2025-11-26
Il Vietnam, un colosso economico sempre più influente
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Il Paese è diventato un gigante da 100 milioni di abitanti ed è in costante crescita economica. Riferimento dell'industria manifatturiera, è partner commerciale privilegiato degli Usa come alternativa a Pechino. Dal giugno 2025 è membro dei Brics e punta a crescere ancora.I francesi portarono in Vietnam l'industria della gomma commettendo gravi errori e senza pensare alle conseguenze politiche e sociali che portarono i comunisti al potere. La storia delle grandi piantagioni di caucciù che furono alla base della rivolta anticolonialista. Lo speciale contiene due articoli.Il Vietnam vanta una storia millenaria dove per mantenere autonomia ed indipendenza ha combattuto cinesi, mongoli, francesi ed infine americani. L’Impero del Vietnam fu l’unico in Asia sud-orientale a resistere all’avanzata dei mongoli fino a metà del 1300. I vietnamiti dovettero cedere ai francesi a metà del XIX secolo accettando la creazione dell’Unione Indocinese nel 1887. Nel 1954 i francesi furono però definitivamente sconfitti in quella che fu la prima debacle di una potenza coloniale, ma alla Conferenza di Ginevra il paese fu diviso in due stati: il Vietnam del Nord sotto il controllo dei comunisti di Ho Chi Minh ed il Vietnam del Sud in mano al dittatore filo-americano anticomunista Ngô Đình Diệm. Negli anni ’60 e fino alla caduta di Saigon, subito ribattezza Ho Chi Minh City, nel 1975 furono gli Stati Uniti ad impantanarsi in un lunghissimo conflitto che porterà il Vietnam alla riunificazione sotto il partito comunista locale. Dopo 50 anni la nazione del Sud-Est asiatico è diventato un gigante geopolitico di oltre cento milioni di abitanti che nel 2025 può vantare una crescita del Pil del 8,25% rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente. Un dato sorprendete anche per gli analisti che avevano previsto una crescita di un 1 punto inferiore. L’economia vietnamita si basa soprattutto sul settore manifatturiero, dove la domanda esterna è in costante crescita e dove proprio gli Stati Uniti sono l’acquirente più importante. Il Partito Comunista del Vietnam si è dimostrato molto scaltro ed ha trasformato la nazione in un autentico hub manifatturiero con una qualità superiore ai paesi dell’area e una capacità di crescita ed affidabilità costante. Hanoi fa parte del Top 10 dei partner commerciali di Washington che ha speso in prodotti vietnamiti circa 137 miliardi nel 2024 ed oltre 100 miliardi nei primi sei mesi del 2025. Il Vietnam esporta abiti, calzature, giocattoli, elettronica di largo consumo e alcune tipologie di macchinari per la piccola e media impresa, mentre dagli Stati Uniti ha acquistato merci per soli 13 miliardi nel 2024 e poco più di 8 nei primi sette mesi del 2025. Numeri imponenti, ma comunque inferiori rispetto all’interscambio con Pechino che supera i 200 miliardi annuali soprattutto in componenti industriali e tecnologia. Il segretario generale del Partito comunista vietnamita Tô Lâm, con la tipica astuzia orientale, si è mosso su più tavoli e nel giugno scorso ha aderito al gruppo dei Brics, l’alleanza economica formata da Brasile, Russia, India, Cina e Sud Africa. In quell’occasione il portavoce del ministero degli Esteri vietnamita Phạm Thu Hằng, ha sottolineato l’intenzione di «contribuire attivamente a rafforzare la voce e il ruolo dei paesi in via di sviluppo, promuovendo la solidarietà internazionale e il multilateralismo inclusivo, fondati sul rispetto del diritto internazionale». Una mossa quasi esclusivamente politica che non cambia la predisposizione di Hanoi al commercio sia con l’Europa che soprattutto con gli Stati Uniti. L’ingresso nei Brics apre comunque al Vietnam la prospettiva di partecipare alle iniziative della Nuova Banca di Sviluppo potendo godere di un canale privilegiato per contrattare finanziamenti mirati alla rete di interconnessione elettrica transfrontaliera, un progetto che si inserisce nell’ambiziosa visione di una Rete elettrica dell’Asean (Associazione delle Nazioni del Sud-est asiatico), composto da Laos, Cambogia, Malesia, Brunei, Filippine, Indonesia, Myanmar, Singapore e Thailandia. Il governo vietnamita nel quinquennio 2026/2030 punta a raggiungere una crescita del 10% grazie a prestiti internazionali ed investimenti nelle sue infrastrutture e nel comparto manifatturiero. Tutto grazie al rinnovato rapporto con Washington che nel 2024 ha visto un surplus commerciale aumentato del 20%, il più alto del continente asiatico. Questo significativo aumento fotografa la tendenza delle aziende statunitensi nella ricerca di diversificazione per le loro catene di approvvigionamento, riducendo sensibilmente la dipendenza dalla Cina e scegliendo il Vietnam come alternativa chiave in settori come il tessile, l’arredamento e l’elettronica. Hanoi vanta anche una posizione strategica nel Sud-est asiatico e per questo motivo Donald Trump ha voluto intensificare le relazioni diplomatiche nel tentativo di contrastare l’influenza di Pechino nell’area. Washington sa bene che cinesi e vietnamiti non sono mai andati d’accordo ed il peso di Hanoi, anche in vista di un possibile conflitto per Taiwan, diventa ogni giorno più determinante.<div class="rebellt-item col1" id="rebelltitem1" data-id="1" data-reload-ads="false" data-is-image="False" data-href="https://www.laverita.info/vietnam-geopolitica-storia-2674306007.html?rebelltitem=1#rebelltitem1" data-basename="storia-del-sangue-bianco-nascita-e-declino-delle-piantagioni-di-caucciu-francesi-in-vietnam" data-post-id="2674306007" data-published-at="1763485081" data-use-pagination="False"> Storia del «sangue bianco»: nascita e declino delle piantagioni di caucciù francesi in Vietnam Nella versione integrale di Apocalypse Now, il film cult sulla guerra in Vietnam di Francis Ford Coppola, il capitano Willard (Martin Sheen) incontra una famiglia francese di coloni, isolata nel cuore di una giungla coperta da una nebbia spettrale. Durante la cena nella casa padronale il titolare della piantagione di caucciù esprime tutta la sua rabbia per le sconfitte coloniali francesi degli ultimi anni: Diem-Bien-Phu, l’Algeria, l’Indocina. Avvolta dal «cuore di tenebra», il romanzo a cui il film è ispirato, la famiglia di coltivatori sparirà nelle nebbie della giungla come una visione che si spegne per sempre in dissolvenza. Quei fantasmi simboleggiavano la fine di un mondo durato oltre 70 anni, quello della coltivazione intensiva del caucciù importato in Indocina dai francesi a partire dalla loro presenza in Vietnam alla fine del XIX secolo.L’Hevea Brasiliensis, o albero della gomma, è una pianta originaria dell’Amazzonia. Dopo la scoperta della vulcanizzazione, divenne una fonte importantissima per la produzione della gomma ricavata dal lattice, che veniva prodotto dalla pianta per proteggersi naturalmente da insetti e parassiti. Con lo sviluppo tecnologico a cavallo dei secoli XIX e XX divenne anche una fonte di grandi profitti, come dimostravano le coltivazioni intensive di Manaus, in Brasile. L’albero, tuttavia, non sopportava il clima continentale, come dimostrarono i tentativi di coltivazione in Europa e Nord America. Il Vietnam centro-meridionale, caratterizzato da un clima tropicale simile a quello brasiliano, rappresentò un’occasione perfetta per lo sviluppo dell’industria della gomma francese che in quegli anni viveva una grande espansione. La pianta fu importata per la prima volta nel 1897 al giardino botanico di Saigon, dove crebbe prospera e produttiva. Era l’inizio di una produzione estensiva che durò circa 70 anni, dalla quale i grandi gruppi francesi trassero enormi profitti. Ma fu anche una delle cause dello sviluppo irreversibile della rivolta sociale e anticoloniale dominata negli anni dai guerriglieri filocomunisti, che proprio nelle grandi piantagioni di caucciù trovarono linfa vitale fino alla cacciata dei francesi alla metà degli anni Cinquanta. Una serie di scelte e valutazioni errate, messe in atto dai colonizzatori dell’Indocina, faranno delle piantagioni estensive del Vietnam un punto di debolezza per il mantenimento del dominio coloniale. Se la linfa bianca che nasceva dal tronco dell’Hevea era oro colato per i francesi, si può dire che gli errori cominciarono alla radice. Il governo coloniale emissario di Parigi infatti decise di affidare ai privati la gestione delle piantagioni, ottenendo in cambio gli introiti delle tasse sui guadagni delle compagnie senza un diretto controllo da parte dello Stato, che si limitò a fornire le infrastrutture come le ferrovie. Il capitale francese, diviso in piccoli e più grandi investitori, non si preoccupò minimamente di elaborare una valutazione socio-ambientale sulle conseguenze che la coltivazione estensiva dell’albero della gomma avrebbe comportato. Anzitutto, per diventare produttiva, la piantagione deve attendere circa sette anni. Le zone scelte dalle compagnie per la coltivazione di grandi appezzamenti erano originariamente coperte dalla fitta giungla tropicale, una fonte di gravi pericoli e di mortalità a causa degli attacchi di tigri, serpenti velenosi, insetti portatori di malaria e per i rischi elevati di infortunio durante le operazioni di abbattimento della vegetazione. Tra i coolies, come venivano chiamati i braccianti vietnamiti, la mortalità raggiungeva cifre elevatissime. Non andò meglio dopo l’avvio della produzione, dove persistevano i rischi di un lavoro altamente invalidante senza che i francesi garantissero in alcun modo assistenza sanitaria alla loro stessa mano d’opera, costretta a vivere in malsane baracche. L’oppio e il gioco d’azzardo diffuso tra i lavoratori importati dal Nord aumentarono ulteriormente i problemi, che i proprietari francesi liquidarono considerandoli conseguenza della depravazione endemica dei vietnamiti.Un altro aspetto, molto importante per capire le ragioni della diffusione della rivolta sociale alla base del successivo fenomeno Vietcong, era rappresentato dall’errore che i francesi fecero nel considerare le zone scelte per le piantagioni come semi spopolate. In realtà erano da secoli abitate da una etnia semi nomade che coltivava la terra espropriata con la forza per fare posto al caucciù. Queste popolazioni, come quella degli Stieng, rappresentarono il primo nucleo di ribellione alla colonizzazione francese e alle grandi coltivazioni private. Negli anni ’20 il caucciù raggiunse un picco produttivo con la crescita vertiginosa della domanda. Nel 1925 il colosso francese degli pneumatici Michelin arrivò in Vietnam con le più grandi piantagioni di gomma del Paese, quelle di Dau Tieng e Phu Rieng. dove fu importato un gran numero di lavoratori in particolare dalla regione del Tonchino. Le piantagioni divennero una polveriera, prima sociale e poi politica. Qui nel 1929 si consumò il primo omicidio a carico di un funzionario addetto al reclutamento del personale, Alfred François Bazin, per mano dei nazionalisti del Nord Vietnam. Fu tuttavia la propaganda comunista a prendere le redini della protesta nelle piantagioni francesi nel decennio successivo, nonostante le prime iniziative di Michelin nel miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie con la costruzione di strutture sanitarie attigue alle piantagioni. Nel 1930, l’anno della fondazione del Partito comunista vietnamita da parte di Ho-Chi-Minh, la piantagione di Phu Rieng fu teatro di un violento sciopero e di occupazioni sobillate dagli agenti comunisti. Durante il decennio, il sabotaggio e gli attacchi alle piantagioni si susseguirono senza sosta, aggravati dal crollo del prezzo della gomma causato dalla Grande depressione. Nel 1940 i giapponesi invasero il Vietnam, mentre la Francia crollava sotto i colpi del Terzo Reich. I proprietari francesi rimasero sotto l’egida del successivo governo di Vichy ma la guerra e l’azione giapponese provocò danni gravissimi fino al 1945.Nel dopoguerra i francesi investirono risorse ingenti per riavviare la produzione crollata a zero sotto l’occupazione nipponica. Favoriti dalla tecnologia sviluppata durante la guerra, i produttori ristabilirono alti livelli di resa nelle piantagioni, ma non riuscirono mai a contrastare veramente gli attacchi dei comunisti del Viet-Minh, che in pochi anni riuscirono a mettere fuori uso il 10% delle piantagioni. La fine dell’Indocina francese nel 1954, seguita alla sconfitta militare di Diem-Bien-Phu, segnò irreversibilmente il destino dell’industria della gomma nel Vietnam diviso al 17°parallelo. Nel Sud il governo favorì il permanere delle grandi compagnie francesi che in assenza della precedente amministrazione coloniale rimasero strette tra il debole governo di Saigon e i sabotaggi del Viet-Minh, i comunisti di Hanoi. Senza i francesi al governo coloniale, i proprietari del caucciù agirono in modo scoordinato, alimentando ancora di più il potere dei Vietcong. Se da una parte richiedevano la protezione del governo sudvietnamita, dall’altra non esitarono a finanziare i ribelli pagandoli per evitare le azioni di sabotaggio oppure per il riscatto di funzionari rapiti. La situazione peggiorò ulteriormente con l’arrivo degli Americani all’inizio degli anni Sessanta, che di certo non avevano gradito l’atteggiamento dei proprietari francesi nei confronti dei ribelli. Le piantagioni del Sud erano diventate basi importantissime per la guerriglia Vietcong che gli americani colpirono più volte durante il conflitto, tanto che le piantagioni Michelin divennero tra i più sanguinosi campi di battaglia tra il 1966 e il 1969. In particolare la zona meridionale della piantagione Michelin di Dau Tieng divenne una roccaforte dei Vietcong (chiamata anche «Iron Triangle»), che gli americani cercarono di espugnare con tre grandi operazioni tra il 1966 e il 1969. La zona era un punto cardine della logistica comunista e punto di passaggio del famigerato sentiero di Ho Chi Minh. La guerra provocò danni rilevanti alle piantagioni di caucciù, aggravati dall’utilizzo del napalm durante le azioni di rastrellamento. Ma un altro nemico, lontano dal Vietnam, minacciava l’esistenza delle piantagioni francesi: la diffusione della gomma sintetica, che dalla metà degli anni Sessanta soppiantò quella naturale. Saigon cadde nell’aprile del 1975 e tutte le piantagioni furono nazionalizzate. Così svanì per sempre l’industria del caucciù, industria simbolo del dominio francese nel Sudest asiatico.
Federico Cafiero De Raho (Ansa)
(Totaleu)
Lo ha detto l'eurodeputato di Fratelli d'Italia Paolo Inselvini alla sessione plenaria di Strasburgo.
Giornata cruciale per le relazioni economiche tra Italia e Arabia Saudita. Nel quadro del Forum Imprenditoriale Italia–Arabia Saudita, che oggi riunisce a Riyad istituzioni e imprese dei due Paesi, Cassa depositi e prestiti (Cdp), Simest e la Camera di commercio italo-araba (Jiacc) hanno firmato un Memorandum of Understanding volto a rafforzare la cooperazione industriale e commerciale con il mondo arabo. Contestualmente, Simest ha inaugurato la sua nuova antenna nella capitale saudita, alla presenza del vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani.
L’accordo tra Cdp, Simest e Jiacc – sottoscritto alla presenza di Tajani e del ministro degli Investimenti saudita Khalid A. Al Falih – punta a costruire un canale stabile di collaborazione tra imprese italiane e aziende dei Paesi arabi, con particolare attenzione alle opportunità offerte dal mercato saudita. L’obiettivo è facilitare l’accesso delle aziende italiane ai mega-programmi legati alla Vision 2030 e promuovere partnership industriali e commerciali ad alto valore aggiunto.
Il Memorandum prevede iniziative congiunte in quattro aree chiave: business matching, attività di informazione e orientamento ai mercati arabi, eventi e missioni dedicate, e supporto ai processi di internazionalizzazione. «Questo accordo consolida l’impegno di Simest nel supportare l’espansione delle Pmi italiane in un’area strategica e in forte crescita», ha commentato il presidente di Simest, Vittorio De Pedys, sottolineando come la collaborazione con Cdp e Jiacc permetterà di offrire accompagnamento, informazione e strumenti finanziari mirati.
Parallelamente, sempre a Riyad, si è svolta la cerimonia di apertura del nuovo presidio SIMEST, inaugurato dal ministro Tajani insieme al presidente De Pedys e all’amministratore delegato Regina Corradini D’Arienzo. L’antenna nasce per fornire assistenza diretta alle imprese italiane impegnate nei percorsi di ingresso e consolidamento in uno dei mercati più dinamici al mondo, in un Medio Oriente considerato sempre più strategico per la crescita internazionale dell’Italia.
L’Arabia Saudita, al centro di una fase di profonda trasformazione economica, ospita già numerose aziende italiane attive in settori quali infrastrutture, automotive, trasporti sostenibili, edilizia, farmaceutico-medicale, alta tecnologia, agritech, cultura e sport. «L’apertura dell’antenna di Riyad rappresenta un passo decisivo nel rafforzamento della nostra presenza a fianco delle imprese italiane, con un’attenzione particolare alle Pmi», ha dichiarato Corradini D’Arienzo. Un presidio che, ha aggiunto, opererà in stretto coordinamento con la Farnesina, Cdp, Sace, Ice, la Camera di Commercio, Confindustria e l’Ambasciata italiana, con l’obiettivo di facilitare investimenti e cogliere le opportunità offerte dall’economia saudita, anche in settori in cui la filiera italiana sta affrontando difficoltà, come la moda.
Le due iniziative – il Memorandum e l’apertura dell’antenna – rafforzano dunque la presenza del Sistema Italia in una delle aree più strategiche del panorama globale, con l’ambizione di trasformare le opportunità della Vision 2030 in collaborazioni concrete per le imprese italiane.
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