 milioni di tonnellate di CO2 su un totale di 340 milioni, circa il 20% del totale delle emissioni, e la Ccs è l’opzione migliore per abbattere quel numero velocemente e a basso costo. Grazie a questo processo, intere aree industriali saranno protagoniste di un nuovo inizio all’insegna della sostenibilità. La riqualifica dei processi produttivi, l’abbattimento delle emissioni, il mantenimento dei livelli occupazionali, gli investimenti, la maturazione di tecnologie innovative sono parte di un futuro che insieme con le rinnovabili, l’efficienza energetica e tutti gli strumenti utili per decarbonizzare consentiranno alle nuove generazioni di vivere in un mondo senza squilibri, dove sarà consentito a tutti l’accesso a un’energia più pulita, continua ed economica.