2023-02-07
Partito l’embargo sul petrolio di Mosca. La carenza di diesel farà rialzare i prezzi
Stop da domenica. E Vladimir Putin rimpiazza l’Ue con India e Brasile. Bankitalia: oltre il 60% dell’inflazione dipende dall’energia.È iniziato due giorni fa l’embargo europeo sui prodotti petroliferi russi. Al divieto di importazione si è aggiunto, in extremis, anche un price cap, cioè un prezzo massimo oltre il quale le merci non possono essere scambiate se nella compravendita sono coinvolti trasportatori o assicuratori appartenenti all’Unione europea o ai Paesi del G7 (più l’Australia). Per ora non si vedono effetti sui costi di benzina e diesel, tanto che ieri i prezzi alla pompa erano addirittura in lieve discesa. La situazione, per l’Europa, non è però delle migliori. Negli ultimi giorni prima dell’inizio del divieto, i flussi di combustibile diesel provenienti dalla Russia hanno toccato i massimi, portando le importazioni europee a 8,36 milioni di tonnellate, di cui 4,6 dalla Russia (comprese Turchia e Gran Bretagna). I maggiori importatori di prodotto nell’Unione a gennaio sono stati la Grecia (652.000 tonnellate), la Germania (606.000 tonnellate) e il Belgio (450.000 tonnellate). Pochissime le importazioni in Italia.Gli stoccaggi all’hub Ara (Amsterdam-Rotterdam-Antwerp) sono vicini ai massimi degli ultimi 16 mesi a 2,2 milioni di tonnellate di prodotto, ma restano comunque ben al di sotto della media degli anni precedenti.Ora l’Unione dovrà fare a meno di flussi importanti di distillati petroliferi. Il problema per l’Italia è meno marcato, perché la capacità di raffinazione del Paese permette ancora di soddisfare la domanda nazionale, al netto del saldo estero. Ma se il diesel comincia a scarseggiare negli altri Paesi dell’Ue è inevitabile che i prezzi salgano anche qui, onde trattenere il prodotto e impedire che prenda la via di piazze più redditizie. Il settore della raffinazione in Occidente è stato molto colpito dai disinvestimenti e ha perso 2,8 milioni di barili al giorno di capacità di raffinazione nel solo biennio 2020-2022.Nel frattempo la Russia non è stata a guardare e ha inaugurato nuove destinazioni per i suoi prodotti. Con il divieto di esportazione di petrolio greggio in Ue, questo ha preso rotte diverse, a cominciare dall’India. Il petrolio russo nel gennaio appena concluso è stato venduto a 49,48 dollari al barile (dato del ministero delle Finanze russo), contro gli 80 dollari al barile del petrolio Brent. In India il greggio russo viene lavorato e i prodotti inviati poi in Occidente. Una triangolazione che arricchisce le raffinerie indiane. Allo stesso tempo, pur se le raffinerie russe stanno lavorando meno dello scorso anno, il diesel da lì esportato trova nuove destinazioni, come ad esempio il Brasile.L’effetto complessivo delle sanzioni a greggio e prodotti russi è duplice. Il primo effetto è economico e riguarda i fondamentali. Con il blocco si genera un artificioso indebolimento dell’offerta, visto che non tutto il petrolio russo prima destinato all’Occidente può trovare nuove destinazioni. In presenza di una domanda pressoché costante ciò provoca un aumento dei prezzi, o quantomeno ne inibisce una discesa. La spinta inflattiva data dai costi energetici potrebbe quindi permanere. In uno studio di questi giorni, Banca d’Italia ha mostrato che per i primi nove mesi del 2022 oltre il 60% dell’inflazione nell’Eurozona, tra effetti diretti e indiretti, fosse da attribuire all’aumento dei costi energetici. Dunque, per spegnere l’inflazione bisogna agire abbassando i costi dell’energia, più che alzando i tassi di interesse. Invece, sembra si stia facendo il contrario, almeno sul petrolio.Il secondo effetto è invece politico. Il rifiuto dei prodotti russi da parte dell’Occidente sta consolidando i rapporti tra i Paesi che non aderiscono all’esclusivo club atlantico G7+Ue. I Paesi che compongono i Brics (Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) stanno rinsaldando i legami che li uniscono e raccolgono attorno a sé simpatie di molti altri Stati non schierati. Paesi importanti come Argentina, Iran, Indonesia, Egitto e Algeria hanno espresso l’intenzione di entrare a far parte della nuova organizzazione che ha tra i suoi scopi, tra l’altro, la dedollarizzazione della finanza e dei commerci internazionali. Non è un caso che i raffinatori indiani ora paghino il petrolio russo in dirham e non in dollari americani, con l’appoggio della maggiore banca del Paese, la State bank of India.Le sanzioni messe in piedi dall’Occidente nei confronti della Russia vengono pressoché ignorate dal resto del mondo e contribuiscono alla polarizzazione tra Brics e blocco atlantico, aprendo la strada a una divaricazione anche economica: il decoupling, cioè la fine della globalizzazione come l’abbiamo conosciuta sinora e la sua conversione in due blocchi integrati al proprio interno ma contrapposti e impermeabili. Il mondo che ha visto l’Europa appaltare l’energia alla Russia, la difesa agli Stati Uniti e la manifattura alla Cina è finito. Nel giro di un anno l’Europa a trazione tedesca ha subito colpi terribili. Da una parte si è vista tagliare un’importante catena del valore a monte, l’energia, pagando un prezzo smisurato per arrivare a nuovi equilibri, peraltro non ancora raggiunti. Dall’altra, nei mercati a valle, gli Usa hanno reagito alla smania europea di accumulo di surplus commerciale con politiche protezioniste come l’Inflation reduction act (Ira), che mira a difendere il mercato americano.In questo movimento storico in corso, resta da capire come si muoverà la Cina, dominus nel campo dei Brics e motore dell’economia mondiale. Al di là delle posizioni ideali, la Cina oggi non ha alcun interesse a rompere con l’Occidente, che rappresenta per Pechino un mercato di sbocco ricchissimo e una leva geopolitica straordinaria. È assai più marcata, oggi, la pressione della Casa Bianca a trazione democratica per arrivare al decoupling, soprattutto in chiave difensiva.