2022-12-01
La fuga di Exor dall’Italia all’Olanda fatta passare per un «allineamento»
Lavoratori dimezzati, Torino periferia dell’auto: il «grande esodo» della holding è stato pianificato anni fa. Nel silenzio della politica: Sergio Chiamparino e Chiara Appendino hanno incassato con rassegnazione il fatto compiuto.Per gentile concessione dell’editore, pubblichiamo un estratto del libro di Francesco Bonazzi Scafisti della democrazia, Compagnia editoriale Aliberti. Si tratta del capitolo sul cammino di Exor per recidere tutti i legami con l’Italia.Il 29 luglio del 2022, mentre l’Italia è senza governo per le dimissioni della settimana prima di Mario Draghi, Exor recide gli ultimi legami con l’Italia e annuncia lo spostamento della quotazione del titolo da Piazza Affari alla Borsa di Amsterdam. La holding della famiglia Agnelli-Elkann, che controlla società come Cnh Industrial, Ferrari, Iveco, Gedi (editoria), Juventus e il quattordici per cento di Stellantis, aveva trasferito la propria sede in Olanda sei anni prima, seguita in breve tempo da tutte le partecipate, meno la Gedi e il club bianconero. Nella nota emessa al termine della riunione del consiglio di amministrazione, presieduto da John Elkann, si spiega che l’addio al listino milanese «permetterà di allineare la Borsa di quotazione della società con la propria struttura legale di holding olandese». Insomma, niente di che e niente di cui stupirsi o rammaricarsi. Basta presentare la mossa come un «allineamento» scontato. Già, perché da sempre a Torino, fin dai tempi di Gianni Agnelli, sono fatti così: programmano le mosse con anni di anticipo, senza lasciare nulla al caso. Tutto il contrario dei politici e dei governi italiani, che di base campano alla giornata e programmano il meno possibile, ostaggio dei sondaggi settimanali sul gradimento del premier e dei singoli ministri o capi partito. In questo caso, poi, è in ballo una strategia di abbandono, prima dell’auto e poi dell’Italia, che va avanti con metodo e pervicacia dai tempi di Sergio Marchionne e della fusione di Fiat con Chrysler (maggio 2009). Per avere una prima idea di questo esodo mirato, basti pensare che nel 2000 Fiat aveva 120.000 dipendenti in Italia, che nel 2004 scendono a 72.000 con il manager svizzero-canadese. Un numero che cala ulteriormente a 60.000 unità nel 2017 e arriva a quota 49.000 nel 2022, in epoca Stellantis. Insomma, lavoratori dimezzati in vent’anni.Il tutto avviene nel sostanziale silenzio della politica, specialmente del centrosinistra, originato da un misto di torpore e rassegnazione. Oltre al fatto che, per molti, è ancora vero quello che amava dire Gianni Agnelli, ovvero che «quel che è bene per la Fiat, è bene per l’Italia». Se lo si dovesse prendere in parola, bisognerebbe spostare ad Amsterdam anche la sede legale e fiscale della Repubblica. […] Il primo annuncio del Grande Esodo torinese arriva alla fine di luglio del 2016, durante il governo di Matteo Renzi. Gli Agnelli spiegano che a fine anno trasferiranno da Torino in Olanda la sede di Exor e delle due casseforti di famiglia, la Giovanni Agnelli e C. e la Sapaz, che ha a sua volta il 53% della holding quotata. Stesso percorso era stato scelto nei mesi precedenti per Fca, Cnh Industrial e Ferrari, che avevano scelto Londra per la sede fiscale e Amsterdam per quella legale. Exor, però, porta nei Paesi Bassi sia la sede legale, sia quella fiscale e, nella nota, specifica che mantiene la quotazione a Piazza Affari.John Elkann presenta così l’operazione: «Negli ultimi dieci anni abbiamo continuato a semplificare la nostra organizzazione e a svilupparci seguendo l’evoluzione dei nostri business. I nostri principali investimenti hanno già riorganizzato le proprie strutture societarie per riflettere meglio la loro attività globale ed è quindi naturale che Exor si allinei a loro» (26 luglio 2016). […] Come sei anni dopo per la quotazione, anche lo spostamento di Exor nel 2016 è tutto un semplice e naturale «allinearsi». Le reazioni della politica locale, nel silenzio di quella nazionale, si commentano da sole. Il presidente della Regione Piemonte, Sergio Chiamparino, del Pd, osserva con una certa rassegnazione: «Vengono meno così anche gli ultimi legami finanziari fra la famiglia Agnelli e Torino. Sempre di più dobbiamo lavorare per valorizzare il nostro patrimonio del saper fare automobilistico per essere città dell’auto senza essere città della Fiat». Amen. Mentre il sindaco pentastellato, Chiara Appendino, prende atto «delle rassicurazioni sugli investimenti dell’azienda sul territorio torinese» e promette di lavorare «per rilanciare la vocazione industriale di Torino». Non male per una donna che si era candidata contro il «Sistema Torino», fatto di quell’intreccio inestricabile tra centrosinistra, Fiat e fondazioni bancarie (Crt e Sanpaolo su tutte). […] Il 3 settembre del 2016, quando Elkann parla della migrazione olandese a margine dell’assemblea Exor […], si alza la protesta di un altro partito, Fratelli d’Italia, che risponde a John Elkann con Giorgia Meloni. Il futuro premier scrive un post su Facebook che merita di essere riletto.«John Elkann, incurante del ridicolo, ha affermato che la sede in Olanda della Exor non è un escamotage fiscale, ma è dovuto al fatto che l’85% del valore delle loro società ha sede in Olanda. Una sciocchezza alla quale non crede nessuno e che solo un inutile governo come quello di Renzi e Alfano può tollerare a cuor leggero. Fca ha spostato la sede legale e la sede fiscale solo per non pagare le dovute tasse in Italia. Ma, se vogliamo prendere per buone le parole di Elkann, se la Exor è veramente una società olandese come Fca e Ferrari, perché continuano a pubblicizzarsi nel mondo con il marchio Italia? Perché si rivendica l’italianità della Ferrari e si fa sventolare il tricolore negli spot della 500 in giro per il mondo? Cominciassero a vendere in giro per il mondo come società olandese, perché oggi, da quanto dice Elkann, stanno facendo pubblicità ingannevole come il peggiore dei “parmesan”».Al di là del merito, chissà se da presidente del Consiglio Giorgia Meloni avrà il medesimo piglio e la stessa mancanza di timore reverenziale nei confronti della dinastia torinese.
Il presidente di Generalfinance e docente di Corporate Finance alla Bocconi Maurizio Dallocchio e il vicedirettore de la Verità Giuliano Zulin
Dopo l’intervista di Maurizio Belpietro al ministro dell’Ambiente Gilberto Pichetto Fratin, Zulin ha chiamato sul palco Dallocchio per discutere di quante risorse servono per la transizione energetica e di come la finanza possa effettivamente sostenerla.
Il tema centrale, secondo Dallocchio, è la relazione tra rendimento e impegno ambientale. «Se un green bond ha un rendimento leggermente inferiore a un titolo normale, con un differenziale di circa 5 punti base, è insensato - ha osservato - chi vuole investire nell’ambiente deve essere disposto a un sacrificio più elevato, ma serve chiarezza su dove vengono investiti i soldi». Attualmente i green bond rappresentano circa il 25% delle emissioni, un livello ritenuto ragionevole, ma è necessario collegare in modo trasparente raccolta e utilizzo dei fondi, con progetti misurabili e verificabili.
Dallocchio ha sottolineato anche il ruolo dei regolamenti europei. «L’Europa regolamenta duramente, ma finisce per ridurre la possibilità di azione. La rigidità rischia di scoraggiare le imprese dal quotarsi in borsa, con conseguenze negative sugli investimenti green. Oggi il 70% dei cda delle banche è dedicato alla compliance e questo non va bene». Un altro nodo evidenziato riguarda la concentrazione dei mercati: gli emittenti privati si riducono, mentre grandi attori privati dominano la borsa, rendendo difficile per le imprese italiane ed europee accedere al capitale. Secondo Dallocchio, le aziende dovranno abituarsi a un mercato dove le banche offrono meno credito diretto e più strumenti di trading, seguendo il modello americano.
Infine, il confronto tra politica monetaria europea e americana ha messo in luce contraddizioni: «La Fed dice di non occuparsi di clima, la Bce lo inserisce nei suoi valori, ma non abbiamo visto un reale miglioramento della finanza green in Europa. La sensibilità verso gli investimenti sostenibili resta più personale che istituzionale». Il panel ha così evidenziato come la finanza sostenibile possa sostenere la transizione energetica solo se accompagnata da chiarezza, regole coerenti e attenzione al ritorno degli investimenti, evitando mode o vincoli eccessivi che rischiano di paralizzare il mercato.
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Intervistato da Maurizio Belpietro, direttore de La Verità, il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica Gilberto Pichetto Fratin non usa giri di parole: «Io non sono contro l’elettrico, sono convinto che il motore elettrico abbia un futuro enorme. Ma una cosa è credere in una tecnologia, un’altra è trasformarla in un’imposizione politica. Questo ha fatto l’Unione Europea con la scadenza del 2035». Secondo Pichetto Fratin, il vincolo fissato a Bruxelles non nasce da ragioni scientifiche: «È come se io oggi decidessi quale sarà la tecnologia del 2040. È un metodo sovietico, come le tavole di Leontief: la politica stabilisce dall’alto cosa succederà, ignorando il mercato e i progressi scientifici. Nessuno mi toglie dalla testa che Timmermans abbia imposto alle case automobilistiche europee – che all’epoca erano d’accordo – il vincolo del 2035. Ma oggi quelle stesse industrie si accorgono che non è più sostenibile».
Il motore elettrico: futuro sì, imposizioni no. Il ministro tiene a ribadire di non avere pregiudizi sulla tecnologia: «Il motore elettrico è il più semplice da costruire, ha sette-otto volte meno pezzi, si rompe raramente. Pensi al motore del frigorifero: quello di mia madre ha funzionato cinquant’anni senza mai guastarsi. È una tecnologia solida. Ma da questo a imporre a tutti gli europei di pagare la riconversione industriale delle case automobilistiche, ce ne corre». Colonnine e paradosso dell’uovo e della gallina. Belpietro chiede conto del tema infrastrutturale: perché le gare per le colonnine sono andate deserte? Pichetto Fratin replica: «Perché non c’è il mercato. Non ci sono abbastanza auto elettriche in circolazione, quindi nessuno vuole investire. È il classico paradosso: prima l’uovo o la gallina?». Il ministro racconta di aver tentato in tutti i modi: «Ho fatto bandi, ho ripetuto le gare, ho perfino chiesto a Rfi di partecipare. Alla fine ho dovuto riconvertire i 597 milioni di fondi europei destinati alle colonnine, dopo una lunga contrattazione con Bruxelles. Ma anche qui si vede l’assurdità: l’Unione Europea ci impone obiettivi, senza considerare che il mercato non risponde».
Prezzi eccessivi e mercato bloccato. Un altro nodo è il costo delle auto elettriche: «In Germania servono due o tre annualità di stipendio di un operaio per comprarne una. In Italia ce ne vogliono cinque. Non è un caso che fino a poco tempo fa fossero auto da direttori di giornale o grandi manager. Questo non è un mercato libero, è un’imposizione politica». L’errore: imporre il motore, non le emissioni. Per Pichetto Fratin, l’errore dell’Ue è stato vincolare la tecnologia, non il risultato: «Se l’obiettivo era emissione zero nel 2035, bastava dirlo. Ci sono già veicoli diesel a emissioni zero, ci sono biocarburanti, c’è il biometano. Ma Bruxelles ha deciso che l’unica via è l’elettrico. È qui l’errore: hanno trasformato una direttiva ambientale in un regalo alle case automobilistiche, scaricando il costo sugli europei».
Bruxelles e la vicepresidente Ribera. Belpietro ricorda le dichiarazioni della vicepresidente Teresa Ribera. Il ministro risponde: «La Ribera è una che ascolta, devo riconoscerlo. Ma resta molto ideologica. E la Commissione Europea è un rassemblement, non un vero governo: dentro c’è di tutto. In Spagna, per esempio, la Ribera è stata protagonista delle scelte che hanno portato al blackout, puntando solo sulle rinnovabili senza un mix energetico». La critica alla Germania. Il ministro non risparmia critiche alla Germania: «Prima chiudono le centrali nucleari, poi riaprono quelle a carbone, la fonte più inquinante. È pura ipocrisia. Noi in Italia abbiamo smesso col carbone, ma a Berlino per compiacere i Verdi hanno abbandonato il nucleare e sono tornati indietro di decenni».
Obiettivi 2040: «Irrealistici per l’Italia». Si arriva quindi alla trattativa sul nuovo target europeo: riduzione del 90% delle emissioni entro il 2040. Pichetto Fratin è netto: «È un obiettivo irraggiungibile per l’Italia. I Paesi del Nord hanno territori sterminati e pochi abitanti. Noi abbiamo centomila borghi, due catene montuose, il mare, la Pianura Padana che soffre già l’inquinamento. Imporre le stesse regole a tutti è sbagliato. L’Italia rischia di non farcela e di pagare un prezzo altissimo». Il ruolo del gas e le prospettive future. Il ministro difende il gas come energia di transizione: «È il combustibile fossile meno dannoso, e ci accompagnerà per decenni. Prima di poterlo sostituire servirà il nucleare di quarta generazione, o magari la fusione. Nel frattempo il gas resta la garanzia di stabilità energetica». Conclusione: pragmatismo contro ideologia. Nelle battute finali dell’intervista con Belpietro, Pichetto Fratin riassume la sua posizione: «Ridurre le emissioni è un obiettivo giusto. Ma un conto è farlo con scienza e tecnologia, un altro è imporre scadenze irrealistiche che distruggono l’economia reale. Qui non si tratta di ambiente: si tratta di ideologia. E i costi ricadono sempre sugli europei.»
Il ministro aggiunge: «Oggi produciamo in Italia circa 260 TWh. Il resto lo importiamo, soprattutto dalla Francia, poi da Montenegro e altri paesi. Se vogliamo davvero dare una risposta a questo fabbisogno crescente, non c’è alternativa: bisogna guardare al nucleare. Non quello di ieri, ma un nuovo nucleare. Io sono convinto che la strada siano i piccoli reattori modulari, anche se aspettiamo i fatti concreti. È lì che dobbiamo guardare». Pichetto Fratin chiarisce: «Il nucleare non è un’alternativa alle altre fonti: non sostituisce l’eolico, non sostituisce il fotovoltaico, né il geotermico. Ma è un tassello indispensabile in un mix equilibrato. Senza, non potremo mai reggere i consumi futuri». Gas liquido e rapporti con gli Stati Uniti. Il discorso scivola poi sul gas: «Abbiamo firmato un accordo standard con gli Stati Uniti per l’importazione di Gnl, ma oggi non abbiamo ancora i rigassificatori sufficienti per rispettarlo. Oggi la nostra capacità di importazione è di circa 28 miliardi di metri cubi l’anno, mentre l’impegno arriverebbe a 60. Negli Usa i liquefattori sono in costruzione: servirà almeno un anno o due. E, comunque, non è lo Stato a comprare: sono gli operatori, come Eni, che decidono in base al prezzo. Non è un obbligo politico, è mercato». Bollette e prezzi dell’energia. Sul tema bollette, il ministro precisa: «L’obiettivo è farle scendere, ma non esistono bacchette magiche. Non è che con un mio decreto domani la bolletta cala: questo accadeva solo in altri regimi. Noi stiamo lavorando per correggere il meccanismo che determina il prezzo dell’energia, perché ci sono anomalie evidenti. A breve uscirà un decreto con alcuni interventi puntuali. Ma la verità è che per avere bollette davvero più basse bisogna avere energia a un costo molto più basso. E i francesi, grazie al nucleare, ce l’hanno a prezzi molto inferiori ai nostri».
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