2024-09-27
«Emissioni auto, mezza Ue sta con noi. Chiederemo rinvio tasse sull’acciaio»
Adolfo Urso (Imagoeconomica)
Il ministro delle imprese: «Anche Berlino e Madrid d’accordo ad anticipare la clausola di revisione delle emissioni al prossimo anno. Case cinesi in Italia? Solo se useranno la nostra componentistica».Eppur qualcosa si muove. Anche se l’idea di rivedere lo stop ai motori endotermici con la data ghigliottina del 2035 resta scritta sulla sabbia di Bruxelles, il Consiglio Ue ha cominciato a tracciare una virata. E a prendere consapevolezza di un fatto: il modello di transizione green delle auto così come impostato dalla Commissione uscente coniuga al termine ambiente solo quelli di povertà e desertificazione industriale. Il ministro alle Imprese e al Made in Italy, Adolfo Urso, ha partecipato alla due giorni dedicata a competitività, industria e regole portando una istanza di rallentamento delle norme più rigide che stanno accelerando la chiusura di impianti e fabbriche, rendendo i lavoratori dell’automotive come dei panda da salvaguardare.Ministro, stamattina ha presentato ai colleghi del Consiglio il piano di revisione delle scadenze rispetto alle decisioni della precedente commissione. Quali i pilastri? E i contenuti?«Ho anticipato le linee guida del “non paper” che intendiamo presentare per anticipare ai primi mesi del 2025 l’esercizio della clausola di revisione prevista dal Regolamento sui veicoli leggeri, attualmente indicato per la fine del 2026. Non possiamo lasciare nell’incertezza per altri due anni imprese e consumatori a fronte di quanto è già accaduto».Quali Paesi si stanno allineando con l’Italia?«C’è largo consenso sulla necessità di intervenire subito esercitando in anticipo la clausola di revisione. Ne ho parlato in questi giorni con Germania, Spagna, Polonia, Romania, Austria, Slovacchia, Olanda, Repubblica Ceca, Cipro e Malta. E si sono espressi favorevolmente anche Slovacchia e Lettonia. Con gli altri parlerò nei prossimi giorni. Alcuni, come Germania e Spagna, intendono mantenere il target del 2035 ma sono pienamente consapevoli della necessità di creare le condizioni perché ciò avvenga. Altri, preferiscono comunque spostare in avanti l’obiettivo ad una data più realistica. Inoltre, evidenzio che anche l’Acea (l’associazione dei costruttori di auto europea) ha manifestato di condividere la nostra richiesta in un documento inviato ai governi europei, nel quale chiedono anche di rivedere il meccanismo delle sanzioni che colpirebbe le aziende già nel 2025 per un ammontare che alcuni stimano in 15 miliardi». Quali Paesi si metteranno in mezzo?«Credo che la realtà si imponga su ogni ideologia: il buon senso prevarrà». A oggi la Commissione sembra rimanere contraria. Significa chiudere l’equivalente di 8 fabbriche. Possibile non sia percepita come emergenza e stortura?«È proprio quello che afferma Acea nel documento in cui sostiene la nostra richiesta. Se non ci muoviamo in fretta, tra pochi mesi saranno gli operai a manifestare nelle capitali europee come hanno fatto pochi mesi fa gli agricoltori con i loro trattori».Se le restrizioni non vengono modificate cosa farà il governo?«Siamo fiduciosi che prevalga la ragione. Peraltro è quanto sostiene anche il report di Draghi: sono necessarie risorse imponenti per recuperare i ritardi accumulati nei confronti di Cina e Stati Uniti. Per questo chiederemo un piano europeo sull’automotive alimentato anche da risorse comuni e una piena visione di neutralità tecnologica nella revisione del grean deal». Germania e Spagna però non sembrano proprio intenzionate a rivedere lo stop al motore endotermico nel 2035. È un muro invalicabile?«In realtà, sebbene al momento la posizione dei due Paesi sembri voler cristallizzare la data, vediamo aperture all’idea di rivedere il percorso intermedio. Ciò non lo valuto un muro invalicabile. Spetterà poi ai Paesi muoversi verso un percorso di sostenibilità. Un nuovo percorso con tappe più accessibili potrebbe dimostrare che l’obiettivo del 2035 diventa concreto e valido. Altrimenti resta l’altra strada: chiedere il rinvio a dopo il 2035».Non si può non fare una domanda su Stellantis. Il ceo Tavares contrasta Acea e chiede di non rivedere le norme. Ma intanto la produzione crolla. Non è il caso di modificare la logica degli incentivi. Magari sostenendo chi produce?«È proprio per questo che è necessario rivedere la prospettiva europea. Noi siamo pronti a sostenere gli investimenti produttivi, siano essi sulle nuove piattaforme siano essi sulla gigafactory, a cui per il momento hanno rinunciato. La soluzione non è certo quella di comprare le batterie in Cina o di verificare a Mirafiori le auto Leapmotors». Non crede che i cinesi dell’automotive siano un cavallo di Troia? Occupazione nel brevissimo termine e poi solo assemblaggio lasciando ai fornitori Ue le parti non core?«Assolutamente no. Nei nostri memorandum con governo e aziende cinesi è previsto esplicitamente che si tratti di investimenti produttivi in cui la maggior parte della componentistica debba essere europea, quindi italiana, e che la parte “intelligente” sia realizzata in Italia sotto le regole della sicurezza nazionale ed europea. Non ci sfugge quanto deliberato poche ore fa dal presidente Joe Biden sul piano della sicurezza. L’avevamo previsto. Quindi nessun assemblaggio che avrebbe comunque un corto respiro, ma partnership industriali Made in Italy. Così come stiamo facendo anche per la tecnologia green, pannelli solari e impianti eolici. Prodotti, non assemblati in Italia. In modo da superare ogni eventuale restrizione».In sede di Consiglio avete affrontato anche il tema siderurgia?«Sì, in molti con noi hanno manifestato piena consapevolezza che il meccanismo del Cbam, che entrerà il vigore il primo gennaio 2027, non è adeguato a garantire lo sviluppo green della siderurgia europea. Anche su loro sollecitazione predisporremo un “non paper” sulla siderurgia, chiedendo la revisione delle norme per garantire che i rottami ferrosi, assolutamente necessari per la tecnologia green, siano trattenuti nel nostro continente. Noi intendiamo rendere sostenibile la transizione ecologica con lo sviluppo industriale. E coniugarla anche con la sicurezza economica, quindi con la autonomia strategica della nostra Europa».
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Fabrizio Pregliasco (Imagoeconomica)